Coltivare mais ogm non si può, ma non si sa perché

Coltivare mais ogm non si può, ma non si sa perché

Articolo tratto da: Leoni Blog

Con una sentenza depositata il 6 febbraio ( qui ) il Consiglio di Stato, massimo organo della giustizia amministrativa, ha confermato la legittimità del divieto di coltivare mais OGM sul territorio nazionale. I ricorsi amministrativi di primo e secondo grado sono stati presentati da Giorgio Fidenato che da diverso tempo oramai ha ingaggiato una battaglia per il riconoscimento della legittimità della coltivazione del mais transgenico ( qui un’intervista a Fidenato di Antonluca Cuoco su Il Denaro).

La decisione fa riferimento alla disciplina vigente prima dell’entrata in vigore dell’ulteriore rinnovo del termine sino al quale è imposto il divieto di coltivazione del mais OGM (18 mesi a partire da gennaio 2015) introdotto con decreto del Ministero della Salute del 23 gennaio ultimo scorso.

Le motivazioni del divieto confermato dal Consiglio di Stato, tuttavia, appaiono da un punto di vista giuridico non del tutto convincenti perché non si riscontra nell’argomentazione del Tribunale l’evidenza di una solida ragione in grado di giustificare la proibizione. A dire il vero è lo stesso Consiglio di Stato che arranca palesemente nel tentativo di confermare la legittimità del decreto del Ministero della salute (adottato di concerto con il Ministero delle politiche agricole e dell’ambiente) del 12 luglio 2013 (qui) con il quale è stata vietata la coltivazione del mais OGM MON 810 sino all’adozione delle misure comunitarie d’urgenza e comunque per un periodo non superiore a 18 mesi dalla data del medesimo provvedimento, termine, come abbiamo visto, di già prorogato ulteriormente.

Dalla lettura della sentenza emerge pacificamente che: 1) la commercializzazione del mais OGM MON 810 è stata autorizzata una prima volta nel 1998 dalla Commissione Europea che è l’organo competente in materia, 2) nel 2004 la Monsanto, società titolare dei brevetti sul mais MON 810, ha notificato alla Commissione l’esistenza del predetto mais cosicché in virtù del regolamento comunitario è stato possibile continuarne la commercializzazione, 3) nel 2007 è stato richiesto il rinnovo della autorizzazione alla Commissione, la quale, stando alla ricostruzione del Consiglio di Stato, non ha da allora provveduto a pronunciarsi né in senso favorevole, né in senso contrario alla commercializzazione, 4) in data 17 maggio 2013 la Commissione non ha ritenuto necessario adottare misure cautelari per il mais MON 810 come richiesto, invece dalle autorità italiane, 5) dal 1998 ad oggi non sono mai emerse evidenze scientifiche in grado di ricondurre con certezza o con ragionevole probabilità effetti nocivi sull’uomo, sull’ambiente e sugli animali alla coltivazione e commercializzazione del mais transgenico.

La Corte di Giustizia Europea (sezione IV, sentenza 8 settembre 2011 nelle cause C 58/10 e C 68/10) ha nel frattempo sancito che la possibilità per gli Stati membri di procedere all’adozione di misure cautelari volte alla sospensione delle autorizzazioni è subordinata “ a un serio rischio che ponga a repentaglio in modo manifesto la salute umana, la salute degli animali o l’ambiente. Questo rischio deve essere constatato sulla base di nuovi elementi fondati su dati scientifici attendibili. Infatti, misure di tutela adottate in forza dell’art. 34 del regolamento n. 1829/2003 non possono essere validamente motivate con un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente .” e che “ uno Stato membro non è libero di subordinare a un’autorizzazione nazionale, fondata su considerazioni di tutela della salute o dell’ambiente, la coltivazione di OGM autorizzati in virtù del regolamento n. 1829/2003 ed iscritti nel catalogo comune in applicazione della direttiva 2002/53.70 . Al contrario, un divieto o una limitazione della coltivazione di tali prodotti possono essere decisi da uno Stato membro nei casi espressamente previsti dal diritto dell’Unione .” (sentenza 6 settembre 2012, in C 36/11).

