Portineria MilanoItalicum, Onida: “Renzi viola le regole del gioco. Democrazia a rischio”

Italicum, Onida: “Renzi viola le regole del gioco. Democrazia a rischio”

Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, per nove anni giudice della Consulta, professore all’Università degli Studi di Milano, è tra gli esperti di diritto in Italia che in queste settimane ha criticato l’Italicum, la legge elettorale voluta da governo di Matteo Renzi in questi giorni in discussione alla Camera. Lo ha scritto nero su bianco sul Corriere della Sera in una lettera il 10 marzo scorso. A distanza di quasi due mesi non ha cambiato idea, anche se altri suoi colleghi come Augusto Barbera o Stefano Ceccanti stanno portando una dura battaglia a favore. «Siamo su tesi radicalmente diverse» spiega Onida. «Ho avuto un fitto scambio di email con Barbera e Ceccanti, ma resto della mia idea». 

Lei non critica tanto il tema dei capilista bloccati, che invece è una delle critiche più in voga rivolte all’Italicum in questi giorni.
È solo una parte del problema. Con i capilista bloccati si determina la conseguenza che chi domina il partito può dominare anche il gruppo parlamentare. Ma il punto chiave è l’attribuzione della maggioranza assoluta dei seggi alla Camera ad un solo partito o lista, o al primo turno se raggiunge il 40% dei voti, o nel secondo turno se prevale nel “ballottaggio” ristretto alle sole due prime liste. Così un partito, pur non essendo espressione della  maggioranza degli elettori né dei votanti, risulta collocato in Parlamento in una posizione di predominio esclusivo.

Sul Corriere della Sera criticava il premio di maggioranza alla singola lista
Questo è il punto. Prevedere il premio di maggioranza alla singola lista significa di fatto premiare un solo partito anche se è una minoranza…Teoricamente potrebbe esserci una lista multipartito, ma è ovvio che è difficile che si verifichi perché necessita di accordi preventivi, e comunque ciò impedirebbe di misurare il consenso dei singoli partiti fra gli elettori.

Lei mette sotto accusa anche il ballottaggio.
Un “ballottaggio” fra liste non ha lo stesso senso di un ballottaggio cui si ricorre per la scelta di una persona, come potrebbe accadere in un sistema a collegi uninominali. Passare poi dal ballottaggio di coalizione al ballottaggio di lista comporterà che si avrà un solo partito che conquista la maggioranza assoluta della Camera anche se non ha il consenso di una reale maggioranza fra gli elettori.

Ovvero?
Se ci fossero solo due partiti in campo non ci sarebbe niente di male. Ma noi non siamo in una situazione di bipartitismo. L’elettorato è frazionato. Invece l’Italicum forza le cose in modo tale da dare a un solo partito il dominio assoluto del Parlamento.

Le risponderebbero che c’è un problema di governabilità nel nostro paese, che queste riforme sono necessarie.
Questa è la solita scusa. Non si può, in nome della governabilità, distorcere troppo la rappresentatività dell’assemblea, in una situazione che non è di bipartitismo. Si può governare (e magari talvolta si governa meglio) anche con governi di coalizione, come accade in molti Paesi. I governi si fanno spesso in base ad accordi. L’ha scritto anche Ilvo Diamanti: questo dell’Italicum è un sistema che porta di fatto all’elezione diretta del presidente del Consiglio. Con l’argomento della governabilità e del rafforzamento ulteriore dell’esecutivo (che in realtà è già molto forte) si persegue un sistema in cui il presidente del Consiglio sarebbe legittimato a fare tutto ciò che vuole senza dover costruire e conservare una maggioranza né perseguire un allargamento del consenso. 

Le critiche che muove la minoranza del Pd sono pretestuose o fondate?
La proposta di consentire l’apparentamento di più liste per il ballottaggio andrebbe nella direzione giusta.

C’è chi teme una deriva autoritaria.
Non è questione di autoritarismo, è un problema di modello istituzionale. La sinistra ha sempre combattuto in prevalenza contro l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, perché conduce ad una riduzione della democrazia. Non è un problema di nuovi Mussolini: questo rischio ci sarebbe se domani si presentasse un partito autoritario. Ma la questione attuale non riguarda Renzi, riguarda l’impianto istituzionale del nostro Paese.

Un’altra critica è l’assenza di una larga adesione dei gruppi parlamentari attorno al progetto di riforma elettorale.
In effetti la legge elettorale sarebbe bene che fosse votata con largo consenso. Inoltre lo stesso Pd è diviso. Sostituire i deputati in commissione, porre la fiducia, sono tutte azioni volte a superare i dissensi in seno al partito. Alla fine quindi la legge elettorale sarà frutto di un consenso assai ristretto.

Avrebbe preferito magari un apparentamento delle liste?
La possibilità di apparentamento di liste in sede di ballottaggio sarebbe un modo per far sì che  la maggioranza assoluta che nasce dal secondo turno possa riflettere con maggiore probabilità una maggioranza effettiva degli elettori

Le riforme non rappresentano «un affare di governo» dice Pier Luigi Bersani.
Normalmente non è così per le riforme che riguardano le istituzioni, che dovrebbero essere discusse e deliberate dal Parlamento

Eppure suoi colleghi costituzionalisti rievocano esempi del passato per dire che non ci sono forzature.
Non è questione di trovare dei precedenti. Il problema è di merito e di metodo. Se poi si volesse approvare addirittura la riforma costituzionale a colpi di voti di fiducia si violerebbe il criterio fondamentale per cui le regole del gioco, come diceva anche Renzi, dovrebbero essere condivise da tutti o almeno da larghe maggioranze. Ne va della credibilità delle istituzioni, della fiducia nelle istituzioni.

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