Piacciano o meno i loro cori barocchi, le loro sferzate glam rock, le loro incursioni nel synth pop, tutto si può dire dei Queen tranne che non siano state una delle più grandi live band della storia del rock. È attraverso i loro concerti e, soprattutto, grazie alla teatralità istrionica del loro frontman Freddie Mercury, che ce li ricordiamo, del resto. Per gran parte delle loro canzoni – dal tum-tum-cha di We will rock you, sino all’incoronazione catartica di We are the champions, l’encore per antonomasia — la versione live ha soppiantato quella ufficiale. E forse nessun altro cantante — anzi: forse solo Elvis — si identifica con l’immagine iconica della sua tenuta live — baffi, chiodo giallo, pantaloni bianchi, mantello e corona – come Mercury.
Di cosa parliamo quando parliamo di tum tum cha
Paradosso dei paradossi, quando parliamo dei Queen, di quella tenuta, dei loro grandi concerti, parliamo del momento meno creativo della band, quello che va dall’84 all’87, lontano dai fasti di Bohemian Rapsody, Another one bites the dust, Don’t stop me now, Somebody to love, Under Pressure. Certo, non che abbiano disimparato a fare canzoni di successo — e brani come Radio Ga Ga, A kind of magic e I want to break free ne sono l’esempio più lampante — ma la percezione che i fasti siano alle spalle ce l’hanno un po’ tutti, dal pubblico alla critica. Per dire: nell’84 incidono pure la canzoncina di natale —Thank God it’s christmas — roba da Mariah Carey, non certo da icone rock.
I Queen dei tempi d’oro, con sottitoli in giapponese
Comunque, dicevamo, quello dall’84 all ’87 è un periodo di grandi concerti. Nel contesto di un doppio tour mondiale — prima quello di Works, poi il Live Magic – suonano a Rio de Janeiro, sulla spiaggia di Copacabana, alle due di notte, davanti a oltre 250amila persone. Suonano a Wembley, per il Live Aid e in venti minuti scarsi di scaletta — e che scaletta: Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, Hammer to Fall, Crazy Little Thing Called Love, We Will Rock You e We Are the Champions, lasciano senza fiato 70mila persone. Suonano a Budapest, prima band a esibirsi oltre Cortina. Soprattutto, però, suonano a Knebworth Park, per quello che sarà il loro ultimo live.
Concerto per cui è impossibile non dire: «Avrei voluto esserci»
È il 9 Agosto del 1986. Il Live Magic è finito qualche giorno prima e i Queen hanno ormai la testa altrove: chi a progetti paralleli, come il batterista Roger Taylor, chi dai propri guai fisici, come il bassista John Deacon, sull’orlo di un esaurimento nervoso per i troppi spostamenti dei due anni precedenti. Il loro manager Kevin Goldsmith, tuttavia, riesce a convincere i Queen a fare un’ultima data. A Knebworth Park, nell’Inghilterra settentrionale, vicino a Stevenage.
«Sembrava ci fosse un numero infinito di persone che voleva vederli dal vivo»
Accorrono in 120mila. I Queen arrivano a bordo di un elicottero griffato A Kind of magic, come il loro album uscito da poco. Il concerto è memorabile, anche se macchiato da un tragico accoltellamento avvenuto tra il pubblico, a cinquanta mentri dal palco. Nel party successivo allo show, Mercury si lascia scappare che quello sarebbe stato il loro ultimo concerto. Nessuno, tuttavia, se non qualche provvidenziale fan, pensò a farne una registrazione video. Mercury si ammalò di Aids due anni dopo. Per The Miracle e Innuendo, i loro due ultimi album, la band non fece alcun tour. L’ultima incoronazione della Regina rimase quella di Knebworth.
L’ultima incoronazione della Regina