L’ossessione della Selección per Messi campeón

L’ossessione della Selección per Messi campeón

«Alla mia squadra chiedo concentrazione. Un medico deve rimanere concentrato fino a 12 ore per evitare che muoia un paziente; io chiedo solo 90 minuti, niente di più.»
(Carlos Bilardo, calciatore, ginecologo e allenatore della nazionale argentina campione del Mondo nel 1986)
 

Introduzione

A fine 2013 si è verificata una delle più forti ondate di caldo della storia argentina, ed io ero lì in mezzo: tutte le televisioni ne parlavano e c’era chi si buttava nei fiumi, anche a costo di farsi spolpare vivo dai piranha (o palometas). Buenos Aires era talmente deserta da farmi rimpiangere Roma a Ferragosto, era il 26 dicembre e probabilmente erano andati tutti da qualche altra parte, tranne me. Ormai smarrito nel surreale silenzio del barrio Palermo, individuo un solo bar aperto, con aria condizionata, e così sia. Ci rimango per ore, scoprendo che Tévez non andrà ai Mondiali, e che la Nazionale argentina sta cambiando pelle. “Una vera squadra ha bisogno di compattezza, non bastano i giocatori più forti. Tévez e Messi non funzionano bene, anche a livello caratteriale. Sabella l’ha capito, la cosa più importante è la squadra, basta con queste accozzaglie di singoli che non si sopportano. Il Brasile è favorito, logicamente, ma noi un po’ ci crediamo. Magari anche una preghiera del Papa, sai, hai visto il San Lorenzo?” Non sono parole di un giornalista, ma del barista che mi stava servendo una Quilmes. In quel momento ho cominciato a pensare all’Argentina come rivale principale del Brasile.

 

Messi e l’Argentinidad

Non è il caso di girarci troppo intorno: c’è una questione Messi nella Nazionale argentina. Nonostante i numeri siano sempre dalla sua parte (37 gol in 84 partite, più di Maradona, e secondo solo a Batistuta), le sue prestazioni non hanno mai davvero convinto i tifosi, e l’assenza di trofei importanti ha contribuito ad alimentare una strana prospettiva su Messi, una prospettiva tutta argentina. In parte è colpa della sua ridotta “argentinidad”: Lionel ha abbandonato il Paese a 13 anni; non ha mai giocato neanche una partita nel campionato argentino. Insomma, è sempre stato poco presente nella vita dei tifosi argentini, e anche la sua proverbiale timidezza è vista come una sorta di distanza dalla gente. Persino la figlia del c.t. della Nazionale ha espresso il suo parere negativo: Messi sarebbe un “pecho frio”, letteralmente uno freddo di petto, ma forse dovremmo ricorrere a una terminologia molto più forte, indicando un’altra zona del corpo, ma la sostanza è la stessa: Messi non ha grinta, si nasconde. Questo è il Mondiale decisivo per la sua carriera: ci arriva dopo una stagione non particolarmente dispendiosa (da 5 stagioni non giocava così “poco”: 46 partite in tutto con il Barça), anche se condita da vari infortuni e dai misteriosi conati di vomito; si gioca in America Latina, unica area geografica-culturale nella quale l’Argentina è riuscita a vincere la Coppa. Questo è il Mondiale da vincere a tutti i costi: dopo potrebbe essere troppo tardi. Nessun numero 10 ha vinto la Coppa del Mondo oltre i 30 anni (Messi ne avrà 31 nel 2018) e tutti l’hanno vinta entro il terzo tentativo (Russia 2018 per Messi sarebbe il quarto). Zidane a 34 anni stava per rompere il sortilegio dell’età (e non l’ha fatto, per fortuna), ma Zizou aveva già vinto un Mondiale a 26 anni, ed era già l’idolo della gente. Prendeteli come indizi di come si vince una grande competizione da leader designato della squadra, l’uomo che (volente o nolente) si deve caricare tutta la pressione sulle spalle. Insomma questo è il Mondiale giusto, o forse l’ultimo, per diventare l’idolo della gente, il vero punto di riferimento dei suoi connazionali. Adesso, infatti, el jugador del pueblo è un altro: Carlos Tévez. 

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