La settimana scorsa il ministro del Lavoro Poletti, preceduto dal solito tweet premonitore e giubilante del premier Matteo Renzi, ha annunciato che nei primi due mesi dell’anno le nuove attivazioni di contratti a tempo indeterminato sarebbero esplose in numero: +33% a gennaio e +38% a febbraio, rispetto allo stesso mese del 2014. Seguendo la discussione in modo piuttosto acritico, sembra sia già possibile fare a meno di ogni valutazione seria degli effetti del Jobs Act: funziona alla grande e i numeri sono lì a dimostrarlo.
Il ministro del Lavoro, invitato il 29 marzo a un evento del Sole24 Ore incentrato sugli effetti della riforma del lavoro, si è ripetuto, e alla domanda specifica, legittima, su possibili effetti di anticipazione o posticipazione delle conversioni a tempo indeterminato, per poter usufruire dei corposi incentivi temporanei alle assunzioni decisi dal governo, ha così risposto: «Penso di no perché per quanto possa apparire, e anche a me è apparso piuttosto imprevedibile, nel mese di dicembre abbiamo avuto quasi 100mila occupati in più»
Ora, il “penso di no” è anch’essa una risposta legittima, ma crediamo che un ministro del Lavoro, che è a capo di una struttura che qualche “infarinatura” di analisi dei dati del mercato del lavoro dovrebbe averla, non possa lasciarsi andare a giustificazioni come quella che nel mese di dicembre vi sono stati 100mila occupati in più (rispetto a quando?), e questo escluderebbe perciò qualsiasi effetto di posticipazione nelle assunzioni nei primi mesi dell’anno. La logica sottostante è piuttosto traballante, e i numeri non si prestano a questa deduzione. Ci siamo già soffermati sull’uso “un po’ allegro”, da parte del Governo, dei numeri del mercato del lavoro: purtroppo, tocca ripetersi.
Prima di tutto un po’ di chiarezza sulla parte teorica degli effetti attesi delle nuove norme. È noto che nel periodo che precede una riforma che incide, come il Jobs Act, in modo strutturale sulle relazioni contrattuali, gli agenti economici, imprese e lavoratori, tendono a “giocare” sul timing dell’ingresso delle nuove norme per sfruttare, in modo migliore possibile, i vantaggi offerti dalla nuova normativa. Nel caso specifico, se le imprese sapessero in anticipo, e tendiamo a credere che così sia, visto che la riforma era in discussione da mesi, che a gennaio ogni nuova attivazione di contratto a tempo indeterminato porterà con sé incentivi consistenti, sotto forma di un abbattimento degli oneri sociali, è più che naturale aspettarsi che attendano un paio di mesi per incassare l’incentivo, o che si disfino di manodopera “marginale” nei mesi antecedenti, per poi rimpiazzarla una volta che le nuove norme, che abbattono momentaneamente il costo del lavoro, siano entrate in vigore.
Da quando un ministro per ragioni di propaganda, detta alla stampa dati interni non accessibili? Perché solo i dati sulle attivazioni e non quelle sulle cessazioni?
Non solo, le imprese potrebbero, per esempio, trasformare più contratti del previsto all’inizio della fase degli incentivi, poiché la poca chiarezza sul finanziamento complessivo della misura, nel caso in cui le domande di attivazioni comportino perdite di gettito superiori alle stime, favorisce indirettamente richieste di conversione che sarebbero state fatte più in là nel tempo, per evitare di non essere perdenti nella “lotteria dell’incentivo” implicitamente messa in atto. Nei dati osserveremmo, perciò, un piccolo boom nei primi mesi del 2015, pagato poi nei trimestri successivi.
L’unico modo per venire a capo della questione è uno solo: aspettare i dati amministrativi sui contratti, per un periodo sufficiente a isolare gli effetti di sostituzione e di “arbitraggio normativo”. Non per nulla le comunicazioni obbligatorie del Ministero hanno cadenza trimestrale. Da quando un ministro, per ragioni di propaganda, detta alla stampa dati interni non accessibili? Perché solo i dati sulle attivazioni e non quelle sulle cessazioni? Eppure entrambe le variabili sono necessarie per identificare gli effetti distorsivi della norma in questione, e isolare invece gli effetti netti positivi. Si pensa che sia meglio, per la valutazione, passare a un sistema di comunicazioni obbligatorie mensili? Bene, si pubblichino i dati. Da quando i dati sul mercato del lavoro sono trattati alla stregua di una fanfara?
Da sempre, diremmo noi, ed è questo il vero male delle nostre politiche economiche, e del nostro modo di progettarle e implementarle: non si riesce ad evitare che il dato si trasformi da traccia visibile – come orme sulla spiaggia – di comportamenti economici sottostanti, da analizzare con le tecniche adeguate, a squillo di tromba che apra immaginifici scenari di benessere mai sperimentati prima, o uscite da crisi miracolose quando è da vent’anni che la nostra produttività del lavoro è stagnante.
Non si riesce ad evitare che il dato si trasformi da traccia di comportamenti economici sottostanti, da analizzare con le tecniche adeguate, a squillo di tromba per scenari di benessere mai sperimentati prima o uscite da crisi miracolose
Quante volte Berlusconi e Tremonti ci hanno tranquillizzato, con indicatori piuttosto surreali, sulle progressive sorti del nostro Paese? Non era Berlusconi stesso che puntava a un milione di posti di lavoro? Bene, nell’autunno del 2011 eravamo a un passo del default, e nonostante tutto il Capo del Governo – 11 giorni prima di dimettersi – giubilava per “i ristoranti pieni”! Quante volte Prodi immaginava una politica industriale capace di riportarci ai fasti del passato? Mai alcun risultato visibile, anzi, la quota di valore aggiunto dell’industria è diminuita, così come è nella maggior parte dei paesi sviluppati, tra le altre cose.
Nemmeno la paura di essere sbertucciati ferma i nostri politici dal tentare la sorte e buttarsi nella numerologia. Vogliamo, definitivamente, piantarla di usare i dati come un eye liner o un rossetto per un paio di comparsate nei giornali o i talk-show di turno? In questo caso, il governo Renzi è, purtroppo, sulla stessa traiettoria dei precedenti: siamo passati dal dato sbandierato a Porta a Porta al dato twittato. Quantomeno un cambio di paradigma tecnologico, direbbe qualcuno! Ma la valutazione seria è un’altra cosa.
P.S.
Due grafici, solo in post scriptum. Domanda: secondo i lettori, i dati mostrati non lasciano sospettare che il meccanismo di anticipazione/posticipazione sia, a tutti gli effetti, in atto? Si guardino i tassi di crescita nel secondo grafico: il tasso di crescita delle attivazioni ha un brusco stop nel IV trimestre del 2014, mentre le cessazioni aumentano di colpo. È esattamente ciò che ci aspetteremmo di vedere se il meccanismo prima esposto fosse operante. Mi son bastati due minuti per verificarlo. Strano che al ministero del Lavoro, dove tali analisi sono al centro dell’attività istituzionale, e i dati sono necessariamente più disaggregati, nessuno evidentemente abbia voglia di perdere un paio di giorni per un’analisi più seria.