Caos Grecia. Dopo Varoufakis ora rischiano Tsipras, Merkel e Draghi

Dopo il referendum

Siamo sicuri che domenica 5 luglio in Grecia sia nato l’embrione di un’Europa diversa da quella a trazione tedesca? Che sia finita la politica dell’austerità? E siamo sicuri che quella di Tsipras non sia la più classica delle vittorie di Pirro? La realtà è che probabilmente l’Europa rimarrà quella che conosciamo, almeno nel breve periodo. A cambiare saranno semmai i protagonisti di questi mesi, da Tsipras alla Merkel, da Draghi alla Lagarde, ognuno dei quali – a torto o ragione – è appeso a un filo dopo quanto successo ieri ad Atene. Partiamo dai greci: subito dopo l’esito del referendum Varoufakis ha dichiarato che il governo greco è pronto a raggiungere un accordo con l’Europa anche nelle prossime ventiquattro ore. Ammesso e non concesso che Varoufakis, fresco di dimissioni, e Tsipras seguano una strategia “razionale”, la Grecia si presentà a Bruxelles con una contro-proposta contenente meno riforme e sacrifici di quelli presenti nell’accordo su cui hanno stravinto il referendum. Razionalmente, tuttavia, i creditori europei e il Fondo Monetario Internazionale – che il 30 giugno non è stato pagato – difficilmente accetteranno una proposta diversa da quella da loro avanzata solo una settimana fa.

Nonostante il trionfo, Tsipras rischia grosso: il governo greco ha imboccato quasi inevitabilmente la via dell’uscita dall’euro

La realtà è che, nonostante il trionfo, Tsipras rischia grosso: il governo greco ha imboccato quasi inevitabilmente la via dell’uscita dall’euro – scenario che diversi analisti nell’imminenza dei risultati del voto definivano essere il più probabile sul tavolo – e gli unici modi per rimanerci sono due. Che di fronte al collasso dell’economia, i greci decidano di firmare la proposta dei creditori, limitandosi a chiedere qualche variazione lessicale. O che il governo Tsipras cada per andare a nuove elezioni affinché emerga una nuova maggioranza a trazione europeista. In caso contrario, sarà Dracma.

I guai di Tsipras sono una magra consolazione per chi sta dall’altra parte della barricata. Le regole democratiche non valgono solo in Grecia, ma anche in Germania. E qualunque proposta che preveda nuovi aiuti alla Grecia dev’essere approvata dal Parlamento tedesco. La dichiarazione di Sigmar Gabriel, segretario della Spd e ministro dell’Economia del governo tedesco, – «Tsipras sta condannando la Grecia, un accordo è quasi impossibile», in estrema sintesi – subito dopo l’esito del referendum la dice lunga sullo stato d’animo della Germania e sulla possibilità di un accordo con Tsipras. Se questo è il clima nella sinistra tedesca, peraltro, figuriamoci tra i falchi della Cdu-Csu, che avrebbero abbandonato la Grecia al suo destino già da tempo. Non certo uno scenario idilliaco per una come Angela Merkel, che in questa vicenda si è giocata parecchio del suo capitale politico, spendendosi per una mediazione che non c’è stata. Già a poche ore dalla vittoria del No, del resto, Der Spiegel parlava di fallimento della Cancelliera, peraltro. 

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

Rischia anche Christine Lagarde, che guida il Fondo Monetario Internazionale e si sta giocando in questi mesi la rielezione. Nel suo discorso post-voto, Varoufakis ha citato proprio uno studio degli economisti del Fondo, che raccomanda la ristrutturazione del debito greco, come arma per far valere le proprie ragioni. Uno studio che insiste peraltro sugli errori commessi in passato dal predecessore della Lagarde, Dominic Strauss Kahn, che spinse il Fondo Monetario a intervenire nella questione greca. Con risultati fallimentari sia per l’istituzione di Washington Dc, che nel salvataggio greco ha bruciato circa 30 miliardi -, sia per la Grecia, cui le politiche di austerità imposte dal Fondo Monetario sono riuscite nell’impresa di peggiorare la situazione. Le scommesse sono aperte, ma difficilmente vedremo un nuovo presidente francese del Fondo, nei prossimi decenni. 

Rischia anche Draghi, indicato da molti come l’unico che può sbloccare la situazione. Pensare che in assenza di un accordo la BCE possa fornire liquidità alle banche greche è pura illusione

Rischia anche Mario Draghi, indicato da molti come l’unico che può sbloccare la situazione. Pensare che in assenza di un accordo la Banca Centrale Europea possa fornire liquidità alle banche greche è pura illusione. Il vero problema è capire se e quando interromperà l’ELA – il fondo emergenziale per la liquidità delle banche – misura auspicata già poche ore dopo il voto da diversi economisti vicini al governo tedesco. Ciò che è sicuro è che quando la Grecia, il prossimo 20 luglio, non restituirà quanto dovuto alla Bce, per l’Eurotower non sarà più possibile considerare quella delle banche greche come una semplice crisi di liquidità. Può sembrare un punto “tecnico”, ma i Trattati vietano esplicitamente alla Bce il finanziamento monetario dei deficit pubblici. E questo solleva un problema più ampio. Draghi si trova oggi sulla linea di fuoco. Per quanta copertura “politica” possa aver ottenuto in questi mesi, è un fatto che con l’Ela la Grecia ha ricevuto 89 miliardi di euro di ulteriori aiuti che adesso sono a rischio volatilizzazione. Agli occhi dell’Europa del Nord e dell’Est la flessibilità che è stata concessa in questi ultimi anni potrebbe essere vista come fallimentare. Jens Weidmann, Presidente della Bundesbank e grande oppositore di Draghi, non aspetta altro.

Rischia anche Jean Claude Juncker, presidente della Commissione Europea. La flessibilità che ha applicato in questi ultimo anno nell’analisi dei bilanci pubblici potrebbe essere travolta dalla reazione dei “falchi”. Il fallimento greco potrebbe essere visto come la dimostrazione che un eccesso di flessibilità non farebbe che rimandare e ingigantire i problemi. E questi problemi sarebbero ingestibili se ad essere coinvolto non fosse un paese piccolo come la Grecia, ma un peso massimo come la Spagna o l’Italia. Una volta passata la tempesta, inizierebbe la discussione sulle conseguenze di non rispettare il fiscal compact, ad esempio. E per un paese come l’Italia, il cui leader a settembre vorrebbe andare in Europa “a fare casino”, non sarebbe uno scenario desiderabile. Già, rischiamo anche noi.

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