Mantenere i posti di governo e in commissione, ottenere la nomina del capogruppo, rientrare nella partita per il rinnovo dei prossimi consigli di amministrazione di Rai, Anas, Sogin e Cdp, infine pesare alle prossime elezioni comunali di Milano nel 2016. È una partita ampia e dai confini ancora non definibili quella su cui si sono mossi i presunti 50 esponenti di Area Riformista del Partito Democratico che hanno votato la fiducia sull’Italicum. “Presunti” è parola d’obbligo, perché il documento presentato da Matteo Mauri non presentava firme in calce, al contrario dei 38 che hanno deciso di non votare la fiducia. Eppure alcuni nomi tra i neorenziani sono noti. Da Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro, fino a Enzo Amendola, capogruppo in commissione Esteri, o Andrea De Maria, membro della segreteria del Pd, o Micaela Campana, anche lei membro della segreteria dei dem. C’è pure Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera o Paola De Micheli, sottosegretario all’Economia.
Ma a questi va aggiunta la ridotta della Lombardia, formata dallo stesso Mauri, dal ministro per le Politiche Agricole Maurizio Martina e dal senatore Luciano Pizzetti che in questi giorni molto si è speso perché a Montecitorio la fiducia fosse votata all’unanimità. Sono tutti ex fedelissimi di Pier Luigi Bersani e di Enrico Letta, alcuni di loro sono cresciuti sotto l’ala di Filippo Penati, ex presidente della provincia di Milano, da molti ormai dimenticati dopo gli scandali giudiziari che alla fine lo hanno assolto. C’è chi, come De Maria, è braccio destro di Gianni Cuperlo. Fulminati dal renzismo, a quanto pare, alcuni di loro potrebbero cambiare idea sul voto finale, in particolare chi come Enzo Lattuca ha votato la fiducia ma potrebbe non votare il provvedimento finale. Al momento la tattica, però, sembra abbastanza chiara. E riguarda i movimenti interni al Pd, alla spartizione degli incarichi e ai rinnovi dei consigli di amministrazione di diverse aziende pubbliche. La prima è Anas il 18 maggio, fino alle prossime elezioni di palazzo Marino.
Sul fronte del nuovo capogruppo, dopo le dimissioni di Roberto Speranza, la situazione è in alto mare. Il passaggio però è obbligato e i nodi dovranno essere sciolti la prossima settimana. In lizza per il posto c’è soprattuto l’attuale vicecapogruppo Ettore Rosato, renziano di ferro. Purtroppo però la minoranza dem ha già iniziato a rumoreggiare. E c’è chi, come il senatore Miguel Gotor, ex portavoce di Bersani, ha ricordato su twitter che Rosato sosteneva che a non votare la fiducia sarebbero stati in 5 mentre in realtà sono stati 38. Se il posto di Rosato vacilla quindi, ai blocchi di partenza si piazzano sia Damiano sia Amendola. La nomina di uno dei due a capogruppo innescherebbe un effetto domino sulle commissioni che potrebbe creare non pochi grattacapi allo stesso Renzi.
A quanto pare il premier sarebbe indeciso sul da farsi. Regali politici ai dissidenti della minoranza? Secondo alcuni il segretario non sarebbe di questa idea, ma si saprà non appena terminate le votazioni. Più che altro desta interesse l’attivismo lombardo degli ex bersaniani. Ma la lettura, secondo alcuni, è questa: un accreditamento ai piedi del renzismo in vista delle elezioni comunali del 2016. Nella Milano che inaugura Expo 2015 la confusione è massima per il dopo-Pisapia. Il Pd locale continua a non volere ingerenze da Roma – o meglio, da Firenze – sulla scelta del candidato sindaco. Tutto è ancora da decidere, tanto che non è ancora chiaro se alla fine saranno fatte le primarie o meno. Per non sbagliare meglio quindi votare fiducia, in attesa di tempi migliori.