Qualcosa si muove. Bisogna unire i puntini, però, per capire la strategia politica che sta nascendo nel centrosinistra per logorare il premier Matteo Renzi e prepararsi alle prossime politiche, con Gianni Cuperlo che già adesso parla di «legislatura a rischio». È quella che tra i bersaniani di ferro chiamano «la lunga marcia», un progetto politico nuovo, ma con basi radicate nel passato, che tiene conto delle polemiche di questi giorni sull’Italicum con la cacciata dei dissidenti, ma che inizia a prendere forma. I puntini da unire sono tre. Incarnati in tre personaggi chiave della sinistra italiana degli ultimi vent’anni: Romano Prodi, Enrico Letta e Pier Luigi Bersani.
Al governo insieme alla fine degli anni ’90, ma soprattutto fondatori dell’Ulivo, progetto politico che consentì al centrosinistra di governare e di sfidare – spesso senza successo, a dire il vero – Silvio Berlusconi fino al 2006. È di questo che si parla nei conciliaboli di Montecitorio dopo la scelta di Letta di dimettersi dal parlamento e guidare la scuola di affari internazionali dell’università di Parigi: il progetto di creare un nuovo contenitore simile all’Ulivo con l’obiettivo di superare il Pd renziano che «rottama, ma non sa costruire dopo» come lo descrive proprio Prodi nel libro scritto con Marco Damilano «Missione incompiuta. Intervista su politica e democrazia», uscito di recente.
Partire da Bersani è d’obbligo, perché è l’ex segretario del Partito Democratico in queste settimane ha continuano a pungolare il governo Renzi, dalle critiche sul Jobs Act all’Italicum. Il «suo» capogruppo alla Camera Roberto Speranza si è dimetto. E lo ha spiegato pure in un’intervista al Foglio con Giuliano Ferrara commentando le riforme volute da palazzo Chigi: «Rischiamo una cosa abborracciata, il sistema democratico del ghe pensi mi».
L’amalgama che potrebbe venire a crearsi intorno a Prodi, Letta e Bersani è ancora difficile da delineare, ma a confronto dei renziani qui esiste ancora una classe dirigente: fondazioni, centri di ricerca, sindacati, sezioni
L’ex leader del centrosinistra ha lavorato in questi mesi per attutire le pretese renziane. Ha mediato il più possibile, ma ora dopo le dimissioni del capogruppo e dopo l’imminente cacciata dei dissidenti dalla commissione affari costituzionali della Camera dei Deputati ha di fatto ratificato il “liberi tutti”. Lo ha scritto pure su Facebook, attaccando l’amministratore delegato di Fca Sergio Marchionne, ma avendo nel mirino sempre lui, Renzi: «Ho sempre sostenuto che la vera sfida riformatrice del jobs act avrebbe dovuto essere l’impostazione, nel rapporto fra capitale e lavoro, di un nuovo equilibrio fra decentramento, rappresentanza e partecipazione. Si è fatto altro. Come si vede in questi giorni, quel tema ineludibile viene così lasciato alla spontaneità e ai soli rapporti di forza».
Da Bersani a Romano Prodi. Che, sempre nel libro-intervista con Damilano, si chiede se «può essere un’interpretazione dell’Ulivo affermare che i sindacati non vanno ascoltati e che tutti i corpi intermedi, nessuno escluso, vadano distrutti o indeboliti?». E si risponde che «spesso vanno doverosamente contrastati, ma ascoltati sempre». Un’altra dura critica al metodo Renzi, fatto di promesse e velocità, ma anche di disintermediazione continua dei soggetti della rappresentanza. Prodi in questi mesi ha continuano a tessere rapporti in politica estera. Si tiene defilato, ma rimane un esponente di peso nel sistema Italia. Proprio come Letta Jr, il terzo puntino da unire. L’ex presidente del Consiglio ha annunciato da Fabio Fazio su Rai3 il suo addio al parlamento, ma ha promesso che avrebbe continuato a fare politica.
La maggior parte dei renziani dell’ultima ora arrivano dal Pd franceschiano e lettiano
La situazione è molto fluida. La rottura sull’Italicum sarà un tassello di questa storia che potrebbe arricchirsi di nuovi colpi di scena da qui ai prossimi mesi, tenendo conto anche dei risultati delle elezioni regionali. Soprattutto, è la posizione di Renzi che sarà sempre più sotto i riflettori. Nessuno dimentica che la maggior parte dei renziani dell’ultima ora arrivano dal Pd franceschiano e lettiano, che Areadem non è uno zoccolo duro del renzismo, ma una corrente eterogenea. Non è un caso che il premier continui sempre più a contornarsi dei suoi fedelissimi, unici di cui si fida, gli esponenti del cosiddetto “giglio magico” fiorentino, come Luca Lotti e Maria Elena Boschi.
L’amalgama che potrebbe venire a crearsi intorno a Prodi, Letta e Bersani è ancora difficile da delineare, ma a confronto dei renziani qui esiste ancora una classe dirigente: ci sono le fondazioni, c’è l’Arel, Agenzia di Ricerche e Legislazione fondata su un nome importante per il sistema Italia, come quello di Beniamino Andreatta. E poi ci sono i sindacati, la società civile, una sinistra ancora adesso in cerca di identità, senza contare l’attivismo a sinistra di Giuseppe Civati, da sempre strenuo oppositore del renzismo. C’è chi fa notare che lo stesso attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella fu tra i fondatori dell’Ulivo. Uno dei suoi consiglieri più fidati è Simone Guerrini – con due erre sola, da non confondere col renziano Lorenzo Guerini – amico di infanzia di Letta jr. Ci sarà pure Sergiuzzo a dare a una mano ai tre? Di certo, con o senza il presidente della Repubblica, la lunga marcia contro Renzi è iniziata.