Abdicazioni, in principio fu Papa Benedetto XVI

Abdicazioni, in principio fu Papa Benedetto XVI

Si cominciò con una frase pronunciata in latino:

«Carissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino».

Con essa, il monarca dello Stato della Città del Vaticano Benedetto XVI rinunciava al suo ministero, lasciando vacante il trono della più antica monarchia europea. Dopo di lui, i monarchi di Olanda, Belgio e infine Spagna avrebbero rinunciato alla corona in favore dei loro figli maggiori. Perché, se in Spagna la famiglia reale attualmente gode di una popolarità in declino, altrove la monarchia è solida o comunque non oggetto di controversie. In Europa ne rimangono 12.

Cominciamo proprio dalla corona iberica.

Spagna
Prima dell’abdicazione di Juan Carlos, la monarchia ha subito diversi scossoni. A cominciare dal 1700, quando, in seguito all’estinzione del ramo spagnolo degli Asburgo, la corona passò a Filippo V di Borbone, che diede inizio a una violenta guerra di successione. Nel 1808 la corona passò a Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone, fino alla restaurazione borbonica del 1814. La prima seria crisi dinastica però iniziò nel 1833: con la morte di Re Ferdinando VII il trono passò alla figlia Isabella, che ancora doveva compiere tre anni, dopo una discussa legge che consentiva l’accesso al trono anche alle figlie femmine. Il fratello minore di Ferdinando, Don Carlos, non accettò il provvedimento: era l’inizio della prima guerra carlista che avrebbe diviso la Spagna fino al 1840 quando le forze favorevoli a Isabella vinsero la guerra. Questa guerra dinastica fu l’inizio della  divisione in Spagna tra carlisti, reazionari e favorevoli al mantenimento di un regime assolutistico, e legittimisti, liberali e favorevoli a un regime modellato su quello inglese. Ma anche la regina Isabella non si mostrò all’altezza delle aspettative.

Così, dopo un breve regno di Amedeo di Savoia, nel 1873 iniziò la Prima repubblica spagnola: instabile, divisa e durata poco più di un anno e mezzo. Le divisioni della società spagnola tra socialisti, repubblicani e anticlericali da una parte, contro carlisti, reazionari, possidenti e militari dall’altra si esacerbarono ulteriormente negli anni a venire. Fino al 1931 e alla proclamazione della Seconda repubblica spagnola, che diede inizio, cinque anni dopo, a una guerra civile che portò a devastazioni che nella penisola iberica non si vedevano dai tempi delle guerre napoleoniche.

A differenza che nella prima guerra carlista, questa volta vinsero i reazionari: il generale Francisco Franco, già comandante delle truppe di stanza in Marocco divenne reggente del trono. E nel 1975, alla sua morte, cedette il trono a Juan Carlos di Borbone, nipote dellultimo re Alfonso XIII. Nei suoi primi anni di regno deluse molto le aspettative di Franco e del Movimiento Nacional, procedendo speditamente verso la democrazia. Nel 1976 venne dimissionato Carlos Arias Navarro, ultimo presidente del consiglio franchista e il 15 giugno 1977 si tennero le prime elezioni democratiche, vinte dallUnione del Centro Democratico del nuovo premier Adolfo Suarez. A queste prime elezioni partecipò anche il partito comunista di Santiago Carrillo e Dolores Ibarruri, nemici numero uno del regime franchista. Carrillo, segretario generale comunista, definì il nuovo monarca “Juan Carlos il Breve” come a dire che sarebbe durato poco. Ma il sovrano conquistò il sostegno anche dell’estrema sinistra (Già nel 1977 il Re aveva ricevuto il leader socialista Felipe Gonzalez) con l’atteggiamento tenuto il 23 febbraio 1981 di ferma condanna dei golpe fascista di Antonio Tejero, che aveva invaso le Cortes con 200 uomini armati della Guardia Civil. In quel momento ci fu l’apice dell’interventismo del sovrano nella politica interna. Anche Carrillo, repubblicano convinto, disse: «Oggi siamo tutti monarchici».

Ma anche negli anni successivi Juan Carlos seppe mostrare il suo polso.

