Sabato 30 maggio, la splendida cornice del Festival dell’Economia di Trento è stata l’occasione per Anthony Atkinson, uno dei massimi studiosi di diseguaglianza e di finanza pubblica e professore alla London School of Economics di Londra, di sintetizzare 50 anni di ricerca scientifica e passione civile, esponendo le sue proposte per un mondo migliore e più giusto. La diseguaglianza – questa è la tesi di Atkinson – non è una costante di natura, non è intrinsecamente legata allo sviluppo economico o all’innovazione tecnologica. La diseguaglianza è una scelta politica e, in quanto tale, se lo si vuole, può essere moderata senza conseguenze per l’efficienza economica del sistema.
Tra le varie cose, si supererebbe la logica dell’austerità finanziaria con un piano a lungo termine di investimento sul capitale sociale
Tra le varie proposte che ha avanzato, ce ne è una che colpisce per la sua valenza nel rilanciare l’idea sociale di Europa: l’istituzione, in aggiunta a un reddito di partecipazione per gli adulti, di un reddito minimo per tutti i bambini dell’Unione europea, corrisposto indipendentemente dalle “condizioni” di nascita. Indipendentemente cioè dal fatto di essere nato in Germania o in Grecia, da una famiglia ricca o da una famiglia povera, di essere di religione cristiana o musulmana.
La proposta consentirebbe in un colpo solo di realizzare una molteplicità di obiettivi. Si promuoverebbe l’uguaglianza di opportunità, ma combattendo in parte la diseguaglianza di risultati. Si rilancerebbe il progetto europeo, proiettandolo oltre l’ambito angusto e insufficiente del mercato e della moneta unici. Si supererebbe la logica dell’austerità finanziaria, con un vero piano a lungo termine di investimento sul capitale sociale ed economico dell’Europa. Un piano che forse costerebbe meno del piano Juncker da oltre 300 mld di euro, ma sarebbe enormemente più efficace e socialmente sostenibile.
“Il diavolo sta nei dettagli” direbbero gli avvocati inglesi. È vero, soprattutto se stiamo parlando di un’operazione di queste dimensioni, ma non dobbiamo neanche esagerare. Ad esempio, si potrebbe facilmente proporzionare il reddito al costo della vita nell’area di residenza e al numero/età dei fratelli, senza con questo sostituirsi all’assistenza sociale (invalidità, abitazione, deprivazione, …) che deve essere affrontata con strumenti specifici di competenza dello stato nazionale. Per evitare un cattivo uso del denaro da parte dei genitori, il reddito potrebbe essere erogato condizionatamente alla frequenza scolastica, in parte in voucher e in parte accreditando una social card utilizzabile solo per certe tipologie di spese (rette di asili nido, vestitini per bambini, centri estivi, …). Per evitare che i “ricchi” ne beneficino più dei “poveri” questo reddito non deve prendere la forma di una deduzione d’imposta ma deve entrare nella base imponibile Irpef, in questo modo il netto varierebbe in funzione inversamente proporzionale al reddito rispettando i principi redistributivi.
Se erogata in tutti i paesi europei dalla Comunità Europea, contribuirebbe ad aumentare la mobilità tra paesi e a creare un mercato unico del lavoro
I risultati positivi sull’eguaglianza delle opportunità sono evidenti e la renderebbero una misura gradita sia alla destra sia alla sinistra: è noto infatti che le barriere maggiori alla mobilità sociale si innalzano fin dai primissimi anni di vita, quando la lotteria genetica ci fa nascere in una famiglia ricca o in una povera.
Il costo sarebbe pari a 12 miliardi di euro, al lordo delle tasse. Non molto diverso dai 10 miliardi del costo lordo del bonus degli 80 euro
Ma si otterrebbe anche una riduzione della disuguaglianza dei “risultati”, attraverso una misura di cui beneficerebbero principalmente le famiglia meno ricche, consentendo un innalzamento della natalità. D’altro canto, esistono oramai innumerevoli studi che mostrano come il rischio maggiore di cadere in povertà sia strettamente legato alla numerosità della famiglia. Non solo per il numero di bocche da sfamare ma anche perché l’assenza di servizi all’infanzia economicamente abbordabili porta ad abbassare la partecipazione femminile alla forza lavoro e riduce la mobilità dei lavoratori ad un raggio di pochi chilometri rispetto al centro della propria rete familiare (i “nonni” e gli “zii”). Una misura di questo tipo, erogata in tutti i paesi europei dalla Comunità Europea, contribuirebbe enormemente ad aumentare anche la mobilità tra paesi e a creare un mercato unico del lavoro.
I costi di una manovra del genere sono considerevoli. Atkinson non fornisce stime, non suggerisce modalità specifiche di finanziamento. Per avere un’idea, in Italia ogni anno nascono circa 500.000 bambini. Ipotizzando che il reddito minimo sia mediamente pari a 300 euro mensili per bambino, ciascuna classe di età costerebbe 1,8 miliardi all’anno al lordo della tassazione. Se il reddito minimo fosse pieno fino al sesto anno di età e poi venisse sottoposto ad una verifica dei mezzi (basato in Italia sulla stima Isee), il costo sarebbe pari a 10,8 miliardi. Se i minorenni “poveri” sopra i 6 anni fossero circa il 5% del totale e la copertura si estendesse fino alla maggiore età, si genererebbe una spesa ulteriore di 1,1 miliardo di euro, per un totale di 12 miliardi di euro (al lordo delle tasse).
Non molto diverso quindi dai 10 miliardi del costo lordo del bonus degli 80 euro. Ma questi sono i costi, al lordo delle imposte e senza tener conto che esistono altre forme di deduzione e di trasferimenti che potrebbero essere sostituiti. Non abbiamo considerato i ricavi. Quale vantaggio, ad esempio, ne potrebbe trarre il sistema sanitario e quello pensionistico se la natalità ritornasse ad un livello almeno pari a quello sufficiente per stabilizzare la popolazione? Per non parlare dell’effetto sui consumi, che attraverso il noto moltiplicatore keynesiano, aiuterebbe a far ripartire l’economia.
Il finanziamento dell’Europa potrebbe prendere diverse forme. Anche su questo Atkinson non si è espresso. Ma potremmo immaginare che, trattandosi di un investimento sul futuro in senso letterale, il costo potrebbe essere scomputato dal calcolo del deficit ai fini del rispetto dei parametri di Maastricht e del fiscal compact. Il debito che ne risulterebbe potrebbe essere finanziato dai primi veri “EuroBond” e garantito in solido da tutti i paesi della Comunità europea. Sarebbe troppo visionario immaginare che la “minimum corporate tax” proposta da Krugman e Stiglitz vada a finanziare il ripagamento di questi “Euro Bond”? Forse è un caso, ma mentre parlava Atkinson in un’altra sede del festival, blindati dalle forze di polizia, Renzi e Valls discutevano con Lilli Gruber sul futuro dell’Europa. L’obiettivo era lo stesso: cambiare l’Europa. Nel seminario “Visioni”, l’orizzonte erano i prossimi trent’anni. Nell’altra sede, i prossimi trimestri.