Dalla sentenza si evince, ancora, che i competenti organi scientifici non hanno mai ritenuto di rimettere in discussione i presupposti sulla base dei quali è stata rilasciata l’originaria autorizzazione alla coltivazione e commercializzazione del mais MON 810, ed infatti: “ Nel caso in esame, va fin d’ora riconosciuto che l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) non ha suggerito di intervenire sull’autorizzazione del mais MON 810, in relazione ai rischi connessi alla coltivazione. Nessuna presa di posizione esplicitamente negativa sulla perdurante efficacia dell’autorizzazione è rinvenibile in detti pareri, e le conclusioni formali cui è pervenuta EFSA, nonostante l’evidenziazione di nuovi parametri rilevanti e di nuovi criteri di valutazione del rischio, e dell’opportunità di porre in essere forme di cautela, appaiono in linea di sostanziale continuità con il parere favorevole del 2009.Tanto sembra emergere anche dalla “scientific opinion” pubblicata sul bollettino dell’EFSA del 2013- n. 3371 (a quanto sembra, sopravvenuta all’adozione del decreto impugnato) .”.

Su cosa regge, allora, la legittimità del divieto di coltivare il mais transgenico? Secondo il Consiglio di Stato il divieto adottato con decreto del Ministero della salute rappresenterebbe una “ misura d’urgenza “ giustificata dalla necessità di prendere in considerazione ulteriori fattori di rischio non precedentemente valutati. Così almeno sembrerebbe evincersi, secondo i Giudici, dal regolamento ministeriale impugnato che ha imposto il divieto. Peccato, però, che gli ulteriori fattori di rischio non si evincono, come correttamente richiesto invece dalla Corte di Giustizia, da dati scientifici attendibili, ma si reggono solo su supposizioni e su un approccio puramente ipotetico del rischio stesso. D’altronde sarebbe davvero irresponsabile vietare solo per 18 mesi la coltivazione di un prodotto che avrebbe le potenzialità di nuocere alla salute umana, all’ambiente o agli animali o di aggravare seriamente il rischio di un tale nocumento. Trascorsi i 18 mesi il rischio svanirebbe da sé?

La lettura della sentenza conferma, dunque, come il Consiglio di Stato non sia riuscito ad evidenziare un solo dato scientifico in grado di ricondurre un qualche effetto nocivo o un rischio concreto all’esistenza del mais OGM. Ciò è tanto vero che il Collegio per dare validità alla propria decisione, piuttosto che al proprio iter argomentativo, conclude chiamando in causa il principio di precauzione, utile per vietare tutto ciò su cui, in realtà, si sa poco o nulla: “Del resto, l’applicazione del principio di precauzione postula l’esistenza di un rischio potenziale per la salute e per l’ambiente, ma non richiede l’esistenza di evidenze scientifiche consolidate sulla correlazione tra la causa, oggetto di divieto o limitazione, e gli effetti negativi che ci si prefigge di eliminare o ridurre; e comporta che quando non sono conosciuti con certezza i rischi connessi ad un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali ”.

Così il divieto è divieto perché è superstizione non già perché è scienza! Di evidenze empiriche che documentino rischi concreti per la salute umana e l’ambiente, invece, manco a parlarne. Non si sa quali effetti nocivi possa provocare la coltivazione del mais transgenico, quindi è pericolosa per definizione, bisogna vietarla. Un pericolo però che dura appena 18 mesi o giù di lì. Il principio di precauzione d’altronde impone di vietare attività anche quando i danni derivanti dall’esercizio delle stesse siano poco conosciuti, edulcorazione della più appropriata affermazione, anche quando nulla si sa di scientificamente rilevante sui loro effetti.

In conclusione, la sensazione finale che il lettore trae dalla sentenza è che coltivare il mais OGM non si può e basta, forse porta male. Così è deciso!

@roccotodero

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