Un esempio per tutti: la firma della legge sul matrimonio omosessuale nel 2005. Prima di apporre il sigillo reale, il cardinale di Madrid Antonio Canizares aveva minacciato di togliergli il titolo di Sua Maestà Cattolica, detenuto dai sovrani di Spagna fino dalla fine del 400. Ma negli ultimi anni la Casa Reale è stata colpita soprattutto dagli scandali. Nel 2012, anno in cui ci fu una recessione dell’1,4%, il suo viaggio in Botswana a caccia di elefanti insieme alla sua amante, la tedesca Corinna Larson, costato 44mila euro a persona scatenò l’ira degli spagnoli. Questo scandalo, nell’anno in cui la disoccupazione toccò il 26,6% e ci furono le misure di austerity del governo di Mariano Rajoy, colpirono duramente gli spagnoli.

Ma gli scandali non coinvolsero direttamente solo il re: anche suo genero, lex capitano della nazionale spagnola di pallamano Iñaki Urdangarin nel novembre 2011 venne accusato dalla magistratura di appropriazione di fondi pubblici destinati a vari governi regionali e invece girati al suo Istituto Noos per svolgere lavori di ricerca fittizi per un totale di 5 milioni e 800mila euro. Da allora Urdangarin è stato escluso da ogni evento in cui fosse anche presente il re e Felipe, principe delle Asturie e futuro sovrano con il nome di Felipe VI. L’approvazione per Juan Carlos, prima del viaggio in Botswana, era dell’80% circa. Due anni più tardi, il suo consenso si è dimezzato al 41%, mentre quello dell’erede al trono rimane alto al 66 per cento

Questo però non potrebbe bastare: il consenso per partiti dichiaratamente repubblicani come Izquierda Unida e Podemos ha raggiunto il 18% e l’ala giovanile del Partito Socialista già al trentasettesimo Congresso del 2008 votò la risoluzione per il sostegno a un “repubblicanesimo civico”. La sera del 3 giugno, a Madrid, presso Puerta del Sol, decine di migliaia di persone si sono riunite per chiedere un referendum monarchia-repubblica al grido “España Mañana Será Republicana”. Infine, a coronare un difficile quadro per il prossimo monacrca Felipe, la questione catalana: il leader centrista Artur Mas, dopo essersi visto respingere dalla Corte Costituzionale spagnola il referendum per l’indipendenza, ha comunque intenzione di continuare a chiedere maggiore autonomia da Madrid.

Nei prossimi giorni, e precisamente il 7 e l’11 giugno, ci saranno altre manifestazioni repubblicane sotto le Cortes. I compiti del prossimo re, decisamente, saranno durissimi. E i prossimi mesi decisivi per le sorti dell’ultima corona mediterranea.

E le altre corone? Cominciamo con la più vicina alla Spagna

Andorra
Secondo la tradizione, Carlo Magno garantì lindipendenza al popolo di Andorra come ringraziamento per lo sforzo militare contro i Mori nel 805.  Da allora, e fino al 1278, Andorra fu un possedimento esclusivo del vescovo di Urgell, in Catalogna. In quellanno venne firmato un accordo di paretage, ovvero la divisione di un feudo tra due regnanti, in questo caso con il conte francese di Foix. Negli anni il titolo passò al re di Navarra e poi, con lascesa al trono di Francia di Enrico IV, al re di Francia. Questa divisione si mantenne poi per tutti i sovrani francesi. Anche quando la Francia diventò una repubblica. Dato che entrambi i co-principi vivono fuori dal territorio nazionale, allinterno del piccolo stato (85 mila abitanti per 466 km², poco più grande del comune di Grosseto) il sentimento monarchico, ma anche repubblicano, è quasi assente. Diventata a pieno titolo una democrazia parlamentare nel 1993, deve gran parte della sua prosperità al suo status di paradiso fiscale. Negli ultimi anni però, il piccolo regno è sotto pressione da parte dell’Ocse e dell’Unione europea per adeguare le sue regole bancarie. Il 26 marzo 2009 uno dei co-principi, Nicolas Sarkozy, minacciò di abdicare affinché il piccolo Paese si adeguasse agli standard Ocse. Impegno che venne mantenuto a novembre successivo.

