A San Giovanni, nel discount del dissenso

A San Giovanni, nel discount del dissenso

Cambiare tutto perchè non cambi nulla

(Tomasi di Lampedusa)

Sulla banchina della metro Termini adocchio l’unico gruppo di grillini e salgo con loro. Un ragazzo sui vent’anni indossa una t-shirt con lo slogan “L’onesta andrà di moda”, una di quelle posposizioni valoriali nel futuro che se fossi un borseggiatore leggerei come una tacita autorizzazione. I suoi compagn… scusate amici cittadini onesti invece hanno la bandiera del partito sulle spalle. Un uomo più anziano dice “attenti che poi dicono che siete fascisti” con il tono di chi ritiene con ogni evidenza una simile affermazione una bestialità, un’inflessione vocale conosciuta dai più come il “tono Andrea Scanzi” ma con meno specchi autoriflettenti. Prima ancora che io possa teorizzare sul supporto “dell’uomo della metro” ai grillini, quello si gira rendendo visibile uno spillone pro Grillo appuntato sulla maglia.

“Dove dobbiamo scendere?”

“A San Giovanni”

“Se è aperta… l’ultima volta avevano chiuso la stazione” aggiunge un terzo uomo del gruppo.  

“BASTARDI!” sibila il primo.

Benvenuti alla tappa finale del, modesto già nelle intenzioni, #vinciamonoi tour, terra del complotto perpetuo, quella dove le misure standard di ordine pubblico applicate alle manifestazioni di tutte le parti politiche sono per riflesso pavloviano considerate una persecuzione ad movimentum.

(un membro dello staff del m5s abbracciato al programma politico del partito)

L’apice della manifestazione sarà il momento in cui il grande psichiatra del condizionamento collettivo, Gianroberto Casaleggio, salirà sul palco a fine serata esibendosi in un monologo di una follia tale che non può che suonare come un’orgogliosa, e per quanto mi riguarda meritata, rivendicazione dell’efficacia del proprio lavoro. Ma mancano ancora quasi tre ore a quel momento e quando arrivo in piazza sul palco ci sono “Gianfri e Dome” due comici il cui scopo deve essere probabilmente quello di rendere divertente Grillo per contrasto. La piazza non è ancora piena ma il leit motiv è “visto quanti siamo?/ Quanto pochi diranno che siamo su L’Unità, Repubblica, La Gazzetta della Ka$$ta ecc”. Più tardi comunque si riempirà, pur senza mai diventare strabordante o invivibile. L’importante comunque è tenere presente, come ci tiene a specificare la senatrice Paola Taverna, che “Qui c’è tutto quello che l’Italia ha bisogno”.  

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(il movimento delle mezze misure)

Dopo i comici, un cantante reggae calabrese e un duo di ragazze che fanno del rap, arriva Grillo e la piazza fino a quel momento abbastanza dormiente s’infiamma. Il “Capo politico” invita tutti ad abbassare le bandiere, gesto che ovviamente viene connotato anch’esso dell’antitesi necessaria e inevitabile che contraddistingue ogni agire dei 5 stelle: “gli altri partiti distribuiscono le bandiere, noi le facciamo abbassare”.  Per un momento sono tentato di andare a prendere una birra ad uno dei banchetti ma solo per vedere se per caso le spillano dal basso verso l’alto, perché la gravità è moooorta.

Grillo inizia il suo primo intervento ad applauso automatico e alla seconda occasione in cui le mie braccia rimangono incrociate attorno a me si crea un clima di sospetto polare. NON SARA’ MICA UN GIORNALISTA? Anche se i comizi sono sempre un luogo di adesione alle idee espresse dal palco, la dimensione meccanica del plebiscito rispetto alle parole di Grillo raggiunge inediti livelli di necessità. Qui nel centro di San giovanni sai esattamente come ci sente a vivere dentro il motto “o con noi o contro di noi”. E questa sensazione abita più precisamente in quel mezzo secondo o forse meno, in cui una parte del cervello dice a chiunque, anche ai militanti, che una frase come “Noi non abbiamo bisogno di frigoriferi, non abbiamo bisogno di freddo, abbiamo bisogno di servizi” puoi urlarla quanto vuoi ma continua a non avere senso. Poi però succede qualcosa, succede che su questa verità basilare ha il sopravvento quell’intimo piacere insito nell’accettare fideisticamente un certo tipo di retorica. Il discorso di Grillo ruota attorno ad un’infinità di manipolazioni semantiche esplosive come “Questa cosa non esiste” o il “Sono morti” allo scopo di sottointendere, tramite la trovata che un tempo, prima di farsi potere, era comica, il mondo come un posto governato in maniera assoluta dall’incapacità, dall’assurdo, dall’inettitudine e da una malvagità nemmeno troppo astute e quindi facilmente sconfiggibili. Indovina un po’ dai chi? C’è un dvd che te lo spiega, se vuoi.

