I pregiudizi sono dentro di noi. Possiamo dirci assolutamente contrari a ogni forma di discriminazione ma nel nostro inconscio alberga una diffidenza verso chi è diverso. Questo, almeno, è quello che sostengono gli studiosi di Project Implicit, guidati dal professore di psicologia alla University of Washington Anthony G. Greenwald. Non si è limitato, con il suo collega Mahzarin R. Banaji a scrivere il libro “Blindspot: Hidden Biases of Good People” (Punto cieco: i pregiudizi nascosti delle persone buone). Ha messo a punto un test, Iat, o Implicit Association Test, che dalla metà degli anni Novanta monitora le associazioni di idee tra volti e concetti. Il test si divide in otto sezioni, ciascuna delle quali affronta un tema di pregiudizi: età, razza, nazionalità, genere, disabilità, colore della pelle, peso, orientamento sessuale.
Per certi versi è simile a un videogame. Una volta messi i propri dati ed espresse le proprie preferenze politiche e religiose, si passa alla fase dell’associazione dei volti. Se a sinistra c’è scritto “magri” e a destra c’è scritto “grassi” e compare il volto di una persona magra, si clicca sul tasto a sinistra, e viceversa con le persone grasse. In seguito si associano, con lo stesso sistema, i concetti. Per fare un esempio, a sinistra c’è scritto “bene” e a destra “male”; se compare la scritta “gloria” si digiterà il tasto a sinistra, se comparirà “malvagio” quello di destra. Successivamente, nel test, si intervallano le foto e i concetti, con un paio di passaggi che invertono la posizione di bene e male e la divisione (per restare nell’esempio di prima) tra magri e grassi. Il succo è questo: se ci si mette meno tempo ad associare un concetto positivo al bene dopo che si è appena associato un volto magro, si avrà una preferenza per le persone magre. E viceversa.
Troppo complicato? Qui si può provare il test, ospitato nel sito dell’Università di Harvard. È anche in Italiano.
Di questo esperimento si sta parlando molto negli Stati Uniti, dove dopo l’omicidio di Mike Brown a Ferguson e tutti i fatti, anche tragici, che sono seguiti, le tensioni e le accuse a poliziotti e giudici di avere pregiudizi razziali si sono moltiplicate. Nell’interpretazione che del test ha dato Vox, c’è proprio la necessità di essere consapevoli dell’esistenza di pregiudizi anche inconsci che potrebbero riguardare chi è tenuto a giudicare o a mantenere l’ordine pubblico. Purtroppo i test hanno infatti confermato che gli “implicit bias” sono tuttora molto presenti.
Il risultato relativo a oltre 700mila test sul colore della pelle condotti tra il 2000 e il 2006 dice per esempio questo:
Uno degli aspetti più curiosi della ricerca è che, anche se i pregiudizi sono maggiori verso le persone di etnia diversa, ci sono anche pregiudizi intra-gruppo. Quindi mentre gli americani bianchi generalmente hanno pregiudizi impliciti contro le altre etnie, anche chi appartiene a minoranze può avere pregiudizi contro il proprio gruppo di appartenenza.
Questo implica che la situazione non potrà migliorare? Fortunatamente no. Diversi approcci possono ridurre i pregiudizi anche a livello profondo, i più importanti dei quali prevedono un contatto con le persone che sfidano gli stereotipi o con individui e gruppi nei confronti dei quali abbiamo dei pregiudizi inconsci. Prima si inizia e meglio è.