Il premier, Matteo Renzi, e il suo ministro, Maria Elena Boschi, hanno fatto spesso riferimento alla legislazione fiscale francese per giustificare la famigerata soglia del “3%” per il reato di frode fiscale. È vero che in Francia la soglia di non punibilità penale è pari al 10% dell’imponibile, ma tale soglia è comunque subordinata ad un livello assoluto che non può essere superiore a 153 euro. Il punto è stato riconosciuto ed analizzato il 2 febbraio, anche sul blog Phastidio.net (vedi qui).
La legge di riferimento è il testo unico sulle imposte (Code général des impôts, Cgi), in particolare l’articolo 1741, che definisce come frodatore del fisco – un delitto punibile fino a 7 anni di prigione – chi si sottrae volontariamente con una frode o tenta di sottrarsi volontariamente tramite una frode al pagamento dovuto – totale o parziale – di un debito fiscale. La definizione è perciò molto ampia, e solitamente la giurisprudenza francese, in assenza di una definizione generale di frode fiscale posto dai testi, tende a regolarsi secondo tipologie di comportamento, codificate o meno, solitamente collegabili alla volontà fraudolenta del comportamento del cittadino evasore. Per aggiornare tale normativa alle nuovi frodi che spesso prevedono l’uso massiccio di posizione fiscali fittizie o nascoste in territorio non nazionale, recentemente la normativa è stata rivista con una proposta di legge presentata dal governo allora presieduto da Jean-Marc Ayrault, e poi convertita in legge dal Parlamento nel Novembre 2013.
La nuova normativa tipizza nuovi casi di attività fraudolente, legate all’uso di domiciliazioni fiscali fittizie all’estero, ma introduce anche le fattispecie di “… usage d’une fausse identité ou de faux documents, au sens de l’article 441-1 du code pénal, ou de toute autre falsification” (uso di una falsa identità o documenti falsi, ai sensi dell’articolo 441-1 del codice penale o di qualsiasi altra falsificazione, ndr). Come si vede, in questo si è vicini alla definizione di truffa dell’ordinamento italiano, dove la produzione fasulla o la distruzione di documentazioni false, al solo fine di rappresentare una situazione fiscale volontariamente non corretta, è essenziale per la definizione stessa del delitto.
L’articolo 1741, al terzo comma definisce la franchigia ma la esprime sia in termini relativi sia in termini assoluti (“Cette disposition n’est applicable, en cas de dissimulation, que si celle-ci excède le dixième de la somme imposable ou le chiffre de 153 €”, ossia “Questa disposizione [sulla punibilità penale, NdR] si applica solo in caso di dissimulazione, se supera un decimo della base imponibile o la cifra di 153 euro”). E’ vero quindi che si parla del 10%, come sostengono il presidente del Consiglio ed il suo ministro, ma si pone comunque un tetto in termini assoluti che è anche piuttosto bassino, 153 euro.
Sta di fatto che anche in Francia le manette per chi froda il fisco non scattano così automaticamente. La giurisprudenza e i dati sull’uso della leva penale in Francia, che vedono solo 98 individui in prigione, senza alcuna pena alternativa, a fine 2010 (si trattano di stock, non di nuovi casi nell’anno), e soli 600 casi totali di condannati a pene alternative al carcere indicano come i casi meno gravi, dove la somma sottratta è ipotizzata essere bassa relativamente all’importo dovuto, non facciano scattare la procedura penale.
Bisogna, però, anche rilevare che l’amministrazione fiscale francese (come quella tedesca) segue ancora il principio della responsabilità del fisco in tema d’accertamento del debito fiscale, a differenza di quella italiana che si rifà al principio della dichiarazione auto-riportata. I controlli preventivi sulle dichiarazioni sono perciò più pervasivi che in Italia, e sebbene non assente, l’evasione fiscale in Francia non è un fenomeno massiccio come nel nostro Paese. Sulla vicenda ha scritto anche Il Fatto Quotidiano.