Portineria MilanoMilano piange, Expo non è il Salone del Mobile

L'inchiesta

«Il boom di Expo? E chi lo ha visto?». È un coro unanime quello dei commercianti e ristoratori del centro di Milano. Nei luoghi in cui si sarebbe dovuto riversare il flusso di turisti trainato dalla manifestazione universale, sembra si stiano invece tracciando i contorni di un mezzo flop, almeno per quanto riguarda il bilancio di queste prime due settimane. Da Brera a piazza Castello, passando per via Dante, corso Vittorio Emanuele fino ad arrivare a San Babila, c’è un sentire comune che attraversa il cuore turistico meneghino, una linea sottile che unisce il malcontento di chi si aspettava un incremento del fatturato e invece si ritrova a dover sbattere il muso contro la pragmaticità dei fatti: Expo è una realtà che vive di vita propria, un corpo estraneo con dinamiche e comportamenti che niente hanno a che fare, e che niente portano in più, alla città di Milano. Il punto gira intorno alle aspettative del tessuto economico milanese che forse ha paragonato con troppa facilità l’Expo al Salone del Mobile, evento che dura una settimana in aprile, da anni traino economico per la città. Nel 2015 i flussi turistici del salone sono cresciuti del 7,2% rispetto all’edizione del 2014. La Camera di Commercio di Milano ha calcolato che l’indotto per gli alloggi quest’anno è stato di quasi 172 milioni di euro: per aperitivi e cene del “dopo Salone” e del Fuori Salone si sono spesi circa 20 milioni di euro.

A Milano inizia a circolare un certo malessere per un indotto al di sotto delle aspettative. Del resto, anche a livello Italia la spinta da parte di Expo non pare sarà così significativa.

A Milano inizia a circolare un certo malessere per un indotto al di sotto delle aspettative. Del resto, anche a livello Italia la spinta da parte di Expo non pare sarà così significativa. O almeno è questa la previsione della ricerca economica «Expo Milano 2015: Made in Italy alla grande?» curata da Euler Hermes (gruppo Allianz). Secondo lo studio la manifestazione universale darà un positivo seppur limitato contributo di 0,1% al PIL italiano del 2015. In totale, compresi i primissimi effetti, l’Esposizione Universale potrà apportare fino a +0,4% di Pil considerando il periodo 2012-2015. Impatto decisamente limitato in percentuale al Pil se si confronta con il +5% per la Cina di Shanghai 2010 e il+1,5% per il Giappone nel 2005. Non solo. Altra differenza è legata alle aziende. Se durante il Salone del Mobile va in scena la celebrazione dell’eccellenza del legno arredo sul territorio lombardo, per Expo invece buona parte delle aziende è a rischio default. Non solo. Per Euler Hermes un terzo delle nuove aziende nel settore edile potrebbero chiudere nel 2017 a causa dell’interruzione delle attività. Il settore alberghiero e della ristorazione dovrebbe subire un impatto minore, in quanto è previsto un aumento del flusso di turisti dopo la chiusura dell’Expo, grazie alla maggiore attrazione esercitata dall’Italia. In questo settore dovrebbe fallire solo 1 su 10 imprese nel 2017. In totale, nel peggiore dei casi ipotizzato, 2.500 imprese potrebbero chiudere nel 2017 (con un aumento del +14% rispetto al 2016) e 1.500 nel 2018 (+7%). 

Tornando alla città, non tragga in inganno la polemica che si è scatenata negli ultimi giorni: il commissario dell’Expo Giuseppe Sala non più tardi di qualche giorno fa, in occasione del primo vertice dei commissari dei Paesi partecipanti alla manifestazione, ha provato a lanciare una proposta su cui lavorare: spostare la chiusura di Expo di un’ora, dalle 23 alle 24. Un’idea nata probabilmente dall’onda di entusiasmo generata dal cosiddetto “Expo by night”, il momento in cui Decumano e Cardo si trasformano nella passerella “delocalizzata” della movida milanese, frutto della possibilità di entrare nel sito espositivo di Rho-Pero con soli 5 euro dopo le 19. Immediato però è arrivato il “no” del sindaco Giuliano Pisapia in persona, che ha bocciato la proposta definendola irrealizzabile principalmente dal punta di vista logistico, troppo complessa sarebbe la ridefinizione della gestione del trasporto pubblico per garantire che nessuno si ritrovi impossibilitato a tornare in città dopo la chiusura posticipata di Expo.

«Un’ora in più o in meno non cambia assolutamente nulla per quanto riguarda le mia attività — spiega un ristoratore del centro cittadino — semmai il problema è legato al fatto che a Expo dopo le 19 si entra con cinque euro»

