“Berlino povera ma sexy”. La realtà dietro lo slogan

“Berlino povera ma sexy”. La realtà dietro lo slogan

«Arm, aber sexy». Povera ma sexy. Se avesse potuto conoscere in anticipo le conseguenze, forse Klaus Wowereit, ex sindaco della città, avrebbe esitato un attimo prima di lanciare questo slogan. Perché quelle tre parole pronunciate nel 2004 hanno trasformato Berlino in una Parigi bohèmienne. O meglio, lo hanno fatto succedere nell’immaginario di molti giovani artisti, designer, scrittori e musicisti in cerca di una patria e di un lavoro. Tedeschi, ma anche europei. E soprattutto italiani. Vista su un grafico, la curva che descrive l’arrivo di nostri connazionali nella capitale tedesca tra 2004 e 2012 è una vera e propria impennata. A fine 2013 l’ufficio statistico di Berlino e Brandeburgo ne contava 22.685. Erano 15.000 circa tra 2008 e 2009. Circa 5600 di loro sono arrivati qui negli ultimi due anni.

Federico Quadrelli, che a Berlino è arrivato nel 2011, li osserva dal quartiere di Alt-Moabit, nella parte ovest della città. «La realtà che li attende è spesso diversa dai sogni con cui partono», spiega. A fine 2014 Federico, 27 anni, sociologo di formazione con una laurea all’Università Bicocca di Milano, ha aperto l’Osservatorio degli italiani a Berlino, con lo scopo di “studiare” un fenomeno del tutto nuovo in città: l’arrivo massiccio di giovani, laureati, a volte ricercatori, e con altissime aspettative. «Sono ragazzi con una forte mobilità. Arrivano qui, trascorrono qualche anno, magari fanno un percorso di studio, ma poi rientrano in Italia. Alcuni di loro tornano, altri no». Un flusso indeterminato e con obiettivi poco chiari, tanto che secondo Federico è davvero impossibile prevedere se quella curva sul grafico continuerà a crescere, si fermerà o crollerà improvvisamente.

Perché Berlino è una città per nulla facile. E l’integrazione si raggiunge con tanta – tanta – ostinazione. «Molti ragazzi arrivano con alte aspettative. Ma si scontrano subito con la realtà: le posizioni con qualifica più alta sono inaccessibili senza una perfetta conoscenza della lingua tedesca. E finiscono a fare lavapatti, pizzaioli e camerieri per pochi soldi». 

Ma niente è impossibile, come racconta la vicenda stessa di Federico, che pochi mesi fa, durante la campagna per le elezioni europee è salito sul palco della Spd, il partito Socialdemocratico tedesco come rappresentante del circolo Pd di Berlino. Dopo di lui, sullo stesso palco, è salito Martin Shulz.

Partito dopo l’ultima offerta di lavoro ricevuta a Milano (200 euro al mese per sei mesi full-time senza certezza di rinnovo), Federico ha deciso di usare i risparmi accumulati lavorando negli anni universitari per «fare il salto nel buio» e darsi una possibilità. Con la consapevolezza che se avesse fallito, la sua famiglia avrebbe fatto da materasso di salvataggio.

Prima di trasferirsi, Quadrelli prende contatti con Berlino. Social Media e siti per tandem linguistico sono lo strumento più adatto per costruire i primi contatti, anche e soprattutto con ragazzi tedeschi. Tanto che quando arriva all’aeroporto, c’è già un amico tedesco conosciuto online che lo aspetta. Sempre attraverso i social, e i gruppi di italiani a Berlino, Federico trova una stanza in affitto. Ha un minimo di piano. Fondamentale, spiega, quando si decide di trasferirsi. Studierà tedesco per quattro mesi, per raggiungere un minimo di conoscenza linguistica. L’idea poi è quella di fare un dottorato di ricerca in una università locale o prendere una seconda magistrale. «La cosa positiva di Berlino è che la vita costa davvero poco. Per i primi quattro mesi non ho avuto bisogno di lavorare e mi sono concentrato sulla lingua. Con 500, 600 euro al mese a Berlino paghi costi fissi di casa, mezzi e viveri. Un corso di tedesco full-time in una scuola pubblica, cioè tre ore al giorno per cinque giorni alla settimana, costa 180 euro al mese. Nulla se si fa il confronto con realtà come Londra. O la stessa Milano.