Belgio
Qui la tradizionale visione del monarca costituzionale quale “garante dellunità dello Stato” è letteralmente vera. Soprattutto per la composizione linguistica del Paese: il Nord, che ospita il 59% della popolazione, parla fiammingo. Il Sud, che ospita il 41% della popolazione, è francofono. Due comunità ben definite, che si incontrano solo nella regione della capitale, Bruxelles, situata nel cuore delle Fiandre ma a maggioranza francofona. Come si è arrivati a questo conflitto che negli anni appena trascorsi ha rischiato di dividere il Paese?

Dopo la rivoluzione belga, nel 1830, che vide il Paese scindersi dal Regno d’Olanda, il nuovo stato, controllato per la maggior parte da un’alta borghesia francofona e cattolica, decise di favorire l’industrializzazione del Sud e di ridurre il fiammingo a una lingua di “seconda classe”.

Nel 1914, dopo che il Paese venne invaso dall’esercito tedesco, le autorità occupanti decisero di fornire sempre maggiore autonomia alla maggioranza fiamminga, creando un consiglio legislativo chiamato Raad Van Vlaanderen e aprendo la prima università fiamminga a Ghent nel 1916. 

Questa politica esacerbò i contrasti tra le due comunità linguistica tanto che il governo di Bruxelles cominciò a garantire la parità tra le due lingue. Ma fu solo negli anni ’60 che questa divisione si esacerbò, complice lo spostarsi delle regioni produttive da Sud a Nord: il ciclo produttivo dell’acciaio cominciò a non rendere più come un tempo, rendendo la Vallonia povera e in gran parte mantenuta da cospicui sussidi statali, mentre le Fiandre divennero sede di importanti multinazionali estere e di aziende manifatturiere nel settore della chimica. Oltreché uno sviluppo completo del settore agricolo, diventato proprio in quegli anni pienamente agrobusiness. 

In quegli anni, il partito socialista belga e quello cristiano-democratico si divisero lungo linee linguistiche e favorirono quasi esclusivamente l’interesse delle proprie comunità. Negli anni ’70 e ’80 la struttura del Paese divenne sempre più federale. La maggioranza fiamminga acquisì sempre maggior potere ed espresse tutti i primi ministri dal 1979 al 2011.

quell’anno, che accadde? In quell’anno la monarchia tornò protagonista. I monarchi di Bruxelles già in passato avevano avuto un ruolo che esula da quello di tradizionale monarca costituzionale: dal 1885 al 1908 Leopoldo II mantenne come un’azienda lo Stato Libero del Congo, sfruttando con brutalità la manodopera locale, tanto da creare scandalo in altre nazioni imperialiste come la Gran Bretagna. Il suo successore, Alberto I, fu probabilmente l’ultimo sovrano occidentale a guidare il suo esercito in battaglia contro il Kaiser durante la Grande Guerra. E Alberto II, infine, ebbe un ruolo fondamentale   nella soluzione della crisi di governo che attanagliò il Belgio tra il 2007 e il 2011: la sua opera di mediatore riuscì a mettere all’angolo il separatismo fiammingo, che alle elezioni del 2010 sotto la guida di Bart De Wever, leader del partito moderato di centrodestra Nuova Alleanza Fiamminga, chiedeva espressamente l’indipendenza delle Fiandre e la fine della monarchia dei Sassonia-Coburgo-Gotha. Il re si espresse chiaramente in francese dicendo, all’apice dello stallo nell’ottobre 2011, «ne ho abbastanza (j’ai en marre) come la maggior parte dei cittadini». Lo stallo era causato  da una disputa sulla circoscrizione Brussels-Halle-Vilvoorde, composta dai sobborghi di Bruxelles, fiamminghi, ma elettoralmente parte della regione di Bruxelles-Capitale. La questione che divideva inoltre i partiti fiamminghi da quelli francofoni era quella della maggiore autonomia delle due regioni, francofona e fiamminga. Grazie alla mediazione del sovrano, il 6 dicembre 2011 si arrivò finalmente a un accordo: più poteri per le due comunità in campo economico e nella gestione dei fondi del welfare. A guidare il governo andò il socialista francofono di origini italiane Elio Di Rupo. Questo fu la fine di uno stallo di 589 giorni.

