Nulla a sinistra? Cercando una (nuova) socialdemocrazia

Nulla a sinistra? Cercando una (nuova) socialdemocrazia

Il 7 giugno, a Roma, Maurizio Landini – segretario della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil – ha presentato un nuovo movimento politico, Coalizione Sociale. Landini ha rifiutato di farsi incasellare nella tradizionale divisione destra/sinistra: «Noi non siamo a sinistra del Pd e non siamo a sinistra di nessuno», ha detto, preferendo sottolineare che la sua battaglia è per ripristinare «la cultura dei diritti».

Allarghiamo l’orizzonte: le ultime amministrative spagnole hanno visto il clamoroso successo di Podemos, che si autodefinisce un movimento “populista di sinistra”; il Movimento Cinque Stelle in Italia, terza forza in molte regioni italiane dopo le ultime amministrative, si dichiara “oltre” lo schema partitico tradizionale. In altre parole, i nuovi movimenti oggi marcano una discontinuità rispetto al passato “di sinistra” più tradizionale, anche quando le politiche che propongono spesso le richiamano.

È la conseguenza ultima di una debolezza di pensiero dimostrata dal centrosinistra europeo negli ultimi anni. Dopo decenni di egemonia, il pensiero progressista sembra aver preso altre strade e scelto altre parole d’ordine. Come si è arrivati a questo punto? E da dove può ripartire il centrosinistra? Un testo dello studioso statunitense Cas Mudde traccia, in modo molto chiaro, il percorso della crisi di identità, di elaborazione politica – e di voti. 

La crisi economica in corso ha già creato, in politica, molti sconfitti e qualche vincitore – per la maggior parte dalla vita breve – ma in mezzo a tutto il cambiamento c’è qualcosa che rimane costante: la debolezza della sinistra.

Nonostante le tassative messe in guardia della destra neoliberale a proposito di un’ondata della “sinistra radicale”, i veri partiti della sinistra radicale hanno ricevuto poco beneficio dalla distruzione socio-economica che ha devastato larga parte del continente europeo.

I veri partiti della sinistra radicale hanno ricevuto poco beneficio dalla distruzione socio-economica

La greca Syriza è l’unica vera storia di successo, ed è una vicenda che si situa nel contesto più estremo, come mostra dolorosamente la parallela crescita del partito neonazista Alba Dorata.

Altri partiti di sinistra, come il Partito Socialista olandese (PS) o il Fronte di Sinistra (FdG) francese, sono di “estrema sinistra” solo nella mente dei commentatori neoliberalisti come le firme dell’Economist. Allo stesso tempo, i partiti socialdemocratici non si sono mossi significativamente (di nuovo) a sinistra e non hanno neppure guadagnato un supporto significativo nelle recenti elezioni.

Questa assenza di un controprogetto di sinistra di successo per la crisi economica in corso e per il futuro europeo ha portato a un frenetico esame di coscienza all’interno dei circoli di sinistra, soprattutto in think tank come Policy Network, ma finora le analisi e le prospettive non sembrano promettenti.

Credo che le questioni in ballo riguardino un livello molto più profondo di quanto la maggior parte dei commentatori abbiano riconosciuto, e includano anche la politica redistributiva sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta – o la politica socialdemocratica della vecchia scuola, se preferite. Trent’anni di egemonia neoliberale hanno creato parecchie generazioni di europei poco raggiunte dall’ideologia socialdemocratica e con poca esperienza di politiche redistributive significative. Ciò è riflesso nel cambiamento dei valori sia dell’elettorato tradizionale (cioè la working e la lower middle class) che della leadership politica dei partiti di sinistra.

Meno dello stesso

Facciamo un veloce passo indietro, alle politiche di sinistra negli ultimi tre decenni. In risposta ad una working class bianca in diminuzione, gran parte dei partiti socialdemocratici in Europa sono andati alla ricerca di un nuovo elettorato, il cosiddetto “nuovo centro” (neue Mitte), che venne corteggiato tramite una retorica della “Terza Via” in cui la pragmatica aveva la priorità sull’ideologia.

