La qualità paga: crolla solo l’export del vino non Dop

La qualità paga: crolla solo l’export del vino non Dop

Una discesa dell’export può essere anche una buona notizia. Dicono i dati di Bureau Van Dijk che il vino italiano nel 2014 ha incrementato le esportazioni dell’1,4%, ma con differenze significative: i vini Dop (gli ex Doc e Docg) hanno visto crescere le vendite all’estero del 5%, sia in valore che in volumi, mentre quelli Igp (ex Igt), del 3,5% in valore e dello 0,9% in quantità. Al contrario, i vini né Dop né Igp hanno avuto un crollo, sia in volume (-4%) sia in valore: -16,4 per cento. Questo è vero soprattutto per gli acquisti di statunitensi, tedeschi, inglesi, svizzeri, francesi e olandesi, che hanno tutti premiato i vini di qualità a discapito di quelli prodotti senza un disciplinare. Una notizia che ridimensiona le preoccupazione sulle tante imitazioni di prodotti nazionali che circolano per il mondo.

Fonte: Bureau Van Dijk

Nell’“angolo della vergogna” allestito al Vinitaly, l’associazione dei contadini italiani ha soprattutto denunciato la diffusione dello pseudo vino ottenuto da polveri contenute in wine-kit

Secondo una denuncia di Coldiretti, le contraffazioni e imitazioni sui mercati mondiali dei nostri vini e liquori più prestigiosi provocano alle produzioni italiane perdite stimabili in oltre un miliardo di euro. Si va dal prosecco “Made in Crimea” al barbera bianco prodotto in Romania, dal kressecco e il meer-Secco realizzati in Germania fino al bordolino bianco e rosso prodotti in Argentina, con confenzioni che sfoggiano il tricolore italiano. Nell’“angolo della vergogna” allestito al Vinitaly, l’associazione dei contadini italiani ha soprattutto denunciato la diffusione dello pseudo vino ottenuto da polveri contenute in wine-kit. Con queste miscele in pochi giorni si possono ottenere delle lontane imitazioni di Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurtraminer, Barolo, Verdicchio, Lambrusco e Montepulciano. La Coldiretti fa nomi e cognomi dei produttori (primo tra tutti la società canadese Andrew Peller) e ne chiede il bando nell’Unione europea. L’associazione denuncia poi i nomi “mafia sounding”, come il “Fernet Mafiosi”, con gangster e pistola disegnati, che tanto piacciono ai tedeschi e danneggiano il nome dell’Italia. 

Tutti fenomeni che sarebbero preoccupanti, come denuncia la Coldiretti, se i dati non dicessero che il mercato va in tutt’altra direzione. Un riscontro fattuale che sembra supportare la tesi esposta da Piero Bassetti su Linkiesta. L’ex presidente della Regione Lombardia – aprendo un dibattito sul tema – ha invitato a non demonizzare le imitazioni dei cibi italiani perché finiscono indirettamente per rafforzare gli originali. 

A spingere le maggiori vendite di vini di qualità all’estero, secondo l’analisi di Bureau Van Dijk (che ha effettuato un’elaborazione di dati tratti dalla sua piattaforma Trade Catalyst), sono soprattutto le scelte della grande distribuzione organizzata. A lungo ha favorito altre nazioni, ma ora riconosce il valore dei vini italiani. Rimangono solo alcune eccezioni negative – Danimarca, Svezia e Giappone – nei quali guadagnano terreno i vini italiani di qualità inferiore. 

Crescono i vini di qualità, mentre quelli né Dop né Igp hanno avuto un crollo, sia in volume (-4%) sia in valore: -16,4 per cento

Se si considerano i vini non spumanti (l’82% del totale delle esportazioni in valore), il valore dei prodotti italiani è arrivato al 20,7 per cento della torta mondiale. Davanti all’Italia c’è solo la Francia, con il 27,5%, mentre il terzo esportatore mondiale, la Spagna, è distanziata con una quota dell’8,5 per cento. Il primo consumatore, gli Stati Uniti, sono anche il mercato che cresce di più e ha più prospettive di crescita, grazie al dollaro forte. Sono invece in discesa i consumi da parte di tedeschi e inglesi, mentre offrono più opportunità la Danimarca, i Paesi Bassi, la Svizzera e la Svezia. Se cercate la Cina, sia tra i principali Paesi importatori di vino italiano, sia tra quelli potenziali, non la troverete.

Fonte: Bureau Van Dijk

Il 2014 ha segnato un grande balzo delle vendite all’estero degli spumanti italiani. Se la quota di mercato francese è irraggiungibile (il 56,5% della quota mondiale), l’Italia segue al secondo posto con il 16,7 per cento. In questo caso dobbiamo ringraziare l’innamoramento degli inglesi per le nostre bollicine. Il Regno Unito ha fatto segnare nel 2014 un incremento del 42,1% delle importazioni e ha superato gli States come primo mercato. I due Paesi anglosassoni sono al primo posto anche per le opportunità future, assieme a Lettonia e Svezia. Anche in questo caso, nonostante l’alto potenziale di Hong Kong e Singapore, il mercato cinese è lontano. La quota del vino italiano in Cina è fermo al solo 7%; nel 2001 era al 14 per cento.

Fonte: Bureau Van Dijk

All’andamento dell’export di vino italiano fuori dall’Ue, che vale il 58% del totale, ha dedicato un’osservatorio anche Business Strategies assieme a Nomisma-Wine Monitor. Per il responsabile area Agroalimentare di Nomisma, Denis Pantini, «assistiamo a una sorta di migrazione dei consumi di vino: dal 2000 a oggi i consumi nell’Ue sono calati del 6% mentre negli altri Paesi sono cresciuti del 25 per cento. E ancora, negli ultimi 10 anni (2004-2014) in Europa l’import in valore è cresciuto con un tasso medio annuo del 3%, mentre nei mercati terzi ha viaggiato su ritmi vicini all’8%, con punte del 39% in Cina (da 42 milioni  a 1,2 miliardi di euro) e del 10,7% in Russia. Altro elemento – ha aggiunto l’analista – che dimostra la strategicità di questi mercati è il prezzo medio al litro: è quasi doppio quello dei mercati terzi (3,75 euro) rispetto a quello Ue (1,91 euro)».

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