Era evidente già due settimane fa che per la Grecia non sarebbe stato possibile saltare il pagamento al Fondo monetario internazionale e pensare di proseguire le negoziazioni con i partner europei come se nulla fosse. Ed era altrettanto semplice dedurne che la Banca centrale europea non avrebbe potuto lanciare alcuna ancora di salvataggio e che quindi le banche greche avrebbero dovuto chiudere gli sportelli. Stupisce come le agenzie di rating possano aver pensato che un atto così grave non avrebbe necessariamente rappresentato un “evento di default”. Sta di fatto che i cittadini greci non hanno la stessa fiducia delle agenzie di rating e hanno assaltato i bancomat nel weekend, non appena Alexis Tsipras ha annunciato il referendum e quindi il fallimento dei negoziati.
Le banche greche non riapriranno almeno fino alla settimana successiva all’esito del referendum del 5 luglio, anche se dovesse vincere il sì
Cosa succederà? Le banche greche non solo rimangono chiuse lunedì, ma non riapriranno almeno fino alla settimana successiva all’esito del referendum del 5 luglio, anche se dovesse vincere il “Sì”. Tsipras dovrebbe infatti dimettersi e, probabilmente, si darebbe vita a un governo di coalizione nazionale in grado di sedersi subito al tavolo dei negoziati per accettare la proposta della Troika e consentire alla Bce di riaprire i rubinetti. Ci vorranno un po’ di giorni, ma solo così si potrebbero rialzare le saracinesche alle banche e salvare la stagione turistica. Vista la posizione di Tsipras e di Syriza per il “No”, è evidente che i finanziamenti alla Grecia sarebbero appena sufficienti a lasciare il tempo per andare subito a elezioni anticipate (agosto?) e verificare se la nuova maggioranza parlamentare che emergerà vorrà confermare l’accordo con l’Europa. È evidente che in questo caso la situazione di incertezza si protrarrebbe ancora per qualche settimana.
Se vince il “No”, come invece vorrebbe Tsipras, la Grecia dovrà prepararsi a uscire dall’euro. Quante settimane se non mesi ci vorranno per stampare dracme non è chiaro. Non è chiaro nemmeno come Tsipras pagherà pensioni e stipendi ai dipendenti statali. È probabile che chi ha gli euro cercherà di tesaurizzarli, mentre i negozianti vorranno essere pagati solo in moneta. D’altro canto, già in queste ore, nessuno accetta più pagamenti elettronici con carte di credito o bancomat, non sapendo se e quando e soprattutto in quale valuta verrà pagato. In pochi giorni, la Grecia potrebbe ripiombare nelle condizioni di un Paese senza sistemi di pagamento moderni. E questo avviene proprio quando la stagione turistica sta per iniziare. Quindi, l’unica cosa chiara in uno scenario simile è che l’Europa dovrà prepararsi a erogare aiuti umanitari alla Grecia per evitare il collasso del Paese. Non è difficile capire che per Bruxelles e il mercato la soluzione preferita è quella di una vittoria schiacciante dei “Sì” al referendum e della successiva marginalizzazione di Syriza, Alba Dorata e gli altri partiti anti-europeisti e anti-sistema.
