Manca un mese all’addio di Pietro Ciucci da Anas, l’ente che controlla la rete autostradale in Italia nonchè prima stazione appaltante, tra le aziende di Stato più difficili da penetrare, centro di potere sempre più rafforzatosi negli anni e difeso dagli attacchi della politica. Anzi, spesso ha goduto di appoggi nel centrodestra e nel centrosinistra, nonostante la situazione delle strade italiane tra crolli e scandali. Nonostante condanne da parte della Corte dei Conti e interpellanze parlamentari su sprechi e controsprechi, tra stipendi faraonici e consulenze ad hoc. Il premier Matteo Renzi e il ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio hanno fatto fatica a ottenere le dimissioni del manager che per 46 anni ha vissuto e guadagnato grazie a posti di prestigio nelle partecipate pubbliche.
Anas è molto più di un uomo solo al comando, è una palude in cui sono transitati privilegi, dove la burocrazia ha consentito di lucrare sulle grandi opere
«Uno che non ha lasciato traccia se non per le sue liquidazioni», per parafrasare il direttore di Libero Maurizio Belpietro che lo ha profilato in un editoriale, raccontando la vita di un boiardo di Stato a tutto tondo, sopravvissutto grazie agli appoggi politici, da ultimo quello dell’ex ministro Maurizio Lupi, travolto dall’inchiesta sulle Grandi Opere dove a cadere è stato un altro sponsor di Ciucci, l’ex numero uno delle infrastrutture italiane Ercole Incalza. Ma Anas è molto più di un uomo solo al comando. Renzi e Delrio lo sanno bene. È una palude in cui sono transitati privilegi, dove la burocrazia ha consentito di lucrare sulle grandi opere pubbliche, di fare accordi e smistare prebende come sui collaudi milionari del Mose di Venezia.
Immagine perfetta di questa sinergia è l’assunzione, nel 2010, della fidanzata del figlio dell’ex capo del personale Piero Buoncristiano. Lulù Draghiza, con in mano un diploma magistrale è riuscita a farsi assumere senza alcun concorso pubblico di mezzo. E ancora più inquietante è che a sposare poi la stessa Draghiza con Buoncristiano jr fu Monsignor Francesco Gioia, l’arcivescovo Expo, quello che nell’inchiesta Grandi Opere si spende per ottenere da Incalza un posto per i nipoti. È l’Italia del potere, della commistione tra politica, aziende statali e Chiesa. Fatto fuori Ciucci quindi, il prossimo amministratore unico dovrà muoversi come un elefante in una cristalleria, tra volti noti e meno noti del potere “ciucciano”.
Bisognerà capire chi sarà il nuovo amministratore unico di Anas. Girano i nomi di Andrea Guerra, Erasmo D’Angelis e Domenico Arcuri
Secondo quanto filtra da palazzo Chigi, quindi, se ci sarà un cambiamento dovrà essere radicale. E riguarderà tutto l’impianto della vecchia guardia di Ciucci, la prima linea di uomini che in questi anni hanno vissuto grazie alla sua luce. Non è un caso che in Anas sia già in corso una guerra senza esclusione di colpi per restare in sella anche dopo metà maggio. Per certi versi la situazione è simile a quella di Finmeccanica dove, dopo l’arrivo di Mauro Moretti, un renziano di ferro, sono iniziate a saltare teste importanti in posizioni chiave per l’azienda. Innanzitutto bisognerà capire chi sceglierà il presidente del Consiglio come nuovo amministratore unico. Qui si parla ancora del supermanager Andrea Guerra o di Erasmo D’Angelis, responsabile della Struttura di Missione al ministero e di stretta osservanza renziana. Oppure Domenico Arcuri, oggi a capo di Invitalia. È a lui, a quanto pare, che Renzi starebbe pensando per la trasformazione dell’Anas in un gruppo più moderno e trasparente.
Del resto chi arriverà dovrà fare i conti con manager che in questi anni sono rimasti intoccabili. Il quotidiano online La Notizia parlava nel 2014 di una carica infinita di “boiardi” dentro Anas. Dall’inchiesta giornalistica ne nacque un’interrogazione parlamentare dove alcuni deputati del Movimento Cinque Stelle si chiedevano perché nonostante il tetto di 240 mila euro diversi dirigenti continuassero a guadagnare più del dovuto, con evidenti irregolarità nell’ente che gestisce le autostrade. Lo scriveva nero su bianco il senatore del Pd Stefano Filippi in un’interrogazione parlamentare: «Tale organizzazione, varata a seguito della prima nomina in Anas del dottor Pietro Ciucci, ha portato, inoltre, ad una proliferazione di nomine di direttori centrali per proposta dei 3 condirettori generali. Il risultato è una struttura organizzativa mastodontica ed ingessata dalle strutture afferenti alle 3 condirezioni, a loro volta controllate dal dottor Pietro Ciucci; nei fatti, l’organizzazione aziendale che si è creata all’interno di Anas Spa ha permesso al dottor Ciucci di aumentare nel tempo il proprio trattamento economico e di percepire laute indennità e liquidazioni”.
