Bisogna tornare indietro di almeno un anno per capire come Matteo Renzi sia riuscito a spuntarla sull’approvazione dell’Italicum, tra le critiche finali della minoranza del Partito Democratico e l’entusiasmo del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. Il segreto del successo sta infatti nella “campagna acquisti” che il premier e segretario ha varato appena insediato a palazzo Chigi. E lo si può vedere nei numeri. All’ultima conta Renzi perde 61 voti del suo partito, l’asticella si ferma a 334, numero basso che racconta come a risultare decisivi siano stati i renziani dell’ultima ora, quelli che l’ex sindaco di Firenze ha raccolto sulla strada negli ultimi mesi. Del resto, lo strappo della minoranza Pd si è fatto sentire forte e chiaro nel voto finale dell’Italicum. Tra chi ha votato no e chi è uscito dall’Aula, il dissenso apre una spaccatura definitiva, se non irreversibile, tra i democratici. Alla legge elettorale sono mancati i voti dell’ala sinistra del Pd, ma il presidente del Consiglio ha potuto contare su nuove correnti e forze fresche che da settimane blindano il cammino del governo, riforme comprese.
Ex Cinque Stelle, Scelta Civica e Sel, oggi sono entrati nel Pd. La vocazione maggioritaria di Renzi comincia in Parlamento, prove generali per il Partito della Nazione?
Renziani dell’ultim’ora, esponenti che da tempo erano nei radar del Nazareno, ma anche qualche insospettabile. Nella lista ci sono gli ex di Scelta Civica, Cinque Stelle, Sinistra Ecologia e Libertà. Sensibilità diversissime, capolinea identico. Tutti sono entrati nel Partito Democratico, ancor prima di votare la fiducia all’Italicum. «E qui si spiega l’attivismo di Renzi nel convicerli a passare con lui» dicono nei conciliaboli di Montecitorio gli ultimi esponenti della ditta di Pier Luigi Bersani. La vocazione maggioritaria di Renzi, quella di una sinistra che guardasse al di fuori della ditta allargando il recinto elettorale, comincia in Parlamento. Quasi a fare le prove generali per il Partito della Nazione, che adesso sembra poter fare a meno della minoranza interna.
Una figura centrale nel pallottoliere del Nazareno è quella di Gennaro Migliore che, come ricorda a Linkiesta la deputata vendoliana Celeste Costantino, «quando stava con Sel era contrario all’Italicum e ora è diventato relatore, mi sembra la perfetta chiusura del cerchio». Super-renziano della seconda ora, l’ex braccio destro di Nichi Vendola aveva lasciato Sel per fondare il gruppo “Libertà e Diritti”. A fine ottobre ha fatto confluire Led nel Pd, una corrente nuova di zecca e fedelissima al governo. Il leader è proprio Migliore, che ha già fatto visita alla Leopolda e a marzo è stato nominato commissario del partito a Tor Bella Monaca. Ma nella pattuglia dei “miglioristi”, che ha votato la fiducia all’Italicum col marchio Pd, ci sono pure l’ex segretaria della Cgil piemontese Titti Di Salvo, l’ex Rifondazione Comunista Martina Nardi, un fondatore di Sel come Luigi Lacquaniti. Ma anche quell’Iseana Cathia Piazzoni che due settimane fa è stata tra i prescelti del Pd per sostituire i membri della minoranza in Commissione Affari Costituzionali. Sempre ex vendoliani e oggi democratici sono Fabio Lavagno, Nazzareno Pilozzi e Alessandro Zan, mentre Toni Matarrelli è l’ultimo ad aver lasciato Sel. Qualche giorno fa aveva annunciato il suo sì all’Italicum, oggi i boatos lo segnalano in avvicinamento al partito del premier.
È entrata nel Pd e ha votato la fiducia all’Italicum Gessica Rostellato, ex Cinque Stelle. Colei che rifiutò di stringere la mano a Rosy Bindi: «Non è un piacere!»
La pattuglia di ex Cinque Stelle entrati nel Pd annovera due figure da sempre dialoganti come Tommaso Currò e Alessio Tacconi, dissidenti pentastellati della prima ora. Ma ad arricchire il pacchetto dei grillini redenti si è aggiunta Gessica Rostellato, che il 30 aprile scorso ha annunciato l’ingresso nel Pd e il suo voto favorevole all’Italicum renziano. Curioso il destino della deputata veneta che, appena entrata in Parlamento col Movimento 5 Stelle, rifiutò di stringere la mano a Rosy Bindi vantandosene su Facebook: «Ma ti pare che ti do la mano e ti dico pure piacere? No guarda, forse non hai capito, non è un piacere!». Oggi, ironia del destino, tra democratici trova proprio la Bindi. Chissà che non scappi l’occasione per scambiare un segno di pace. In acque governative è approdata anche Paola Pinna, espulsa da Grillo a novembre e approdata a Scelta Civica nel mese di marzo. Con lei c’è un altro ex Cinque Stelle come Ivan Catalano che, dopo l’addio ai grillini, si era accasato coi liberali del Pli per abbracciare, ad aprile 2015, Scelta Civica.
Ma il partito fondato da Mario Monti si è rivelato un punto di partenza affollato per parecchi deputati, oggi portatori di voti all’Italicum. Un vero e proprio trasloco che in qualche mese ha sgonfiato “Sciolta Civica”, come l’hanno malignamente soprannominata gli addetti ai lavori. Il pioniere era stato Andrea Romano, che a ottobre decise di entrare in quello che definiva un «Pd 2.0 che ha cambiato pelle rispetto al passato». A febbraio 2015, lo hanno seguito illustri compagni di strada montiana. Pezzi da novanta come il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, l’economista Irene Tinagli, il sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni. Tutti nel nuovo Partito Democratico, quello di Matteo Renzi e dell’Italicum.
E adesso? A quanto pare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella approverà la riforma elettorale senza scossoni. Al massimo arriveranno alcune osservazioni. Ma sul fronte politico la battaglia non è chiusa: al Senato la minoranza dem vuole far sentire la propria voce. Bisognerà aspettare le elezioni regionali per stabilire pesi e contrappesi. Lì Renzi capirà quanto vale il suo Pd dopo il boom alle europee dello scorso anno. Anche la “ditta” farà due calcoli. E forse si capirà se il Partito della Nazione nascerà o meno. L’Italicum è stata la prima grande prova ed è andata bene.