29 maggio 1928. Henry Delaunay, francese, vede il suo progetto di torneo mondiale per nazioni approvato dal congresso di Amsterdam. «Questa Assemblea» si leggeva nella risoluzione approvata «decide di organizzare nel 1930, una competizione aperta alle squadre nazionali di tutte le federazioni associate». Il presidente della FIFA, Jules Rimet accettò di organizzare il torneo in Uruguay e affidò il progetto del trofeo all’orafo parigino Abel LaFleur: nacquero i mondiali di calcio e con loro la Coppa Rimet, 30 centimetri di altezza per un peso complessivo di 3800 grammi di cui 1800 in argento placcato oro.
Nel 1930 parte la saga dei mondiali di calcio e l’Uruguay si aggiudica la prima edizione battendo in finale l’Argentina per 4-2. Rimessa in palio nelle competizioni dei ’34 e del ’38 il trofeo arriva in Italia, e allo scoppio della seconda guerra mondiale si trova proprio a Roma. Da qui parte la leggende della coppa di monsieur Rimet: nazisti, furti, riscatti, aste da centinaia di migliaia di sterline e falsi. Intanto il trofeo con le ali fa il giro del mondo.
Nel 1938 l’Italia di Giuseppe Meazza e Silvio Piola torna in patria con la coppa vinta a Parigi in finale contro l’Ungheria di Sarosi, al tempo una delle maggiori scuole di calcio europee. Alla federazione, dunque, il compito di conservare e riconsegnare la coppa nelle mani della nazione che avrebbe poi ospitato il successivo mondiale. Il segretario della Federcalcio Ottorino Barassi visto l’approssimarsi del conflitto mondiale in quel di Roma, e informato di una spedizione della Gestapo per requisire il trofeo, custodisce la coppa prima nella sua abitazione romana, per poi consegnarla al nuovo commissario della Federazione Giovanni Mauro. Mauro a sua volta, e qui si sconfina nella leggenda, la nascose nella casa di campagna del primo centravanti della nazionale italiana, Aldo Cevenini (una carriera tra Milan e Inter dal 1909 al 1923), ricordato anche come Cevenini I.
Sarà Giovanni Mauro a riconsegnare la coppa Rimet alla Fifa nel 1950. Per ora la coppa è salva e i mondiali di calcio dopo gli anni della guerra possono ripartire. Come da regolamento chi si aggiudicherà per tre volte il mondiale potrà conservare definitivamente la Coppa Rimet. Dai mondiali in Brasile del 1950 parte dunque la rincorsa a “Victory”, nomignolo con cui l’orafo parigino LaFleur battezzò la coppa prima dell’intitolazione a Jules Rimet.
Dal 1950 al 1966 si alternano i successi di Uruguay, Germania Ovest, Brasile (che si aggiudica due tornei di fila, nel ’58 e nel ’62) e Inghilterra. Ed è proprio il mondiale vinto dai maestri inglesi tra le mura amiche che fa tornare d’attualità la leggenda della Coppa Rimet. Poco prima dei mondiali durante un’esposizione la coppa viene rubata. La federazione inglese riceve una richiesta di riscatto che certifica l’integrità del trofeo. Dopo l’arresto di un ladruncolo, il quale dirà di aver compiuto il furto su commissione dietro a una ricompensa di 500 sterline, sarà un cane, Pickle (traduzione “sottaceto” o “cetriolino”), a ritrovare la coppa scavando in un parco vicino Londra.
Pericolo scampato, sempre che quella coppa fosse effettivamente l’originale. A quel punto la federcalcio inglese chiede alla Fifa di poterne fare una copia per tenere al sicuro l’originale. Permesso negato dal board del calcio mondiale. A far paura agli inglesi però non sarà di certo la Fifa: il gioielliere George Bird viene quindi incaricato di farne una replica in bronzo, la stessa che mostrarono ai tifosi nel post partita, mentre la polizia mise al sicuro l’originale che invece si era vista in campo dopo il 4-2 a Wembley ottenuto da Charlton e soci contro la Germania.
Anno 1970. Nel Brasile c’è il miglior calciatore al mondo, un certo Pelè, e i campionati del mondo sono organizzato in Messico. La Coppa Rimet deve arrivare a Rio de Janeiro, ma gli inglesi, narra ancora la leggenda, in Brasile ci mandano la replica di mister Bird e non l’originale. I mondiali di quell’anno assegnano definitivamente il trofeo al Brasile, che si cuce la terza stelletta sulle maglie verde oro e si tiene la coppa. Nel 1983 cinque ladri, tra cui un ex dipendente della federcalcio brasiliana rubano il trofeo dalla sede della stessa federcalcio.
Una vicenda ancora tutta da scrivere: «Nel 1995 il gioielliere Bird» scrive in un simpatico articolo apparso nel 2006 su La Gazzetta dello Sport Francesco Bonami, fino al 2008 direttore del Museo d’arte contemporanea di Chicago «tira il calzino e la famiglia trova la “copia” della coppa Rimet sotto il letto e decide di metterla all’asta. Nel catalogo della casa d’asta Sotheby’s la coppa viene descritta come una “replica”, ma il valore che gli viene dato è sospetto: 20-30 mila sterline, che a quei tempi saranno stati almeno 90 milioni di lire, uno squasso per un affare che al massimo era costato 5 milioni di bronzo. Va in asta e due offerenti se la contendono fino a portare il prezzo finale a 254.500 sterline, più di 750 milioni di allora. Chi era il gonzo che se l’ era comprata? La stessa Fifa, lottando contro la federazione brasiliana. Entrambi convinti di aver a che fare con l’originale . Invece? Colpo di scena come nel famoso film di Humphrey Bogart, “Il falcone maltese”: la sculturina si rivelerà falsa. I brasiliani avranno tirato un sospiro di sollievo, gli allocchi della Fifa saranno rimasti con un palmo di naso. Il mistero, comunque, rimane. La coppa Rimet viaggia intorno al collo e sulle dita di qualche magnaccia brasiliano o è ancora tutta intera sugli scaffali, magari, della casa di campagna di un amico di Pelé?».