Rinunciando non solo al discorso pubblico, ma anche ai valori fondamentali della socialdemocrazia – creare cioè una società socio-economicamente più egualitaria attraverso l’intervento redistributivo dello stato – la Terza Via cominciò come una versione laica dell’economia sociale di mercato cristiano-democratica e finì come una versione più leggera del neoliberismo.

Mentre la destra restava sempre più incantata dalla deregulation e dalle privatizzazioni, la risposta del (centro)sinistra fu la richiesta di un po’ meno della stessa cosa

Mentre la destra restava sempre più incantata dalla deregulation e dalle privatizzazioni, la risposta del (centro)sinistra fu essenzialmente la richiesta di un po’ meno della stessa cosa e non molto più di questo. Privo di un’alternativa ideologica, il centrosinistra non aveva né la retorica né i valori per sfidare i fondamenti del progetto neoliberista. Quest’ultima operazione fu lasciata alla sinistra radicale, ovvero principalmente i partiti comunisti, che divennero di fatto un danno collaterale della caduta del Muro di Berlino. Il neoliberismo, dunque, regnò sovrano e la socialdemocrazia divenne una religione senza profeti.

Uguaglianza etnica

Ma i socialdemocratici non guardarono solo al nuovo centro per trovare nuovi elettori; essi cercarono anche oltre l’elettore “nativo”, allargandosi in direzione del crescente gruppo degli immigrati e dei loro discendenti (autoctoni). Avendo rinunciato alla retorica di classe, questi “nuovi cittadini” furono corteggiati attraverso un discorso multiculturale soft, in cui l’uguaglianza etnica rimpiazzava la solidarietà di classe.

Questa strategia ebbe molto successo nel breve termine: quando, nella maggior parte dei paesi europei con un significative minoranze nella popolazione, i partiti socialdemocratici divennero i preferiti dagli elettori di quelle minoranze. Sfortunatamente, ciò avvenne a caro prezzo: il voto della working class bianca, che in molti paesi protestò tramite l’uscita (il non voto) o la voce (il voto per la destra radicale).

Vista la bassa partecipazione al voto di (gran parte delle) minoranze, il nuovo elettorato “etnico” compensò a stento la perdita dell’elettorato “nativo” – escludendo qualche elezione locale nelle grandi città, dove i partiti socialdemocratici (ri)stabilirono la loro presa sulla politica locale, ma in un modo decentrato e a volte “etnicizzato”.

Sinistra radicale?

In alcuni Paesi, l’ex sinistra radicale provò a riempire il vuoto socialdemocratico, anche se spesso senza troppa convinzione. Ne sono buoni esempi il Partito Socialista olandese o Die Linke in Germania, anche se quest’ultima ha coltivato in aggiunta una specifica identità “dell’Est” per catturare il voto dell’Ostalgie [la nostalgia per la Ddr, NdT].

Il problema, in questa socialdemocratizzazione della sinistra radicale, fu soprattutto istituzionale. La maggior parte dei partiti di quell’area radicale venivano da una lunga storia di opposizione alla socialdemocrazia e dunque non potevano arrivare fino ad abbracciare apertamente il verbo della socialdemocrazia, nonostante offrissero più o meno un programma socialdemocratico.

Di conseguenza, il partito continuava ad usare un discorso di sinistra radicale e uno stile radicalmente oppositivo, che lo marginalizzava sia all’interno delle masse che tra l’élite. Inoltre, molti di questi partiti sono (ancora) guidati in modo opaco o apertamente antidemocratico, il che ne ostacola l’attraenza e l’efficacia in un sistema democratico liberale, basato sul compromesso e sul pluralismo.

Bozzolo sdentato

E dunque, come si ritrova la sinistra, nel contesto della crisi europea? Per lo più senza artigli. I partiti della sinistra radicale sono rimasti circoscritti ad una minoranza piuttosto stabile dell’elettorato, con l’eccezione della Grecia, dove larga parte della popolazione è così disperata da cercare qualsiasi alternativa ai partiti tradizionali dominati dalla Troika, e dove la socialdemocrazia era secondaria rispetto al clientelismo populista.

