Kiev – Sul gigantesco pannello che ricopre lo scheletro in muratura dello Zum (Zentralny Univermag), lo storico magazzino centrale in ricostruzione sul Kreshchatik, il vialone che porta a Maidan, la scritta è inequivocabile: Ucraina, Edina Strana (Paese unito). I colori sono l’azzurro e il giallo del vessillo nazionale. I lavori stanno andando avanti da un paio d’anni, da quando alla Bankova, la residenza del capo dello Stato distante solo qualche centinaio di metri in linea d’aria, c’era ancora Victor Yanukovich. L’appalto per il rifacimento dello Zum, ereditato dai tempi dell’Unione Sovietica e più facile da ricostruire ex novo che da ristrutturare, se l’era aggiudicato Rinat Akhmetov, l’oligarca più potente dell’Ucraina e principale sponsor filopresidenziale del Partito delle regioni. La rivoluzione iniziata ormai quasi un anno fa ha spazzato via Yanukovich, ma non Akhmetov; né tantomeno il partito che è risorto alle scorse elezioni parlamentari con il nome di Blocco d’opposizione, conquistando quasi il 10% a livello nazionale e rimanendo la prima formazione in cinque regioni del sudest, lasciando dietro di sé l’alleanza di Petro Poroshenko e Vitaly Klitschko e il Fronte popolare di Arseni Yatseniuk.
A spingere gli eredi di Yanukovich in prima fila c’è ovviamente Akhmetov, che ha lasciato la sua residenza di Donetsk e si è spostato nella più tranquilla Kiev, ma è ancora il padrone del Donbass. Accusato di aver sovvenzionato inizialmente i separatisti, il presidente dello Shakhtar, che ora segue la squadra a Leopoli, visto che nell’Arena di Donetsk, poco distante dall’aeroporto conteso tra ribelli e governativi, ogni tanto ci piovono bombe, è rimasto uno dei grandi giocatori allo sconquassato tavolo ucraino. Le elezioni sono servite anche per rimescolare le carte con le quali gli oligarchi si presentano sul tavolo politico.
È il maggio 2014 e siamo a Donetsk. Alcuni miliziani filo-russi bloccano l’ingresso dell’abitazione di Rinat Akhmetov dopo che l’oligarca si è schierato per l’unità del Paese e contro il movimento separatista a Est. Akhmetov è accusato di aver inizialmente finanziato i separatisti (ALEXANDER KHUDOTEPLY / Getty Images)
Gli altri sono altrettanto identificabili: se Dmitri Firtash, pezzo grosso del gas con buone connection verso la Russia se ne sta a Vienna seguendo comunque da vicino il progetto del Blocco d’opposizione, pilotato dal vecchio capo dell’amministrazione presidenziale Sergei Liovochkin e dall’ex ministro dell’energia Yuri Boiko, il maggiore rivale è Igor Kolomoisky, governatore di Dnipropetrovsk e responsabile della grande ascesa di Arseni Yatseniuk e del suo partito della guerra. Nemico numero uno in Ucraina di Vladimir Putin, Kolomoisky è il finanziatore anche di alcuni battaglioni di combattono nel Donbass e ha pure speso di tasca propria per lanciare Ukraine Today, la risposta propagandista alla più illustre Russia Today controllata dal Cremlino. Ha cercato di mettere in un angolo Akhemtov, senza però riuscirci sino in fondo, e ora si trova a duellare nemmeno a troppa distanza con Petro Poroshenko, l’oligarca che ha fatto il salto dal business alla politica, eletto presidente a maggio.
Gli operai di una delle fabbriche di Rinat Akhmetov partecipano a una manifestazione pacifica nel Donbass contro i separatisti filo-russi. L’iniziativa è partita dallo stesso Akhmetov, come avevamo raccontato in questo articolo (DIMITAR DILKOFF / Getty Images)
Poroshenko, il re del cioccolato, è ora impegnato a formare un governo di coalizione con l’intento di tenere a bada il fronte guerraiolo di Yatseniuk e di Andrey Sadovy, sindaco di Leopoli di per sé moderato, ma che ha arricchito il suo nuovo partito con i kalashnikov, a partire da quello di Semion Semenchenko, numero due di una lista alquanto variegata, guarda caso fondatore del battaglione Donbass finanziato da Kolomoisky. A differenza di quest’ultimo, Poroshenko che non è certo un amante del Cremlino, ma è un moderato pragmatico, è alla ricerca della via di mezzo per non finire male, magari come il suo predecessore Yanukovich, abbattuto da un’altra rivoluzione ad hoc.
Se al tavolo degli oligarchi non verrà trovata insomma una pax oligarchica per traghettare il Paese verso lidi più tranquilli, il rischio è che l’Ucraina, che ha già perso la Crimea e di fatto una fetta del Donbass, si laceri ancor di più. Rendendo la patriottica gigantografia sullo Zum di Akhmetov solo un’illusione.