Le prime teste a saltare potrebbero essere quelle di chi ha gestito la parte commerciale e finanziaria, quella delle risorse umane e ancora la comunicazione
Le prime teste a saltare, quindi, potrebbero essere quelle di chi in questi anni ha gestito la parte commerciale e finanziaria, quella delle risorse umane e ancora della comunicazione. Non sarà facile restare per Carlo Ranucci, dal gennaio 2014 a capo delle risorse umane. Nel suo curriculum si legge: «Dal 1979 al 2001 ha lavorato presso il gruppo Iri, passando dalla società Terni Spa, alla società Attività industriali triestine (Finsider), alla società autostradale del gruppo pubblico e, a partire dal 2010, ha ricoperto il ruolo di vicedirettore Risorse umane e Organizzazione dell’Anas». All’Iri era proprio con Ciucci. E in questi anni ha avallato tutte le giravolte dell’amministratore unico che fino al 1° settembre 2013 manteneva la triplice carica di presidente, amministratore delegato e direttore generale mentre poi ha deciso di andare in pensione percependo una liquidazione di 1.805.000 euro.
Altra testa a rischio è quella di Alfredo Bajo, condirettore generale tecnico, sotto accusa da tempo per i crolli autostradali, braccio destro storico di Ciucci, già rinviato a giudizio dalla Corte dei Conti insieme con Stefano Granati, condirettore generale amministrazione, finanza e sistema. Granati vanta una retribuzione annua lorda di 304.635 euro a cui si aggiunge una “retribuzione per obiettivi” di 106.475, in totale 411.110 euro. Bajo arriva a uno stipendio lordo di 247.093 euro e una per obiettivi di 61.533. Per un totale di 308.626. Entrambi sono citati nelle carte dell’inchiesta sul Mose, relativa alla parte dei collaudi. Altro ciucciano di ferro è Ugo Dibennardo, ingegnere siciliano di 48 anni, fidatissimo di Ciucci, per cinque anni responsabile dell’Anas in Sicilia, direttore centrale della progettazione e da poco nominato amministratore delegato di Autostrade Lazio, (Società mista Anas e Regione) che gestisce il mega appalto della Roma-Latina (2,2 miliardi di euro). Doveva sostituire Bajo, ma anche lui adesso vacilla sotto la scure della rottamazione renziana.
Web tv, spot, sondaggi. Secondo Wikispesa la struttura delle relazioni esterne Anas costa più di 2 milioni l’anno solo in stipendi
Capitolo a parte poi è la comunicazione. Giuseppe Scanni, potente direttore centrale delle relazioni esterne Anas, guida una struttura composta da circa 60 persone i cui stipendi, secondo i calcoli dell’enciclopedia Wikispesa, costano più di 2 milioni di euro l’anno. Un esercito che nelle intenzioni del colosso stradale «assicura la tutela e la valorizzazione dell’immagine aziendale presso gli stakeholder, attraverso la definizione e la realizzazione di piani promozionali e la gestione dei rapporti con il mondo dell’informazione e della cultura». Nel solo 2009, stando a quanto riferisce l’organo dell’Istituto Bruno Leoni, furono spesi 500mila euro tra pubblicità, sponsorizzazioni, partecipazioni a fiere e congressi.
Nella struttura delle relazioni esterne ci sono la testata online Le strade dell’informazione, una web tv aziendale realizzata da un’azienda esterna, ma anche il “CCIS Viaggiare informati”, contact center, servizi di comunicazione e sondaggi. Classe 1949, ex collaboratore di Bettino Craxi e responsabile degli affari internazionali del Psi, Scanni in Anas ha uno stipendio che sfiora i 250mila euro l’anno. Fino ad alcuni mesi fa un autoblu lo andava a prendere sotto casa per portarlo in ufficio. Poi sono arrivate le inchieste della stampa cui seguì una circolare con la quale il presidente Ciucci sanciva «il divieto di accompagno» per i dirigenti e imponeva un giro di vite sulle auto di servizio.