La beffa atroce di Euro 2000

La beffa atroce di Euro 2000

Nell’estate del duemila avevo 14 anni. In provincia di Ferrara faceva tanto caldo da squagliare le angurie, e i miei genitori avrebbero lavorato per tutta l’estate. La soluzione? Colonia estiva di Don Felice. Sì perché al Don era venuta questa pazza idea di portare i ragazzi in colonia per tutto il mese di giugno, a Riccione. Non che io fossi questo gran credente (si può esserlo davvero a 14 anni?), ma in oratorio ci andavo tutti i giorni per giocare a pallone, e quando vidi il volantino pensai al miglior modo di far credere ai miei genitori che fosse una buona idea. Accettarono di buon grado (sospetto che la prospettiva di liberarsi del figlio per un mese li avesse convinti più delle mie parole) e così esattamente l’8 giugno del 2000 partii in corriera alla volta di Riccione.

La prima bella notizia era che il periodo della vacanza coincideva quasi perfettamente con Euro 2000, e il Don era uno che non si perdeva neanche una partita delle nazionali. La seconda fu che alla colonia non c’eravamo solo noi, “la squadra” (così ci facevamo chiamare), ma anche gli altri gruppi parrocchiali ai quali partecipavano anche moltissime ragazze. Questo non era un dettaglio secondario, perché per noi quattordicenni in preda ai più bassi istinti ormonali c’era solo una cosa che si classificava seconda nel podio di importanza che vedeva al primo posto il calcio giocato e al terzo il calcio in tv: l’altro sesso. Io vedevo gli altri molto più sicuri di me, e per contro cercavo di conquistare le ragazze a suon di dribbling e gol. Non so se fosse perché le ragazze non venivano mai a vederci giocare oppure perché giocavo in porta, ma la mia tecnica di conquista non aveva mai portato alcun frutto. Fino a quella caldissima vacanza in colonia.

Lei si chiamava Agnese, aveva 13 anni ed era tanto bella quanto indifferente ai miei ripetuti tentativi di conquista. Ma in quella quella vacanza, durante la prima partita dell’Italia (11 giugno, Turchia- Italia 1-2), feci la scoperta che cambiò tutto. Agnese andava pazza per il calcio, ma soprattutto adorava un giocatore: il portiere azzurro Francesco Toldo. Anni dopo, a mente fredda, mi sono chiesto più volte perché una ragazza ferrarese di 13 anni adorasse spasmodicamente Toldo, ma non ho mai trovato una risposta che non contemplasse problematiche psichiatriche profonde. Ma lì, nella frescura romagnola che odora di pesce fresco e salsedine, capii che era arrivato il mio momento, che il mister mi stava chiedendo di scendere in campo. E io risposi “Sono pronto!”.

Così passai i giorni tra mattinate al mare, pomeriggi al campetto e serate davanti allo schermo. Agnese mi cercava sempre più spesso chiedendomi particolari tecnici di tutti i portieri delle varie nazionali. Io, che Dio mi perdoni, scoprii di avere un’altra grande dote oltre a quella di trovare ogni modo per farmi ignorare dalle ragazze: la menzogna. Inventavo intere biografie, carriere e palmarès. Un giorno mi chiese: “Se mi sai dire dove gioca il portiere Mladen Dabanovic ci mettiamo insieme!”. Un sorriso e una risposta: “Facile, nel campionato di casa: Partizan Belgrado!”. Non so se fosse più grave il fatto che non ricordassi che Dabanovic fosse sloveno, oppure che lei non sapesse che Belgrado fosse in Jugoslavia (ai tempi), ma il risultato fu che da quel momento eravamo una coppia.

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