I videogiochi violenti ci rendono più sensibili?

I videogiochi violenti ci rendono più sensibili?

Una ricerca firmata da Matthew Grizzard, PhD e assistente professore al dipartimento di comunicazione dell’università di Buffalo, prova — ancora — ad analizzare che effetto hanno i videogiochi su di noi. Lo studio è stato pubblicato online lo scorso 20 giugno e ha un titolo che dice già quasi tutto su quello che i ricercatori hanno scoperto: Being Bad in a Video Game Can Make Us More Morally Sensitive. Ovvero, Essere cattivi in un videogioco può renderci più moralmente sensibili.

Molti videogiocatori potranno già confermare la scoperta principale dello studio: commettere atti immorali, anche se dentro a un videogame e a un ambiente virtuale, ci fa sentire in colpa (un famoso esempio di questa verità potrebbe essere il livello del gioco Call of Duty 4 in cui il giocatore compie un attacco terroristico contro civili innocenti all’aeroporto di Mosca). La seconda parte dello studio è ancora più interessante: i ricercatori hanno osservato che, dopo aver avuto comportamenti violenti e immorali nei videogiochi, i giocatori hanno dimostrato una maggiore sensibilità nei confronti degli specifici valori morali che hanno infranto. La ricerca suggerisce anche la possibilità che i comportamenti violenti, invece di indurre altri comportamenti violenti come è facile pensare, portino invece a comportamenti positivi (nello specifico quelli che gli psicologi chiamano prosocial behaviour, i comportamenti che portano beneficio alle altre persone o all’intera società).

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista a revisione paritaria (metodo che garantisce una revisione dei contenuti da parte di altri ricercatori) Cyberpsychology, Behavior and Social Networking ed è stato condotto su 185 persone tra i 18 e i 29 anni. Ai giocatori è stata fatta giocare una versione modificata dello sparatutto del 2001 Operation Flashpoint: Cold War Crisis, il primo gioco della popolare serie di giochi di guerra ARMA. Il gioco, ha spiegato il dottor Matthew Grizzard a Polygon, è stato scelto perché in altri studi si era già dimostrato in grado di suscitare sensi di colpa nel giocatore.

La ricerca è andata così: i partecipanti sono stati divisi in quattro gruppo: due gruppi di controllo impegnati in un quiz di memoria e due gruppi di videogiocatori. Ai due gruppi di videogiocatori sono stati assegnati due parti diverse all’interno del gioco. Metà è stata messa nel ruolo di terroristi, metà hanno giocato come forze pacifiche delle Nazioni Unite. Ai giocatori messi nel ruolo dei terroristi e a metà di quelli impegnati nel quiz di memoria è stato poi chiesto di scrivere di una situazione in cui si sono sentiti particolarmente in colpa (agli altri è stato semplicemente chiesto di scrivere di un giorno normale della loro vita).

I giocatori che hanno interpretato dei terroristi nel gioco, hanno scoperto Grizzard e i suoi colleghi, hanno scritto in particolare dei valori morali che avevano infranto durante il gioco (ad esempio, la coppia di valori prendersi cura/ferire). E anche se il senso di colpa provato dei giocatori per le loro azioni durante il gioco era meno intenso di quello descritto nei testi scritti dai soggetti sottoposti al quiz di memoria, i ricercatori dicono nello studio che «il senso di colpa provato durante il gioco è funzionalmente simile a quello provato nella vita vera».

Lo studio è un primo passo nel mostrare l’impatto che hanno le esperienze immersive come i videogiochi nelle scelte morali fatte nella vita vera. Ed è, scrive Grizzard, «particolarmente importante» per capire le conseguenze che i videogames hanno sulla porzione di giocatori che gioca di frequente videogiochi violenti. Grizzard è già al lavoro su un nuovo studio — non ancora pubblicato — per analizzare le conseguenze a lungo termine dell’esposizione a questo genere di videogiochi.

X