Bankitalia: nessuno tocchi i nostri stipendi

Bankitalia: nessuno tocchi i nostri stipendi

Si dibatte spesso di declino dello stato-nazione, portando ad esempio le multinazionali apolidi con il fatturato pari al Pil di un Paese europeo di media grandezza, la grande finanza internazionale in grado di spostare masse enormi di denaro da un mercato ad un altro e, nel caso specifico europeo, la “tecnocrazia”, creata per gestire le istituzioni comunitarie e che, nel tempo, ha assunto un ruolo sempre più pervasivo ed indipendente. Talvolta, il dibattito scade e viene strumentalizzato per motivi di bassa cucina politica. Il problema, tuttavia, esiste e sarebbe ipocrita nasconderlo, per timore di strumentalizzazioni.    

Un caso di scuola, a mio parere, è costituito dal rifiuto di Banca d’Italia di sottoporsi al tetto dei 240.000 euro per le retribuzioni, imposto dal Governo Renzi e diventato legge dello Stato italiano. Banca d’Italia è l’unica realtà delle Pubbliche Amministrazioni (e delle società partecipate dalle stesse) che, per il momento, non è sottoposta a tale vincolo. E non perché il Parlamento ha modificato la legge, ma perché è la Banca d’Italia che ha deciso così.  È quindi estremamente importante analizzare la Deliberazione del Consiglio Superiore di Banca d’Italia del 30 ottobre 2014, resa pubblica in questi giorni , per capire la logica che muove la tecnocrazia europea.

Soddisfiamo subito la curiosità sull’ammontare delle remunerazioni, così sgombriamo il campo dagli elementi di cronaca. La Deliberazione di Bankitalia contiene alcuni dati, non molti in verità, di confronto sulle remunerazioni di altre banche centrali europee. Come era noto, emerge che i componenti del Direttorio guadagnano più dei loro colleghi della Banca Centrale Europea. Per curiosità: il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco percepisce 495.000 euro, mentre Mario Draghi, Presidente della Bce, ne percepisce 378.240 euro e il Presidente della potente Bundesbank 418.146 euro. Al lettore giudicare se Banca d’Italia ha ragione nel sostenere che i componenti del Direttorio «rivestano nel contesto europeo la più ampia estensione di competenze sul piano istituzionale». Sta di fatto che, in virtù della Banking Union, la Banca d’Italia, come tutte le altre banche centrali europee, ha trasferito a Francoforte le competenze nell’ambito della vigilanza sulle banche di maggiore dimensione.   

Arriviamo quindi alle motivazioni, la parte più interessante della deliberazione. È interessante perché mostra il modo con cui in Europa la “tecnocrazia” cerca di porsi al di sopra delle legislazioni nazionali, nel tentativo di affermare un regime che potrebbe quasi essere definito di extra-territorialità. Di sicuro, una forzaturadei principi contenuti nei Trattati. In questo senso, anche la proposta finale di una (modesta) riduzione dei compensi, che rimangono comunque molto superiori al tetto che vale per tutti gli “altri” concittadini, sembra quasi la gentile concessione di un ente sovrano che non vuole “provocare” ma che intende comunque ribadire la propria indipendenza. 

Alla luce di questo, meritano di essere riletti alcuni passaggi della Deliberazione della Bce
 

“Il Consiglio ha innanzitutto rilevato come il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea assegni alle Banche centrali nazionali dell’Eurosistema piena indipendenza istituzionale e finanziaria e ai membri dei loro organi decisionali piena indipendenza personale.”

Davvero? La piena indipendenza dovrebbe essere intesa nell’ambito di competenza dell’Eurosistema, che è la conduzione della politica monetaria. Ed anche in tale ambito, come ha sostenuto lo stesso Presidente della Bce o la Corte Costituzionale di Karlsruhe, gli strumenti e le azioni non possono eccedere i limiti imposti dai trattati. Ad esempio, la piena indipendenza non implica la possibilità per la Bce di comportarsi come la Fed, nè tantomeno implica l’autodichia o l’extra-territorialità delle banche centrali, dei loro dipendenti e dei membri dei loro organismi decisionali.
 