Da allora, il Paese ha limitato la sua instabilità politica. Tanto che Alberto II ritenne di abdicare il 3 luglio 2013, avendo raggiunto il suo scopo. Non prima di aver messo in guardia i belgi nel suo messaggio di fine 2012, dai “movimenti populisti odierni”, troppo simili “a quelli degli anni ’30”, facendo arrabbiare molto De Wever. Nonostante il separatismo, i partiti esplicitamente repubblicani sono pochi e con scarso seguito: il maggior partito, il Rassemblement Wallonie France alle elezioni vallone del 2009 ha ricevuto solo l’1,37%. A fine 2010, il presidente francese Sarkozy si era detto disponibile, in caso di scissione, ad accogliere la Vallonia come nuovo dipartimento francese.

Dopo l’elezione di Di Rupo (e la sua probabile riconferma dopo le ultime elezioni politiche del 25 maggio), questo evento oramai è estremamente remoto.

Danimarca
Monarchia che affonda le sue radici nel Medioevo, divenne pacificamente una monarchia costituzionale nel 1849, il piccolo Paese scandinavo ha sempre goduto di una certa stabilità politica e istituzionale. Nella Seconda guerra mondiale la resistenza dellesercito danese fu di sole sei ore. Ma anche qui fu decisiva lazione del sovrano: Cristiano X. A differenza di altri regnanti, il sovrano danese rifiutò di lasciare il Paese. Sfruttando la visione di Hitler dei danesi come “fratelli ariani” dei tedeschi e data la volontà di mantenere il sistema democratico, venne formato un governo formato dai tutti i partiti politici. Grazie ad alcune concessioni (introduzione della censura sui quotidiani, messa al bando del Partito Comunista ed adesione al Patto Anticomintern) la Danimarca riuscì a mantenere il controllo, rifiutando di deportare gli ebrei (e portandoli in salvo nella neutrale Svezia), di introdurre la pena di morte e di trasferire le forze armate danesi sotto controllo tedesco. Durante questo difficile periodo, il sovrano ogni singolo giorno attraversava a cavallo le vie di Copenhagen, come a voler rimarcare la tenuta del sistema liberaldemocratico danese, anche sotto loccupazione tedesca.

Anche se dopo la seconda metà del 1943 la Danimarca venne posta sotto occupazione diretta, comunque questa politica di collaborazionismo “equilibrato” portò il Paese a un risparmio notevole di vite umane, con soli 6000 morti in 5 anni di occupazione. Successivamente, il Paese si è mantenuto nell’orbita occidentale, con un ruolo molto ridotto del sovrano, che dal 1972 è la regina Margrethe II. A differenza del suo omologo belga, il sovrano danese non ha alcun peso neanche nelle consultazioni di governo. Di conseguenza, è quasi inesistente qualunque movimento repubblicano.

Lussemburgo
Il piccolo granducato separò le sue sorti dallOlanda nel 1890, quando divenne regina Wilhelmina, ultima figlia del re Wilhelm III. Per il Lussemburgo questa era una violazione della legge salica, che quindi passò a una casata cadetta degli Orange-Nassau, i Nassau-Weilburg. Durante la Prima Guerra Mondiale, il Paese venne invaso dalla Germania. Ma, a differenza del Belgio, qui loccupazione non fu particolarmente dura, ma anzi la granduchessa Maria Adelaide (salita al trono dopo lestinzione dei maschi della casata) mantenne relazioni cordiali con Berlino, tanto da ospitare il Kaiser Guglielmo II nel palazzo granducale. Questo causò forti proteste da parte di Parigi, che chiese che, una volta finita la guerra, la granduchessa abdicasse. Il 9 gennaio 1919 una coalizione di liberali e di socialisti proclamò la repubblica, causando disordini che portarono a un intervento congiunto franco-belga per ristabilire lordine. La granduchessa decise di abdicare il 14 gennaio successivo in favore della sorella minore Carlotta. Ma non bastò a placare la furia della sinistra, che chiese, e ottenne un referendum sulla forma politica dello Stato. Il referendum del 28 settembre successivo diede un risultato schiacciante a favore della monarchia. La scelta fu anche dettata dal timore di perdere l’indipendenza, vedendosi minacciata dalle mire espansionistiche francesi. Da allora, il sostegno per la monarchia non calò mai, incarnando l’indipendenza e la libertà del Paese. Nessuno scandalo ha mai toccato la casa regnante, da allora, complice anche la prosperità economica del Paese.

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