A Manaus fa molto caldo, è vero. Minimo cinque docce al giorno consigliano i manauaras, due bicchieri d’acqua prima di uscire di casa e uno arrivati a destinazione, qualunque essa sia. Perché non esiste negozio, palazzo, casa, baracca, parrucchiere o manicure che non sia dotato di taniche d’acqua potabile e bicchieri di plastica cui generosamente attingere per placare la sofferenza. Cosa si può pretendere da un’enorme isola di cemento nel bel mezzo della foresta amazzonica? È intuitivo il caldo, basta arrivare in città in aereo. C’è il centro. Poi a ovest, nord ed est i quartieri vicino al centro, la periferia in inarrestabile espansione e, ai margini, la foresta.
A sud, Manaus si affaccia sul Rio Negro, un fiume che parte dalla Colombia e dopo 2000 Km s’incontra proprio davanti alla città con il Rio Solimoes, creando la principale attrazione a disposizione di qualunque visitatore, l’Encontro das Aguas (incontro delle acque). Dopo soli 6 Km dall’incontro il Rio Negro lascia spazio al Rio delle Amazzoni. La confluenza di questi tre fiumi è lungi dall’essere una semplice meraviglia trasformatasi in business per le agenzie di viaggi. Questo incontro è il simbolo degli intrecci, delle connessioni e della dinamicità che hanno dato vita alla città di Manaus. La maggior parte dei suoi abitanti sono migrati più o meno recentemente dalle comunità e le cittadine di cui è costellato lo Estado do Amazonas, il più grande del Brasile e di cui Manaus è capitale con circa un 1.800.000 abitanti. I continui e lenti movimenti di genti e merci da e verso la città sono permessi proprio dai tre maestosi fiumi che consentono a questo grande spazio urbano di rimanere interconnesso con le pratiche, le risorse e la vita dell’amazzonia rurale.
(EVARISTO SA / AFP)
I tre rios sono stati e tutt’ora sono i medium di quell’intensissimo traffico di relazioni sociali, culturali, politiche ed economiche che hanno plasmato a partire dalla fine dell’800 questo peculiare spazio urbano. Il centro di Manaus è a tratti decadente e continua a raccontare dei vecchi fasti dell’epoca dell’estrazione e commercio della gomma. Epoca breve che, come scrisse il poeta Mario de Andrade dopo aver visitato la città negli anni 20, passò dall’essere «vergine di lusso» a «donna feconda». Nata dall’incontro tra europei e popolazioni locali, Manaus è molto lontana dagli stereotipi diffusi non solo tra i gringos (gli stranieri), ma anche molti abitanti delle megalopoli del sud del Brasile. Non è difficile a Rio de Janeiro conversare con persone che si chiedono se a Manaus vivano solo indios, se ci sia un sistema di fognature e stupirsi che in alcune zone vi siano palazzi con appartamenti anche di super lusso.
Nonostante i vecchi fasti e le antiche connessioni internazionali Manaus continua ad essere vista come un grande villaggione in mezzo alla foresta, attraversato da indios immaginati spesso cristallizzati dentro una supposta immagine tradizionale che da secoli non rende loro giustizia. Ad essere sinceri il tessuto urbano di Manaus è costellato di piccole comunità indigene fondate dai indios migranti, che faticosamente rivendicano il diritto alla città proprio costruendovi piccoli agglomerati di case lontani dagli sguardi dei visitatori. In molti casi queste comunità, tra le più popolari ad esempio quelle degli indios Saterè Mawè resi famosi dall’ormai globalizzato guaranà, si confondono quasi totalmente nel labirinto dei quartieri iperurbanizzati in cui sorgono.