“Il principio dell’indipendenza finanziaria è anche parte dell’ordinamento nazionale per espressa previsione dell’art 4, comma 1, del dl n.133/2013, convertito con legge n. 5/2014.”

Non è chiara la deduzione logica. In primo luogo, l’indipendenza finanziaria non è assoluta, tant’è che nel richiamato art 4. si stabiliscono limitazioni quantitative alla politica di distribuzione dei dividendi, che è la scelta finanziaria suprema di una qualsiasi società per azioni. In secondo luogo, l’indipendenza finanziaria deve essere intesa rispetto ai compiti che la banca deve istituzionalmente svolgere. L’indipendenza finanziaria può – anzi, deve – svolgersi all’interno di un quadro regolamentato a diversi livelli. I rapporti di lavoro non possono, ad esempio, prescindere dal diritto del lavoro del paese in cui i dipendenti risiedono. In altre parole, a meno che non si stia parlando di una iniziativa volta a limitare specificamente l’autonomia della banca centrale, la banca centrale dovrebbe attenersi al quadro legislativo del paese in cui opera. 

Tuttavia, la Banca d’Italia prova comunque a scartare di lato il problema, affermando che:
 

“Le spese di funzionamento della Banca d’Italia, incluse le remunerazioni del suo personale e dei membri del Direttorio, non sono a carico delle finanze pubbliche.”

Non è chiaro cosa c’entri questo punto. La Banca d’Italia è un ente di diritto pubblico e persegue finalità di pubblica utilità. Anche se per tutelarne l’indipendenza non è partecipata direttamente dallo stato, Bankitalia, giuridicamente, non può fallire, proprio per questo motivo. Che gli stipendi non li paghi lo stato, poi, c’entra poco: anche se un’azienda appartiene alle pubbliche amministrazioni, lo stipendio dei suoi dipendenti è pagato dall’azienda stessa. A carico delle finanze pubbliche ci sono le eventuali perdite dell’azienda. Nella legge 5/2014, sono state escluse dal tetto solo le società partecipate dalle Pubbliche Amministrazioni che emettono strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati. Cosa che la Banca d’Italia non fa.

Nel seguito della deliberazione, il Consiglio richiama il parere della Bce del 26 maggio 2014. È bene precisare che la Bce esprime un parere, che non è vincolante e che va interpretato. Di seguito, i passaggi più rilevanti del documento della Bce, che contiene in realtà tre pareri relativi ai problemi sollevati dal tetto alle remunerazioni dei dipendenti di Banca d’Italia. Anche in questo caso, è utile analizzare le argomentazioni della Bce, perché sono un ulteriore esempio di come le tecnocrazie tendano a tutelarsi reciprocamente. Relativamente alla legittimità per lo Stato italiano di definire un tetto al compenso dei dipendenti di Banca d’Italia, ad esempio, la Bce esprime un parere di indipendenza finanziaria.
 

“È orientamento dottrinario consolidato della Bce che l’autonomia in materia di personale costituisce parte integrante del principio di indipendenza finanziaria delle banche centrali nazionali. In forza di tale principio, Gli Stati membri non possono pregiudicare la capacità di una banca centrale nazionale di assumere e mantenere il personale qualificato necessario per svolgere in maniera autonoma le funzioni a essa conferite dallo Statuto del sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea”.

Fin qui tutto bene: la normativa europea – articoli 127, paragrafo 4, e 282, paragrafo 5, del “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”, vedi ad esempio qui – stabilisce l’ambito di competenza esclusivo del sistema europeo delle banche centrali e della Bce. In tale ambito rientra la conduzione della politica monetaria. La Bce non può sviluppare un proprio orientamento dottrinario che ne espande l’ambito di competenza al di fuori di quanto stabilito dai Trattati. E se anche lo esprimesse, non ha alcun valore vincolante fino a quando non viene recepito nei trattati e nelle legislazioni nazionali. Andiamo avanti, però. Secondo la Bce, infatti: 
 

“Una banca centrale nazionale non può essere posta nella condizione di avere un controllo limitato o nullo sul proprio personale o di venire influenzata dal governo di uno Stato membro rispetto alla propria politica in materia di personale. Per di più, ogni modifica apportata alle disposizioni legislative in merito alla remunerazione dei membri degli organismi decisionali di una banca centrale nazionale e dei suoi impiegati dovrebbe essere decisa in stretta ed efficace cooperazione con la banca centrale nazionale, al fine di assicurare in modo continuativo la capacità della banca centrale nazionale di espletare le sue funzioni in maniera indipendente”.

