Myst e Doom sono due videogiochi molto diversi tra di loro. Il primo è un gioco molto lento e pacifico, che spinge a esplorare e a risolvere enigmi. Il secondo è veloce e adrenalinico, spinge a sparare prima di pensare. Nonostante queste differenze, però, i due giochi hanno moltissimo in comune: hanno entrambi fatto la storia dei videogiochi, hanno venduto milioni di copie e, tra i primi, hanno permesso di giocare in un mondo tridimensionale credibile. Myst e Doom sono anche usciti a pochi mesi di distanza, nella seconda metà del 1993. Per festeggiare (solo un po’ in ritardo) i vent’anni di questi videogiochi, il centro per lo studio dei videogiochi dell’università di New York ha organizzato un incontro con due dei creatori: John Romero (il game designer di Doom) e Rand Miller (il game designer di Myst). E gli ha fatto raccontare come erano quegli anni e da dove arrivano i loro giochi.
Due punti di partenza simili
Lo studio che ha creato Myst si chiama Cyan studio, lo studio che ha lavorato a Doom si chiama id Software. In entrambi i casi, raccontano Romero e Miller, chiamarli “studio” è un po’ troppo. Myst è stato creato da quattro persone, Doom da otto. Miller spiega addirittura che uno studio vero e proprio non esisteva, prima del successo di Myst i quattro lavoravano ognuno da casa propria e — al tempo non c’era internet — pagavano qualcuno che portasse in giro degli hard disk coi file più pesanti su cui lavoravano. Id Software aveva uno studio ma da pochissimo, molti dei giochi nati prima di Doom (come la serie di Commander Keen) erano stati sviluppati di notte, come secondo lavoro, o durante i finesettimana, prendendo in prestito i computer della, Softdisk, l’azienda in cui i fondatori lavoravano al tempo.
Sia per Miller sia per Romero, Doom e Myst sono stati enormi salti in avanti. Romero racconta che la voglia di fare di Doom qualcosa di nuovo e di rivoluzionario era così alta che «a gennaio, ancora prima di aver iniziato a lavorare al gioco, abbiamo pubblicato un comunicato stampa che diceva: [Doom] sarà il più bel gioco mai creato. E poi ci siamo messi al lavoro». Da lì è nato il motore grafico di Doom, realizzato da John Carmack. Un sistema che permetteva di immergere il giocatore in un mondo credibile e pauroso. Se con Wolfenstein 3D, la id Software era riuscita al massimo a creare corridoi squadrati e piatti, in Doom il mondo è veramente tridimensionale: con più livelli, piani inclinati, luci e ombre.
Myst ha una storia molto simile. Myst non è il primo gioco di Cyan Studio, ma è il primo per adulti. L’azienda giapponese Sunsoft li contattata per chiedere se — dopo i loro giochi per bambini e ragazzi — erano pronti a fare qualcosa anche per adulti. E loro, ovviamente, dicono di sì. Al tempo, spiega Miller, «non sapevamo nemmeno cos’era un game proposal document (il documento con cui si propongono dei giochi). Abbiamo messo insieme cinque pagine di mappe viste dall’alto di Myst e due pagine con tutto il testo che eravamo riusciti a scrivere. E e loro ci hanno detto: “ok, ma sarà bello?” e noi: “oh, sarà incredibile. Questo sarà il gioco migliore di sempre”». E continua: «non sapevamo quello che stavamo facendo, ma se riguardo adesso quel documento mi rendo conto che stavamo costruendo Myst per il mercato di massa. Volevamo che tutti potessero giocarci, dai bambini agli adulti. Avevamo la sensazione che fosse un salto, non solo un nuovo passo nell’evoluzione [dei nostri giochi] ma qualcosa di più grande».
Le influenze
Come moltissimi altri videogiochi nati a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, sia Doom sia Myst devono molto al gioco di ruolo Dungeons and Dragons. Molti dei temi, dell’immaginario e dei mostri di Doom, racconta Romero, vengono dritti da una lunghissima campagna di D&D a cui tutti i membri della id Software giocavano. E poi, ovviamente, c’è l’intero immaginario dei film splatter e horror: dalla serie de La casa (la motosega che può essere usata come arma nel gioco viene da lì) ad Alien. Romero racconta che, proprio nei mesi in cui stavano iniziando a progettare Doom, id Software ha ricevuto una proposta per realizzare il videogioco di Aliens, il secondo capitolo della saga di film diretto da James Cameron, di cui tutti loro erano grandi fan. Romero dice che «ci abbiamo pensato su mezz’ora e poi abbiamo deciso che no, non avremmo fatto un gioco di Aliens. Non volevamo che nessuno ci dicesse che dovevamo fare». Id Software voleva la libertà di lavorare su qualcosa di veramente innovativo. Ed è da lì che arriva il tema di Doom: «se vai nello spazio, la cosa tipica che puoi incontrare sono ovviamente gli alieni! Ma per me quella cosa era già stata fatta un milione di volte. Perché avremmo dovuto rifarla? Perché non facciamo facciamo che dei demoni che arrivano nello spazio? Così quando vai nello spazio, vedi l’inferno».