La catarsi dello scaricare la colpa sugli altri, dello scoprire che il mondo è solo un gioco d’inganni creato da gente stupida e inetta con tutte le sue potenziali conseguenze positive, è quello che fa passare sopra la scompostezza della sparata, in una sorta di superiorità morale del fine sul mezzo che giustifica qualsiasi cosa.

C’è un problema però, che se la comicità è quello che dice “nulla è serio” e salvaguarda così la circolarità necessaria fra risata e serietà, il grillismo si fa potere e dice “Nulla è serio. Tranne noi” e trasforma quella che una volta era comicità nell’arma politica definitiva e autoritaria.

Supera la pars destruens che denuncia l’assurdo semplificandolo retoricamente, diventa movimento politico, arriva ad assomigliare a quello che critica, ma diventa peggio, perché essendo denuncia perpetua che si fa legge rifiuta la possibilità stessa dell’errore, diventa in pratica l’anti-comicità ovvero la dittatura assoluta di un discorso sul reale. Il male è allora una semplice questione di inefficienza, di non volontà di interrogare la rete, di non capire che la verità non solo esiste, ma è lì a portata di quelli che Di Battista chiama “i cittadini informati” senza dubbio sul blog di Beppe Grillo, sui siti della galassia Casaleggio o sul Fatto Quotidiano.  

(cravatta di cittadino informato)

Il non essere d’accordo con l’attività inquirente della comicità che si è fatta politica e ha semplificato il mondo riducendolo a un posto risolvibile con le stampanti 3D e con il sempre verde “scambiarsi le ricette invece che usare i camion”, diventa una colpa non un diritto. Non può essere altrimenti in questa visione delle cose. L’assurdo diventa così perfettamente tollerabile, l’esempio massimo è il rito del leader che è tutti e non è nessuno, è il “capo politico” che prende tutte le decisioni e va agli incontri istituzionali, ma è solo il portavoce, uno che vale uno. Un popolo senza capi che si riunisce sotto il disegno altro 4 metri del suo capo e la scritta www.beppegrillo.it, nel discount del dissenso, mercificato, serializzato, ridotto a slogan e obbedienza cieca al capo.

Grillo finisce il primo discorso di 22 minuti e annuncia che tornerà alle 21, una donna nel gruppo accanto dice “Andiamo a sederci sul prato?”. La tensione nella piazza scende, si dissolve, il Movimento 5 stelle è Grillo, punto. La parvenza è chiaramente quella di un ritrovo aziendale con i cantanti che dicono “ciao Roma, siete bellissimi, siete tantissimi”, le casse che sparano indifferentemente a volume folle l’audio di emotional su Falcone e Borsellino e il testo di un cantante grillino che assicura che “Odio Napolitano/non come politico/ma come essere umano”.

Non è molto diverso da una vecchia manifestazione del Pdl, tutto è studiato secondo le tecniche del marketing, con la differenza che quella era una narrazione dei tempi dell’abbondanza, questa è la narrazione per i tempi di crisi, ma sono due lati dello stesso sfascio culturale. Qui il prodotto non è l’ammirazione, il sogno di successo, ma quello di rivalsa, di onestà e verità come panacea per ogni male. E ovviamente i disonesti sono sempre e solo gli altri. Il Movimento 5 stelle non è il fascismo in senso stretto, è qualcosa di molto più raffinato e innovativo, pur inglobando ampi elementi della tradizione più reazionaria, primo fra tutti il mito infrangibile del capo.

(Garibaldi se fosse stato uno dei Public enemy)

Orfana di Grillo la piazza si dimostra di per sé fiacca, priva di iniziativa, impegnata a scattare selfie, o fare panoramiche e postarle scrivendo “e dicono che non c’era nessuno”. La rivoluzione non sarà stata pensata per essere teletrasmessa ma su internet ci sta benissimo. Il movimento tolto l’apice è veramente poca cosa, è l’ultima evoluzione di partito liquido e aziendale e tutta la retorica delle “piazze piene” serve soprattutto a nascondere questo. Il M5s non è un partito di militanti, è un partito di voti, l’adunata è la pezza che si mette sulla mancanza di radicamento nel territorio.