Qui i dubbi si fanno più pesanti: il Presidente Draghi, guadagnando meno del Governatore Visco, non sarebbe considerato sufficientemente qualificato per Banca d’Italia? E ancora: data la situazione della pubblica amministrazione italiana, dove 3,5 milioni di individui – compreso il Presidente del Consiglio – guadagnano meno di 240.000 euro l’anno, e’ plausibile ritenere che la Banca d’Italia non sia in grado di attrarre “talenti” e “impiegati” scendendo al di sotto di quella cifra?

Relativamente invece all’utilizzo delle risorse risultanti dalla possibile riduzione del trattamento economico del personale e dei membri degli organi decisionali della Banca d’Italia a favore del Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, la Bce dice che:
 

“In caso di applicazione della norma alla Banca d’Italia, da un punto di vista contabile, una riduzione del trattamento economico del personale e dei membri degli organi decisionali ridurrebbe, di fatto, i costi operativi della Banca d’Italia, aumentando potenzialmente l’utile dichiarato. Una distribuzione provvisoria dell’utile da parte della Banca d’Italia in favore dello Stato, senza la possibilità per la Banca d’Italia di utilizzare le relative risorse in modo indipendente per l’adempimento dei propri obblighi potrebbe essere equiparata al finanziamento monetario, chiaramente vietato ai sensi dell’articolo 123 del Trattato.”

Quindi: la Bce ha verificato o ha chiesto di verificare a Banca d’Italia se le risorse rivenienti dalla riduzione dei compensi fossero necessarie all’adempimento degli obblighi? Il Consiglio Superiore di Banca d’Italia ha fatto altrettanto con il Direttore Generale? Non solo: per evitare l’appropriazione indebita di risorse da parte delle singole banche centrali (tra cui Banca d’Italia) quali regole e quali controlli la Bce, nel suo ruolo di coordinamento, ha messo in atto? Se si usa la strana logica della Bce, la stessa distribuzione di dividendi agli azionisti privati di Banca d’Italia si configura come una misura di politica monetaria non convenzionale, volta a stimolare direttamente l’economia reale. E allora a che titolo lo Stato italiano può stabilire un limite all’ammontare dei dividendi?

Infine, relativamente al tetto al trattamento economico degli organi decisionali la Bce afferma che è una limitazione all’indipendenza degli organi decisionali della Banca d’Italia. Dice la Banca Centrale Europea che: 
 

“Gli Stati membri non possono tentare di influenzare i membri degli organi decisionali di una banca centrale nazionale apportando modifiche alla legislazione nazionale che incidano sulla loro remunerazione, e che, in via di principio, non dovrebbero intervenire sulle condizioni stabilite al momento della nomina. Di conseguenza, l’articolo 13, comma 5, del Decreto legge, dovrebbe specificamente far riferimento non solo all’indipendenza istituzionale e finanziaria della Banca d’Italia, ma anche all’indipendenza personale dei membri dei suoi organi decisionali”

Quindi – se vogliamo ragionare per analogia – la Bce ritiene che il tetto agli stipendi ai magistrati sia un tentativo del Governo italiano di limitare l’indipendenza personale della magistratura? E ancora, la Bce ha intenzione di tutelare l’indipendenza personale degli organi decisionali della Banca d’Italia garantendo loro un regime di extra-territorialità simile a quello del personale delle ambasciate o dei militari americani? La verità è che la possibilità di non essere giudicati dalla magistratura del proprio paese sarebbe una garanzia di indipendenza personale superiore a quella della tutela dello stipendio. Soprattutto se la classe dirigente del paese è condizionabile da manovre come quella appena architettata.