I fumetti, come i romanzi e i film, hanno più piani di lettura. C’è quello dell’autore, che vuole raccontare. C’è il piano di lettura dell’editore/produttore, che ha visto qualcosa di particolare nella storia e ha deciso di pubblicare/finanziare. Poi ci sono il piano di lettura del “critico” e del lettore. Ora, a seconda del piano di lettura un fumetto, un romanzo o un film cambiano. Diventano qualcosa di più (o di meno). Si adattano alla visione e alla sensibilità del fruitore. E laddove questo non dovesse succedere, il fumetto, il libro o il film rischiano seriamente di annoiare. A conti fatti, insomma, quello che ci resta di un’esperienza – qualunque essa sia, filmica o narrativa, cartacea o digitale – sono le sensazioni. Quello che noi abbiamo provato e quello che – forse, può darsi, non si sa – l’autore voleva dire.
Sulla scia di questa considerazione, ve n’è un’altra, forse ancora più importante. Quella che riguarda la nostra visione del mondo (al di là dell’opera, che fa solo da intermediaria il più delle volte). Siamo portati – e questo è un discorso che semplifica, proprio come semplifica la stessa classificazione che ne segue – a dividere il mondo e le persone in categorie. Abbiamo i buoni e i cattivi, gli ottimisti e i pessimisti, i fortunati e gli sfortunati; gli intelligenti e gli stupidi. Quasi sempre, e queste classificazioni ne sono un esempio, distinguiamo tra due estremi o comunque tra due punti totalmente diversi e distanti tra loro. Così fa anche Alberto Madrigal con Va tutto bene. Ci dà – forse nemmeno volendo – la sua personale classificazione delle persone. Che stavolta, tra le pagine colorate del fumetto, tra tratti semplici ed essenziali e ambientazioni evocative, finiscono per dividersi in “realisti” e “sognatori”.
Il punto è che nessuna di queste categorie ha solamente pregi o solamente difetti. Benché opposte, sono infatti due categorie grigie, confuse, in cui si possono trovare varie sfumature e mescolanze (il sognatore con i piedi per terra, il realista che aspira a qualcosa di più e così via).
Lei decisa a tutti i costi a realizzare i suoi desideri, lui schiacciato dalle responsabilità e dalle preoccupazioni
Da una parte c’è Sara: giovane, intraprendente e bella. Cambia idea in continuazione, ha progetti su progetti e ha fiducia nel futuro – una fiducia sconfinata, estrema, facilmente confondibile (ecco il nostro primo, tremendo “grigiore”) con la pazzia. Dall’altra c’è Daniel che, al contrario di Sara, è un ragazzo pratico: ha un lavoro, vuole stare con Eva e ha una sua routine, senza, sarebbe perduto.
Sono loro i due protagonisti di Va tutto bene. Loro due insieme, fianco a fianco. Non solo Sara o solo Daniel. Inscindibili, perché sono le facce della stessa medaglia. Sono il sogno e la realtà, sono il futuro e il presente. Lei decisa a tutti i costi a realizzare i suoi desideri, lui schiacciato dalle responsabilità e dalle preoccupazioni. Rappresentano i due (dei tanti) modi di affrontare la crisi – quella economica, certo; ma anche quella della vita, quando si passa dalla giovinezza all’età adulta.
La Germania non è il paradiso terrestre; anzi, anche in Germania il futuro è incerto e forse, addirittura, lo è soprattutto lì, dove tutto sembra possibile, ma non ha più concretezza di un castello fatto d’aria
Vivono entrambi a Berlino ma non basta questo perché siano felici – la Germania non è il paradiso terrestre; anzi, anche in Germania il futuro è incerto e forse, addirittura, lo è soprattutto lì, dove il mercato del lavoro non si basa su contratti a tempo indeterminato, ma su lavori part-time e a progetto. Dove tutto sembra possibile, ma non ha più concretezza di un castello fatto d’aria. C’è chi il dinamismo e la frenesia della vita li vive come Sara: pronto a cimentarsi sempre in qualcosa di nuovo, mai però totalmente convinto o soddisfatto delle proprie idee, quindi disposto in ogni momento a cambiarle e a rivederle, e a buttarsi a capofitto in qualcosa di totalmente diverso. E c’è chi, come Daniel, finisce in balia dei tempi e delle necessità: non più padrone della propria vita, ma sottomesso agli impegni, agli amici e alla famiglia. A quello che andrebbe fatto, non a quello che vorrebbe fare.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Sono queste due posizioni, a tratti estreme e a tratti coincidenti, che devono essere tenute in considerazione. Il resto – il tempo che passa, gli amici, persino la stessa ambientazione – è puro contesto. Va tutto bene è un fumetto che, come dicevamo all’inizio, va innanzitutto “giudicato” in base al nostro piano di lettura e solo in un secondo momento per le sensazioni, tante e diverse, che Madrigal riesce a darci.
La sceneggiatura, in alcuni passaggi, si fa essenziale. Poche parole, molte pause, infiniti silenzi.
La sceneggiatura, in alcuni passaggi, si fa essenziale. Poche parole, molte pause, infiniti silenzi. Ogni battuta, in questo modo, assume un significato maggiore, più profondo. E insieme ai disegni, va a ricostruire un mondo palpabile, concreto – riconoscibile. Berlino diventa Milano, Milano diventa Roma. Roma diventa, infine, qualsiasi città del mondo.
Dopo Un lavoro vero, Madrigal è maturato. E se nel suo primo fumetto edito dalla BAO Publishing ha affrontato uno dei dilemmi fondamentali dei giovani, “se il lavoro che faccio mi piace è un vero lavoro?”, in Va tutto bene va oltre. Prende in esami i due aspetti opposti eppure, allo stesso tempo, complementari del “lavoro che ci piace”: quanto sia fattibile e quanto non lo sia. E se alla fine, proprio come suggerisce il titolo, “va tutto bene” è solo perché siamo riusciti ad accettarci per quello che siamo. E a vivere la nostra vita come volevamo noi e non come “loro” – gli altri, l’eterna terza parte – volevano che facessimo.