Anche Myst, a modo suo, deve molto a Dungeons & Dragons. Miller dice che ben prima di sviluppare il gioco, stufo delle campagne di D&D del fratello, tutte dadi e combattimenti, si era inventato il suo gioco di ruolo in cui i giocatori dovevano risolvere degli enigmi per esplorare il mondo. Qualcosa di molto simile a quello che è poi diventato Myst. Ma i puzzle non erano una vera passione di Miller, solo un modo per rallentare il giocatore: «tutti devono rallentare il giocatore nei videogiochi, si chiama attrito». «Visto che stavamo evolvendo Myst dai nostri giochi precedenti, sapevamo che non avremmo mai ucciso il giocatore. Per cui dovevamo trovare un’altro modo per rallentarlo: e così abbiamo messo dentro i puzzle. Né io né mio fratello [che con Rand ha progettato il gioco] eravamo particolarmente fan dei puzzle. […] Per noi Myst era un gioco di esplorazione, non un gioco di puzzle».
I soldi
Doom e Myst erano qualcosa che oggi chiameremmo giochi indipendenti: non avevano alle spalle una grossa società che li produceva e sono nati soprattutto con le forze, le idee, i sacrifici delle persone che ci stavano dietro. E con pochissimi soldi. Miller racconta che quando hanno fatto Myst, Sunsoft (l’azienda giapponese che ha prodotto il gioco) gli ha chiesto: quanti soldi vi servono? «Ed essendo i geni che eravamo, con la nostra proposta di sette pagine, ci siamo detti: be’, con un po’ di persone per farlo, un po’ di programmi… siamo arrivati a una cifra come 100mila dollari. E poi ci siamo detti, raddoppiamola: 200mila. E poi ancora: mettiamoci degli extra. Alla fine abbiamo chiesto 270mila dollari». Per fare Myst ce ne sono voluti almeno 500mila. Quando poi il gioco è uscito, diventando uno dei videogame più venduti della storia, Cyan studio è finalmente diventato uno studio vero e proprio. E quasi tutti i soldi che sono arrivati dalle vendite di Myst, sono stati reinvestiti in altri giochi. È per questo, spiega Miller, che Riven (il loro gioco successivo) è così bello: perché aveva un budget molto molto più alto di Myst.
John Romero racconta che id Software ha origini molto simili a Cyan. Anche lo studio di Doom è nato solamente con i risparmi dei quattro fondatori che, per un’intero anno, hanno vissuto spartendosi 2500 dollari al mese derivati dallo sviluppo di giochi per Softdisk, una cifra ridicola che avevano accettato solamente per evitare una causa con la società, da cui si erano appena separati. L’uscita di Wolfenstein 3D cambia le cose. Grazie a una strategia commerciale niente male (30 dollari per i primi tre capitoli, 15 dollari per i secondi tre e altri 10 dollari per il manuale con tutti i segreti), vende 4000 copie già il primo mese. Due mesi dopo Wolfenstein 3D, tutti i dipendenti di id Software guadagnano già 60.000 dollari l’anno. Durante lo sviluppo di Doom, quella cifra è salita ancora fino a 100mila dollari l’anno. «È facile calcolare quanto è costato Doom», dice Romero, «al tempo eravamo 8 persone, prendevamo 100mila dollari l’anno ciascuno, il gioco è costato 800mila».
La competizione
John Romero racconta di non aver mai giocato a Myst ma di averlo tenuto d’occhio. Al tempo, dice, il posto dove trovare le notizie era usenet, dove ogni settimana veniva aggiornata una classifica dei 100 migliori giochi. Romero dice che i ragazzi di id Software videro Myst (che è stato pubblicato qualche mese prima di Doom) scalare la classifica in pochissimo tempo e superare il loro Wolfenstein 3D. «Quando finalmente gli abbiamo dato un’occhiata, abbiamo scoperto che era un gioco d’avventura! Non sapevamo niente di Myst, non sapevamo che era su CD, non sapevamo ad alta risoluzione, non sapevamo che era stato pensato per il mercato di massa, ma eravamo lì a dire: “questo è l’anti-Doom, dobbiamo distruggerlo”».
Miller racconta una cosa simile, dopo aver finito Myst si è preso una lunga vacanza ed è andato in New Mexico. E «la cosa più divertente che ho fatto in New Mexico è stata giocare a Doom sul PC di un mio amico. Per me era un modo per andare più lontano possibile dal gioco che avevo appena finito di sviluppare e pensavo “cosa è questa roba? Demoni su Marte? Perché la gente dovrebbe giocare a questa roba?” ma non riuscivo a smettere».
La spiritualità
Myst e Doom sono giochi che hanno a che fare con la spiritualità o, se non altro, con il misticismo. Da una parte si esplora un’isola deserta, misteriosa e magica, dall’altra si combattono demoni venuti dall’Inferno. Ma qui i punti di vista divergono, se Miller era davvero intenzionato a mettere in Myst qualcosa che potesse far pensare il giocatore, Romero e id Software non ci pensarono nemmeno.
Miller pensa che i videogame siano ancora in una fase infantile o adolescenziale. I giochi, spiega, sono «una cosa incredibilmente potente e che stiamo ancora imparando ad usare. Non siamo ancora bravi ad usarli per evocare emozioni o metterci dentro un po’ di verità». Miller dice che lui e suo fratello si trovarono a cercare di inserire in Myst delle cose che potessero far pensare le persone a loro stesse o all’ambiente: «era roba piuttosto banale, niente di profondo. Ma ci abbiamo provato».
Per Doom, invece, la cosa è diversa. Romero dice che lui e Carmack erano solo ragazzi molto arrabbiati e molto dedicati. E che tutto ciò che hanno portato dentro al gioco — i demoni di Dungeons & Dragons, i pentacoli, i sacrifici rituali — per loro «non significava nulla». E continua: «pensavamo che fosse divertente e che fosse esagerato. Molte persone hanno interpretato Doom in modi molto diversi, ma mentre lo stavamo facendo noi pensavamo solo “facciamo esplodere tutto!”».