Ma sono numeri che fanno paura. «Un’ora in più o in meno non cambia assolutamente nulla per quanto riguarda le mia attività — spiega Riccardo Minati, titolare della Trattoria del Corso e dell’Osteria del Batti Batti entrambi in corso Garibaldi — semmai il problema è legato al fatto che a Expo dopo le 19 si entra con cinque euro. Ovvio che in questo caso chi decide di andare in quella fascia oraria è incentivato a rimanere anche per cena, nonostante si continua a ripetere che i prezzi per mangiare lì sono piuttosto alti». In molti come Minati hanno deciso di modificare il proprio orario di lavoro, nella speranza di catturare qualche turista in più, ma con scarsi risultati. «Le mie trattorie continuano a rivolgersi ad una clientela affezionata — continua Minati —, a sedersi a tavola da noi sono sempre i clienti di Brera e zone limitrofe, non avverto un cambiamento significativo al momento. Credo che Expo rappresenti una piccola città indipendente da Milano, tutto si svolge lì, senza nessuna connessione con la città. Se proprio devo essere sincero noto anche un calo dell’affluenza di persone durante il week-end, chi amava fare la passeggiata domenicale da queste parti ora con molta probabilità preferisce andare ad Expo. Una condizione forse legata al fatto che sono principalmente cittadini milanesi e lombardi a visitare il sito espositivo».

Basta spostarsi di un centinaio di metri e la situazione sembra essere ancora peggiore: «Expo? Giudicate voi — è l’esortazione di un cameriere del ristorante Convivium di piazza del Carmine, mentre con la mano indica la sala completamente deserta all’ora di pranzo — abbiamo deciso di aprire anche a pranzo convinti che potesse essere la scelta giusta, viste le previsioni di turisti che si annunciavano in occasione della manifestazione. Fino ad ora non siamo per niente soddisfatti, anche se bisogna ammettere che è un po’presto per fare dei bilanci. Sei mesi sono tanti e ci aspettiamo tempi migliori». Va tuttavia sottolineato che essendo Expo una manifestazione atipica, soprattutto in termini di durata, non paragonabile ad altre manifestazioni che si svolgono periodicamente a Milano è lecito aspettarsi un’alternanza di rendimento in termini di flusso di turisti. Una tesi che però non convince del tutto titolari di locali e ristoranti del centro: «Se i picchi di turisti in determinati periodi servono solo a compensare i periodi di magra — spiega il titolare di un ristorante di via Dante — allora il gioco non vale la candela. Se io adatto il mio orario di lavoro in funzione di Expo, spero di trarne dei benefici, non mi accontento di pareggiare il conto». 

«È impensabile fare un raffronto di tra il fuori salone e “Expo in città”,  stiamo parlando di due eventi totalmente differenti e con un tipo di organizzazione agli antipodi»

«Non ci sono eventi collegati a Expo a sufficienza che valorizzino abbastanza Milano — sostiene una responsabile della trattoria da Pino, noto locale di ristorazione milanese nei pressi di largo Augusto che per l’occasione ha deciso di aprire anche per cena  — come per esempio nel caso del Salone del Mobile. Il fuori salone solitamente porta con sé un tasso di attrattività che va a vantaggio di tutti, fino ad oggi non ci sono stati riscontri in questa direzione per quanto riguarda Expo». Ma si può paragonare un evento come il fuori salone ad uno come ad esempio “Expo in città”, il cartellone di eventi collegati all’esposizione universale? «È impensabile fare un raffronto di questo tipo — spiega Filippo Del Corno assessore alla cultura del Comune di Milano responsabile della realizzazione di “Expo in città” — stiamo parlando di due eventi totalmente differenti e con un tipo di organizzazione agli antipodi. Il fuori salone dura una settimana, attrae visitatori che hanno interessi specifici, di uno certo livello sociale. Non dico che abbiamo nome e cognome di ognuno di loro, ma conosciamo quasi alla perfezione i loro profili. “Expo in città” è una macchina gigantesca al confronto, innanzitutto perché l’esposizione dura sei mesi non una settimana, ma poi anche perché si tratta di un evento rivolto a pubblico più generalista, puoi trovare tutto al suo interno. Come può essere anche solo immaginabile creare degli eventi su misura per un pubblico così eterogeneo?».

Ancora più decisa la replica di Del Corno sul fronte della presunta mancanza di indotto su commercianti e ristoratori del centro: «Chi dice che non ci sono attività correlate a Expo che valorizzino la città è un interlocutore fuori dalla realtà. Penso che per fare delle discussioni serie bisogna avere dei dati in mano. Noi li abbiamo, commercianti e ristoratori di cui lei parla non lo so. Giusto per darle qualche cifra: nelle prime due settimane di maggio 2015 Palazzo Reale ha avuto 23 mila visitatori, nello stesso periodo del 2014 circa 17mila. Abbiamo i biglietti venduti che testimoniano, non sono delle sensazioni. Per non parlale della Scala, la Turandot è tutta esaurita. Stesso discorso vale per le iniziative sociali, molte delle quali hanno fatto registrare un incremento del 20%. Se vogliamo fare un dibattito serio, ci vogliono i numeri. Che possono essere quelli di un ristoratore che mette a confronto i fatturati delle 2 settimane di maggio 2015 con quelle del 2014. Se nota un calo, allora ne possiamo discutere. Così sono solo sensazioni poco attendibili che non possiamo prendere in considerazione. Chi riscontra un generale insuccesso legato alla propria attività, non può addossare la responsabilità al Comune. Non lo accetto. Semmai forse c’è stato qualche errore nell’offerta commerciale proposta al cliente. O magari qualcuno ha deciso di alzare i prezzi, sbagliando strada. Qual è la responsabilità del Comune qui?».  

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