Terminati i quattro mesi, Federico cerca lavoro. E qui inizia il pericolo. «Con un livello basso di tedesco la miglior cosa cui puoi ambire è il lavoro nel reparto assistenza ai clienti di una multinazionale. Io lavoravo per Easyjet e Canon, due progetti della Bertelsmann». Ma sebbene sia un impiego decisamente dignitoso, migliore di un posto da lavapiatti, si rivela presto anche una prigione dorata. La posizione di customer care in Germania frutta 1500, 1600 euro al mese, offre bonus, straordinari pagati il 50% in più, ferie e malattia. Il rimborso dei mezzi. E un contesto decisamente diverso “dal call center all’italiana”. «Qui non c’è la fabbrica di servizi di Sabrina Ferilli (il riferimento è al film Tutta la vita Davanti di Paolo Virzì 2008, ndr), e sei considerato un nodo strategico dell’impresa», spiega Federico. Ma non è esattamente quello che vuoi fare, e il motivo per cui hai lasciato l’Italia. Non solo. «Ti senti integrato economicamente, ma non lo sei davvero. I tuoi amici sono italiani, spagnoli e portoghesi. O nordici venuti qui per brevi periodi. Vivi in un mondo parallelo che non è tedesco. E le uniche persone tedesche che conosci sono il portiere e la signora delle pulizie in azienda». Nel frattempo però sono passati mesi, anni. E ti sei scordato di lavorare sulla lingua non è migliorata. «Le tue prospettive di crescita e di sviluppo si sono deteriorate, perché il capitale umano si svaluta nel tempo se non resti aggiornato».

Dopo due anni e mezzo Federico si licenzia. Arrivato con l’idea di fare un dottorato, si accorge di essere fuori strada. La chiave, per tornare in pista, è sempre la stessa: la lingua.

«Dopo due anni e mezzo di lavoro ho avuto diritto alla disoccupazione. Qui l’assegno è sempre legato alla formazione. E finalmente sono tornato a studiare il tedesco». Non solo. Federico si avvicina alla politica, la sua passione. Si iscrive al circolo del Partito democratico di Berlino, partecipa agli eventi, fino a venir eletto segretario. Con le elezioni europee alle porte, a inizio 2014, Quadrelli inizia a gestire la campagna elettorale del Pd a Berlino e in tutto il Paese, rivolta agli italiani con residenza in Germania che posso eleggere deputati e senatori della circoscrizione estera. La Spd, il partito locale affiliato al nostro Pd, lo contatta come rappresentante della “comunità di italiani” e Federico ha modo di svolgere un tirocinio con loro nella comunicazione. A fine 2014 nasce l’Osservatorio degli italiani a Berlino. «Il mio scopo è quello di conoscere a fondo chi sono gli italiani che vengono ad abitare qui. Fare indagini sociologiche ma raccogliere anche informazioni utili al lavoro politico che sto svolgendo. Con 23.000 presenze circa, tutte in forza lavoro, stiamo diventando una forza consistente, e dobbiamo iniziare a diventare comunità per avere peso nelle decisioni che vengono prese qui», spiega Federico. Quello politica è per lui l’ultimo tassello necessario per poter parlare di vera integrazione, dopo quella economica, culturale e linguistica.

«Eppure per gli italiani è inesistente. Non c’è un rappresentante italiano eletto in nessun circolo politico tedesco. Non ci sono governatori di lander o deputati italiani in Parlamento. Mentre ce ne sono di turchi o di polacchi». Eppure la Germania, chiude Federico, è il Paese che ospita il più grande numero di italiani dopo l’Argentina, circa 800.000 persone.

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