A un certo punto Sergio Mattarella perde i fogli. L’imbarazzo del presidente della Repubblica dura un attimo. «Mi sarebbe mancato un passaggio importante…» ammette un po’ impacciato davanti al Parlamento in seduta comune. Dall’emiciclo scatta l’ennesimo applauso. A quel punto il dodicesimo capo dello Stato riprende il suo primo messaggio al Paese. È visibilmente emozionato, racconta chi lo conosce bene. Sorride, si commuove. Il successore di Giorgio Napolitano si presenta agli italiani con un discorso di mezz’ora scarsa. Un intervento essenziale, sobrio, come il carattere del nuovo presidente. Ma tutt’altro che retorico. La promessa all’Italia è solenne e strappa il consenso più convinto di Montecitorio. «L’arbitro deve essere, e sarà, imparziale» assicura Mattarella. «I giocatori – ammonisce subito dopo – lo aiutino con la loro correttezza».
Trentadue minuti di discorso, una quarantina di applausi. Alla fine anche il Movimento Cinque stelle apprezza la parole del nuovo capo dello Stato. Del resto il presidente si rivolge a tutti. Un’apertura che aveva già lasciato intendere ieri, quando aveva invitato al Quirinale per la cerimonia di insediamento Beppe Grillo e Silvio Berlusconi, leader di importanti forze politiche ma privi di alcun ruolo istituzionale. Nell’intervento di Mattarella non manca un forte richiamo alla legalità: alla lotta alla mafia e alla corruzione. E un’apertura alle riforme del governo, passaggio tutt’altro che scontato.. Ma soprattutto Sergio Mattarella parla alla gente. Agli italiani. Nel suo intervento ricorre spesso la parola “speranza”. Il presidente sottolinea più volte i problemi legati alla crisi, l’assenza di lavoro per i più giovani. Ricorda i bambini e gli anziani. «Un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che vogliamo si senta davvero comunità».
Inevitabilmente si parte da un riferimento al precedessore, Giorgio Napolitano. «Un ringraziamento particolarmente intenso» al presidente che «in un momento difficile ha accettato l’onere di un secondo mandato». Del resto appena eletto al Colle, Mattarella aveva voluto far visita proprio al presidente dimissionario. E di Napolitano oggi raccoglie il testimone. Anche, soprattutto, il suo impegno per l’azione riformatrice del governo. «È significativo che il mio giuramente – spioga Mattarella a Montecitorio – sia avvenuto mentre sta per completarsi il percorso di un’ampia e incisiva riforma della seconda parte della Costituzione». Nessuna invasione di campo, ovviamente. Il presidente evita qualsiasi riferimento al provvedimento all’esame della Camera, anche perché le «singole soluzioni competono al Parlamento, nella sua sovranità». Eppure il presidente saluta con favore il processo. Così come l’obiettivo di approvare una nuova legge elettorale. «Un’altra priorità». Ciascun passaggio sarà necessario per «rendere più adeguata la nostra democrazia», conferma. E non è difficile immaginare che qualcuno intenderà questo auspicio come un invito a non abbandonare il Patto del Nazareno.
Certo, il presidente non sembra voler fare troppi sconti al governo. Assieme alle riforme, Mattarella sottolinea «la necessità di superare la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo, bilanciando l’esigenza di governo con il rispetto delle garanzie procedurali di una corretta dialettica parlamentare». Dai banchi dei Cinque Stelle si alzano convinti gli applausi. E proprio ai deputati grillini sembra parlare il capo dello Stato, quando riconosce soddisfatto che «questo stesso Parlamento presenta elementi di novità e di cambiamento». È difficile non cogliere un riferimento ai pentastellati quando Mattarella si rivolge ai parlamentari che «rappresentano anche, con la capacità di critica e persino di indignazione, la voglia di cambiare». L’invito è chiaro. «A loro in particolare chiedo di dare un contributo positivo al nostro essere davvero comunità nazionale». A ognuno il suo ruolo. Partendo da Mattaralla, atteso al Quirinale nelle nuove vetsi di garante della Costituzione. «Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro. È una immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere, e sarà, imparziale – assicura – I giocatori lo aiutino con la loro correttezza».
È una chiamata alla responsabilità, quella di Mattarella. Il presidente si rivolge anche al di fuori del Parlamento. Per uscire dalla crisi «non servono generiche esortazioni a guardare al futuro, ma piuttosto la tenace mobilitazione di tutte le risorse della società italiana». Il momento non è facile. «La lunga crisi, prolungatasi oltre ogni limite, ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro Paese e ha messo a dura prova la tenuta del suo sistema produttivo. Ha aumentato le ingiustizie. Ha generato nuove povertà. Ha prodotto emarginazione e solitudine». Ma la Costituzione deve rimanere un punto di riferimento. Una Costituzione intesa nel suo spirito, non come semplice elenco di articoli. Applicare i valori della Carta significa «viverla ogni giorno». Ecco allora che garantire la Costituzione vuol dire «garantire il diritto allo studio» e il conseguente «diritto al lavoro». Non solo. «Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza», ma anche «ripudiare la guerra e promuovere la pace». «E ancora «garantire i diritti dei malati» e «ottenere giustizia in tempi rapidi».
Il monito del presidente in tema di legalità è uno dei più applauditi. «Garantire la Costituzione – spiega Mattarella – significa affermare e diffondere un senso forte della legalità». È un passaggio fondamentale, soprattutto per la sua storia personale. A un certo punto sembra commuoversi. «La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute» spiega. La criminalità organizzata è «un cancro pervasivo che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazioni, calpesta diritti». Il presidente ricorda Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. «Per sconfiggere la mafia occorre una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci. E una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere».
Al primo messaggio da presidente, Mattarella ha lavorato ieri assieme ai più stretti collaboratori. E, come atteso, nelle poche pagine di intervento non manca un riferimento al terrorismo. «La pratica della violenza in nome della religione sembrava un capitolo chiuso da tempo dalla storia», denuncia. Qui uno dei passaggi più sentiti, quando il presidente sceglie di ricordare nel suo discorso Stefano Tachè, ucciso nel 1982 nell’attentato alla sinagoga di Roma. «Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano». In trenta minuti Mattarella ricorda il dramma dell’immigrazione: «L’Italia ha fatto e sta facendo bene la sua parte», ammette. Ma c’è bisogno di più solidarietà. Ricorda i nostri militari impegnati all’estero e la vicenda dei due fucilieri di Marina ancora bloccati in India.
Colpisce il passaggio sui nostri rapporti con l’Europa. Forse è un messaggio a chi oggi chiede di rivedere il ruolo del nostro Paese, magari fuori dalla moneta unica. In proposito, il pensiero di Mattarella sembra fin troppo chiaro. «Nella nuova Europa l’Italia ha trovato l’affermazione della sua sovranità. Un approdo sicuro ma soprattutto un luogo da cui ripartire per vincere le sfide globali. L’Unione Europea rappresenta oggi, ancora una volta, una frontiera di speranza. E la prospettiva di una vera Unione politica va rilanciata, senza indugio». Al termine, nell’emiciclo si alzano tutti in piedi. Quattro minuti di applausi. Salutato dai corazzieri e dalla banda della Marina il presidente lascia Montecitorio per raggiungere l’altare della Patria. E, più tardi, insediarsi definitivamente al Quirinale. Il settennato di Sergio Mattarella è appena inziato.