Vista la loro inerzia intrinseca, ci sono poche ragioni per aspettarsi un cambiamento significativo nel prossimo futuro. I partiti socialdemocratici restano per lo più catturati nella rassicurante bambagia della Terza Via, offrendo una debole variante delle politiche di investimento keynesiane di fronte alla retorica e alle politiche di austerità ancora dominanti.

Se la questione è limitata alle alternative “ideologiche”, alcuni sostengono che un populismo di sinistra possa contrastare il populismo di destra in presunta ascesa, per riguadagnare così una parte dell’elettorato tradizionalmente socialdemocratico. Vogliono che i partiti socialdemocratici divengano la voce degli Indignados e dei movimenti come Occupy, del 99 per cento contro l’1%. In un certo senso, questa è la conseguenza radicale ma logica del pensiero della Terza Via, in cui il “nuovo centro” è il 99%.

Ma il populismo non è la risposta. Non solo riduce la politica a una divisione essenzialmente morale, che esclude il compromesso e il pluralismo; esso semplifica anche le vere divisioni all’interno della società, che sono per la maggior parte all’interno del 99 per cento e non tra il 99 e l’1 per cento.

Riaffermare la socialdemocrazia

D’accordo con Henning Meyer, credo che la vera risposta stia nella nuova affermazione dei valori socialdemocratici e nel presentare una risposta socialdemocratica alle principali sfide di oggi e di domani: l’economia globale neoliberista, le società multietniche e l’integrazione europea.

Tuttavia, a differenza di Meyer, non sono molto ottimista riguardo alla possibilità, per gli attuali partiti socialdemocratici, di intraprendere un simile progetto di ringiovanimento della socialdemocrazia. Per prima cosa, quasi tre decenni di politica della Terza Via non hanno avuto conseguenze solo elettorali, ma anche istituzionali. Gran parte dell’apparato degli attuali partiti socialdemocratici ha conosciuto solo una “ideologia” della Terza Via e vi aderisce sinceramente. In secondo luogo, i partiti socialdemocratici sono diventati partiti di governo, che cercano primariamente cariche pubbliche. Un diverso orientamento verso la socialdemocrazia è una strategia a medio termine che, nel breve periodo, ha probabilmente delle conseguenze, in termini di perdita di voti e di opposizione politica. E questo perché reinventare la socialdemocrazia pone sfide non solo a livello di élite, cioè nell’apparato dei partiti socialdemocratici, ma ancora di più a livello di massa, dove la (vera) socialdemocrazia è non solo sconosciuta a molte generazioni di elettori ma anche contraddittoria rispetto alla loro visione del mondo individualista o etnicizzata.

Gramsci e la destra conservatrice americana

Il cambiamento politico deve cioè essere preceduto da un cambiamento culturale

Di conseguenza, la reinvenzione della socialdemocrazia richiede un approccio gramsciano: il cambiamento politico deve cioè essere preceduto da un cambiamento culturale. È necessario ricostruire una coscienza di “classe” (significativamente modernizzata) in cui le differenze culturali siano secondarie. Bisogna convincere una popolazione sempre più scettica (in particolare tra i giovani) dei vantaggi economici e morali di politiche veramente redistributive.

Il cambiamento culturale richiede una strategia a medio termine per cui sono poco adatti i partiti politici che fanno parte dell’establishment. Quel cambiamento dovrà arrivare prima di tutto da organizzazioni intellettuali come i think tank, che poi raggiungeranno organizzazioni politiche e movimenti sociali, che al termine del percorso avranno la direzione di (nuovi o vecchi) partiti politici.

Se qualcuno è in cerca di un’ispirazione, suggerisco di studiare la storia recente del grande successo della destra conservatrice americana: il suo dominio attuale del Partito Repubblicano cominciò decenni fa, con gli sforzi congiunti di un gruppo in espansione di intellettuali conservatori e di think tank.

Cas Mudde (Amsterdam, 3 giugno 1967) insegna alla School of Public and International Affairs della University of Georgia (USA). È autore di Populist Radical Right Parties in Europe (2007). Il suo profilo Twitter è @casmudde.

Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2013 su OpenDemocracy.net con il titolo Nothing left? In search of (a new) social democracy ed è qui riproposto con il consenso dell’autore. Traduzione di Giovanni Zagni.

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