Il Movimento 5 stelle con la retorica “è colpa degli altri” è anche il maggior impedimento sulla strada della presa di coscienza dei problemi del Paese e arriva cinicamente nel momento storico in cui ce n’era più bisogno. Ma nessun messaggio è più rassicurante di “siamo tutti vittima di un raggiro”. Che l’Italia abbia vissuto al di sopra delle proprie possibilità per anni, è un’idea vietata da queste parti. Emblematico questo video sul debito

 https://www.youtube.com/embed/ryaGfVYfr-0/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Ogni volta che Grillo dice noi abbiamo impedito la violenza, bisognerebbe ricordarsi che più che la violenza, Grillo ha impedito le legittime manifestazioni popolari di dissenso contro l’austerity che si sono avute negli altri paesi. Ha sterilizzato, impacchettato, mercificato e immobilizzato il dissenso, eliminando ogni opposizione reale alle politiche economiche che hanno aggravato la crisi.

Dopo un’oretta buona di nulla arriva finalmente il momento dei “nostri guerrieri” (è da considerare che da queste parti le “elezioni” si chiamano “la rivoluzione non violenta delle matite”) che sarebbero i parlamentari del M5s. Si schierano in modalità foto di gruppo sul palco subito dopo essere stati accolti con un conto alla rovescia.

(endorsment grillini dal mondo dello spettacolo)

Tutti irrilevanti e muti come il pubblico nella piazza con le eccezioni di Di Maio, la Taverna e il guerrigliero sudamericano Alessandro Di Battista che inizia chiedendo silenzio assoluto e poi dice “fanculo i soldi”, parla di “potere che può cadere in un giorno di fronte ai cittadini bene informati”, di  “Pulizie etiche”  e di “rivoluzione amata” , purtroppo però non riesco a raggiungerlo e farmi fare la dedica sulla Smemo.

@Movimentocinquestellepincopallo

Perché eravamo in troppi quit! #vinciamonoi

Alle nove torna Grillo, fa un altro monologo di 40 minuti dove ripete molte delle cose già dette nel tour e in alcuni momenti cerca anche di disinnescare parte delle sparate più violente sue e dei suoi seguaci, tentando così di venire incontro all’elettorato moderato che lo vedrà in video. La tecnica è la stessa del “non ho mai detto niente del genere” di berlusconiana memoria ma traslata su un fraintendimento della natura comica del suo discorso. È  quindi un problema di chi tende a non considerare dei lazzi le proposte di tribunali del popolo mosse da uno che ha in mano 8 milioni di voti. Sciocchi.

La tirata finale è la solita elegia anni novanta sulla tecnica e internet come panacea di tutti i mali, fa niente che per il 99% delle persone che mi circondano in questa piazza, piene di entusiasmo per il novello fuoco di Prometeo rappresentato dal silicio, il futuro in progettazione dei geek della Silicon Valley significherà disoccupazione, controllo digitale e mercificazione di ogni angolo dell’esistenza. Il Movimento 5 stelle in fondo è questo: due anziani che parlano ai giovani rifilandogli la loro versione “villa arzilla” della rete, una commistione terribile di marketing e tv commerciale degli anni ’80, con il narcisismo e l’odio del peggior web.

(sorry Ennio)

Alla fine di tutto sale sul palco Casaleggio, segnato dai postumi del grave intervento che ha subito, ringrazia i medici che l’hanno curato in quello che mi è sembrato l’unico momento di sincera umanità di tutto la manifestazione, poi parla di fronte a un pubblico silenzioso e quasi immobile, proteso per provare a capire le sue parole flebili e prive di ogni attrattiva retorica.

Dopo ore in cui chiunque abbia preso il microfono ha continuato a ripetere che gli altri fanno tutti schifo, indistintamente, Casaleggio spiega che “in ogni partito politico ci sono anche persone per bene” e continuando la strategia comunicativa di scippo degli antenati fa scandire al pubblico il nome di Berlinguer. Incomincia a piovere e la gente si allontana gradualmente dalla piazza, Casaleggio fa ancora in tempo a sussurrare “Quando tornate a casa date una carezza a quelli che non voglio votarci e ditegli che la manda il movimento”. Chiude il suo intervento e  il trittico di assurdità con cui dimostra a chiunque il il suo potere, con “Che la forza sia con noi”.

Berlinguer, Giovanni XXIII e Yoda. La combo di follia di fronte alla quale non puoi che alzare le mani e capire che un futuro fatto di “entusiasmo che basta per governare”, slogan ritmati e miliardari che si sacrificano per salvare il paese, non solo è dietro l’angolo ma assomiglia all’eterno ritorno dell’uguale.

Solo un po’ peggio.

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