(Mario Tama /Getty Images)
Non bisogna illudersi, visitarle è un’esperienza che non ha nulla di esotico. Automobili, case comuni, televisioni, vestiti alla moda e forse un orto un po’ più curato adiacente ad un grande ipermercato. Nella maggior parte dei casi, questi piccoli villaggi urbani vengono costruiti nelle aree più povere e carenti della città accanto alla moltitudine di favelas presenti a Manaus e lontane dagli itinerari turistici. Se è vero che alcuni indios urbani lavorano in un piccolo mercatino in centro di oggetti tradizionali (a misura di turista) la maggior parte di loro si uniscono all’esercito di lavoratori che dalle periferie si riversano quotidianamente nel caotico e coloratissimo centro della città e nel suo impareggiabile mercato affacciato sul porto, punto nevralgico di Manaus e luogo per eccellenza di smistamento di merci e passaggi umani. Dal porto centrale si raggiunge in pochi passi e molto sudore e rumore il mercato che ospita una varietà inimmaginabile di pesci di acqua dolce, di frutta, (quella sì) esotica, di erbe, verdure e di banane. Sì, perché il mercato di Manaus ospita un’immensa area in cui si vendono solo banane, di qualunque misura, colore e consistenza. Da mangiare crude, fritte, bollite, in insalata, con il pesce.
Ci si potrà chiedere, in un giorno come questo a poche ore dall’esordio degli Azzurri al Mondiale, cosa c’entrano le banane, gli indios, le generose taniche di acqua potabile e le connessioni umane, culturali ed economiche. C’entrano eccome poiché sembra che tutto quello che è dato sapere all’estero su Manaus è: fa caldo, poi ci sono i temporali e forse c’è il rischio black out. Che c’è uno stadio che solo quattro anni fa era un cratere polveroso e incistato nel tessuto urbano e con un campo un po’ disastrato. Uno stadio che è costato troppo per uno stato come quello dell’Amazzonia che ospita cittadine con l’Idh (indice di sviluppo umano) tra i più bassi del Brasile e che ha provocato, anche a Manaus, un’intesa ondata di proteste, anche perchè tre lavoratori sono morti per incidenti connessi alla costruzione dell’Amazonia Arena.
(Mario Tama / Getty Images)
Manaus è una città che nasce dagli incontri, dagli scambi e da antiche e spesso tristi forme di mobilità internazionale e, conoscendola bene, confido sia perfettamente in grado di ospitare i flussi che la investiranno durante l’evento forse più globale dell’epoca contemporanea. Non foss’altro per l’esclusiva accoglienza che i manauaras riservano ai forestieri, la più calda che abbia mai ricevuto nella mia vita. Per citare il sambista manauara Chico da Silva e una sua meravigliosa musica Domingo de Manaus, «A chi non conosce e non ha mai visitato Manaus, vi sto dando consigli per far fuggire la vostra anima dal caos». O meglio, un decalogo per gli italiani che in questi giorni si troveranno a Manaus.
1. Comprate un’amaca, di quelle “vere”, belle e solide.
2. Perdetevi nel mercato del pesce e delle banane.
3. Mangiate senza timori il piranha con la farina di manioca croccante. Attenti alle spine!
4. Abbuffatevi del frutto più buono del mondo, il Tucumà. Non lo troverete in nessun’altra città del Brasile.
5. Evitate il Tacacà, o meglio provate questa strana zuppetta, ma non credete ai manauaras. È terribile!
6. Cercate un modo per vedere i Boto, i delfini rosa. Magari in prossimità dell’Encontro das Aguas, ma attenzione perché su questi meravigliosi mammiferi di fiume esistono terribili leggende. Scopritele e ricordatevi che prevenire è meglio che curare.
7. Comprate uno di quegli asciugamani minuscoli per asciugare il sudore ad 1 real che vendono in strada. Fidatevi, vi servirà.
8. Visitate l’imponente Teatro do Amazonas, anche se, abituati alle architetture europee, non vi impressionerà.
9. Bevete una cerveja bem geladinha in un losco baretto del centro o al Bar Caldeira, al Bar do Armando e al Bar dos Cornos.
10. Trascorrete almeno una notte in barca facendovi cullare dal Rio delle Amazzoni. Per dormirci, rimando al punto 1.