Ieri
10.06.1990
Firenze, 33 mila spettatori
Stati Uniti – Cecoslovacchia 1-5
14.06.1990
Roma, 73 mila spettatori
Italia – Stati Uniti 1-0
19.04.1990
Firenze, 34 mila spettatori
Austria – Stati Uniti 2-1
Quel sogno che comincia da bambino, e che ti porta sempre più lontano, non è una favola. Dagli spogliatoi escono i ragazzi, e siamo noi.
Noi che non partecipavamo ad un mondiale di calcio dal 1950 e che avremmo dovuto organizzarlo quattro anni dopo, nello scetticismo generale. Noi che uscivamo da anni di leghe fallite, NASL, NAFT, USSF e sigle sempre più ridicole. Venivamo dai college e dal calcio al coperto. Noi che ricevevamo uno stipendio da semiprofessionisti direttamente dalla federazione, solo per giocare in nazionale. Noi che avevamo conquistato Italia’90 grazie ad un gol in fuorigioco contro Trinidad e Tobago e (a quanto si sussurrava sotto il cielo di quell’estate italiana) grazie ad una telefonata a chi di dovere di Pier Luigi Pairetto. Il gol che ha cambiato il nostro calcio. Noi che il calcio, credeteci, facciamo ancora fatica a capirlo.
I nostri nomi erano italiani, tedeschi e irlandesi. Tony Meola, Marcelo Balboa e Paul Caligiuri. Eravamo la cenerentola di quella competizione, ma volevamo giocarcela. Il ritiro a Torino era una festa: c’era il sole e il vento accarezzava le bandiere. Si mangiava bene, come a casa dalle nonne del New Jersey. E che belle le ragazze italiane, ti trascinavano via con un brivido e in un abbraccio scioglievano la follia.
L’esordio è stato a Firenze, contro la Cecoslovacchia da poco libera dal giogo comunista. Il nostro coach Bob Gansler ci ha caricati: possiamo vincere, difesa a tre e giochiamo all’attacco. Umiliante il 5-1 finale. La seconda partita era contro i padroni di casa. Non avevamo mai giocato in uno stadio così gremito come lo era l’Olimpico di Roma quella notte. Nel tunnel all’ingresso ci tremavano le gambe, avevamo visto solamente in televisione tali campioni e tali stelle. Nei loro occhi, la voglia di vincere. Tenemmo, lottammo e a solo grazie al gol di un principe riuscirono a batterci. Noi, piccolo Davide, avevamo tenuto testa alla sicura vincitrice del mondiale. Eravamo eliminati, ma quella era per noi una piccola vittoria. Un seme da piantare che sarebbe diventato albero nel 1994. Indolore fu l’ultima sconfitta, eravamo già con la testa ai due mesi di vacanza in Europa che ci avrebbero aspettato l’indomani. Chi a cercare una squadra in Germania, chi a trovare le proprie radici in un paesino lucano, chi a cercare un’avventura in più sotto il cielo dell’estate italiana.
Forse non è stata una canzone a cambiare le regole del gioco. Quel gioco che, credeteci, ci sforzeremo in tutti i modi di capire di più. Ma abbiamo comunque voluto viverla così, quell’avventura, senza frontiere e con il cuore in gola.