Nessuno può costringere una nazione a rimanere nell’euro se il suo popolo decide di uscire. Ma vale anche il contrario. Nessuna nazione può pretendere che un gruppo di nazioni metta mano al portafoglio per salvarla, senza nulla in cambio
Tsipras non ha capito che l’irrigidimento della posizione dei creditori non deriva solo dalla necessità di una maggiore concretezza nelle cifre e dalla necessità di un miglior bilanciamento tra nuove tasse e tagli alle spese. E non è nemmeno il frutto di un diverso rapporto di forze, con il potere di ricatto del debitore quasi azzerato dagli strumenti anti-contagio di cui l’Europa si è dotata in questi anni. Il punto vero è che gli equilibri geopolitici stanno cambiando rapidamente e nuove sfide, estremamente impegnative, attendono l’Europa. L’Europa deve procedere verso una maggiore integrazione e questa si può ottenere solo se tutti i Paesi hanno i conti a posto e sono convinti che le regole vadano rispettate. L’Europa non può più permettersi il lusso di sprecare le proprie energie politiche e finanziarie per mettere le pezze a un accordo pasticciato. E magari ritrovarsi tra un anno al punto di partenza con la Grecia o altri Paesi poco inclini a procedere, con i fatti e non con la retorica, verso una maggiore integrazione.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Vanno consegnate alla memoria le immagini di incontri che si prolungano oltre ogni ragionevole orario, meeting paralleli a cui accedono solo i Paesi che contano veramente, invalicabili linee “rosse” continuamente superate nella sostanza e spostate nel tempo da entrambe le parti. I mercati finanziari internazionali non capiscono più il perché di tutte queste energie sprecate su un problema così “piccolo”. Anche perché il caravanserraglio delle trattative europee sulla Grecia rafforza la posizione molto critica dei Paesi emergenti verso la governance “atlantica” del Fmi e in gioco c’è molto di più della prosecuzione della linea di sangue francese alla presidenza. La Grecia rappresenta la maggiore esposizione in assoluto del Fmi. Per accordare condizioni “morbide” al piano di consolidamento fiscale, il Fmi ha dovuto forzare le procedure interne, allontanandosi dalla prassi consolidata seguita con altri paesi meno “ricchi” della Grecia. Questo è accaduto perché l’Europa ha fatto da garante, accordando al Fmi lo status di creditore privilegiato nel trattato costitutivo del Fondo “Salva Stati”.
Non si può far vincere un partito che promette la luna, sperando che la Merkel di turno lo metta poi in riga. E men che meno si può sperare che la luna qualcuno ce la consegni veramente
E infine alcune considerazioni sul rapporto tra “democrazia” e “tecnocrazia” in Europa. Qui bisogna proprio sgombrare il campo dal fumo della retorica ideologica da talk show. Perché se c’è una grande lezione che tutti noi dovremmo tenere a mente è che il voto in democrazia conta, eccome. Non si può far vincere un partito che promette la luna, sperando che la Merkel di turno lo metta poi in riga. E men che meno si può sperare che la luna qualcuno poi ce la consegni veramente, solo perché abbiamo democraticamente deciso che così deve essere. In un periodo difficile, dove movimenti populistici stanno guadagnando consensi, gli elettori devono saper valutare le promesse e devono essere consapevoli delle conseguenze del loro voto.
L’Eurozona non è uno stato sovrano. In Europa, gli Stati nazionali sono “sovrani”, quindi nessuno può costringere una nazione a rimanere nell’euro se il suo popolo, direttamente con un referendum o indirettamente attraverso i propri delegati in Parlamento e al governo, decide di uscire. Ma vale anche il contrario. Nessuna nazione può pretendere che un’altra nazione o gruppo di nazioni metta mano al portafoglio per salvarla, senza chiedere nulla in cambio e senza condizioni.
Mercoledì mattina, al suo arrivo a Bruxelles, Tsipras pensava a un’accoglienza molto diversa per la sua proposta “ultimativa” ai creditori. Pensava di essere riuscito a riprendere in mano l’iniziativa e, invece, i creditori l’hanno messo all’angolo, con un’offerta “prendere o lasciare”, piuttosto umiliante anche nella forma. Il documento inviato dal governo greco è stato prima corretto e integrato con la penna rossa, nella modalità revisione che chi usa Word conosce bene, e poi diffuso o meglio leaked alla stampa. Mentre gli ammiratori nostrani di destra e di sinistra si lanciavano in manifestazioni di solidarietà e rispetto per Tsipras, probabilmente i cittadini greci in coda ai bancomat si chiedevano come hanno fatto a dare la propria fiducia a dei giocatori di poker.