Portineria MilanoMilano, il Pd è allo sbando. Renzi prepara sorprese per le elezioni 2016

Milano, il Pd è allo sbando. Renzi prepara sorprese per le elezioni 2016

Più che un partito, un manicomio. Diviso in correnti e correntine, come dimostrano gli ultimi vent’anni di fallimenti elettorali prima dei Ds e poi dello stesso Partito Democratico, sia al Comune di Milano che in regione Lombardia. Le dimissioni di Ada Lucia De Cesaris da vicesindaco di palazzo Marino gettano nel panico Giuliano Pisapia per l’amministrazione della città negli ultimi mesi di mandato. Ma soprattutto il centrosinistra milanese, a meno di un anno dalle prossime elezioni comunali. Ma gettano nel caos pure il Pd, «quella parte di maggioranza in Consiglio comunale» di cui parla proprio la De Cesaris nel sua nota di addio. Il tutto avviene a meno di tre giorni dall’arrivo di Matteo Renzi nel capoluogo lombardo per l’assemblea del Pd. Cosa dirà il premier? Candiderà qualcuno? O chiederà, come già fatto dal fidato Lorenzo Guerini, di non fare le primarie? Oppure ancora, come filtrato dal Corriere della Sera, si proverà a convincere Pisapia a ricandidarsi? L’attesa dà già la tara su una situazione di estrema difficoltà e confusione in cui si trovano i democratici. Che rischiano di affrontare le elezioni del 2016 senza una fetta di elettorato che appoggiò proprio Pisapia nel 2011. 

Il tutto avviene a meno di tre giorni dall’arrivo di Matteo Renzi nel capoluogo lombardo per l’assemblea del Pd. Cosa dirà il premier?

Del resto, il day after dopo le dimissioni della «zarina» è tragico. Perché la città di Expo 2015 si ritrova senza un tassello importante, anzi tra i più importanti per piazza della Scala. «Ada Lucia valeva almeno sei giocatori di calcio», spiega una persona che conosce bene le dinamiche di palazzo Marino e che punta il dito soprattutto contro i democratici, «un partito che è quindici partiti allo stesso tempo, litigano su tutto. E questo lo ha pagato anche il vicesindaco». Pisapia starebbe lavorando per affidarle un nuovo incarico, magari esterno, ma non c’è nulla di definitivo. La De Cesaris, come si spiega nei conciliaboli di palazzo Marino, non ha un carattere facile. Ma «fa un certo effetto», spiega un piddino a microfoni spenti, «vedere tanti colleghi di partito chiederle di tornare sui suoi passi. Hanno litigato sempre su tutto, mi sembrano un po’ ipocriti».

MESSAGGIO PROMOZIONALE

D’altra parte le liti più furenti la De Cesaris le ha avute proprio con il gruppo consiliare del Pd. Si narra di commissioni urbanistiche infinite, dove più volte sono volate parole grosse. Non è una novità che tra l’ala civica della giunta meneghina e i dem non sia mai corso buon sangue. Ne sa qualcosa Stefano Boeri, ex assessore alla Cultura, ex candidato alle primarie nel 2010, dimessosi dalla giunta nel 2011. Fu un brutto colpo quello per il Pd, perché l’archistar del bosco verticale aveva raccolto più preferenze di tanti altri esponenti dem, tra cui gli attuali assessori Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran. Per essere più precisi, Boeri conquistò 13100 prefenze, il secondo fu Maran con 3600. Di acqua ne è passata sotto i ponti. Da queste parti il Pd veleggia grazie all’effetto Renzi e alla crisi di Forza Italia. E va pure ricordato che alle ultime elezioni lombarde Umberto Ambrosoli vinse in città contro Roberto Maroni, anche se alla fine a palazzo Lombardia ci è arrivato il leghista. 

Per essere più precisi, Boeri conquistò 13100 prefenze, il secondo fu Maran con 3600

Eppure fa un certo effetto vedere queste diatribe a pochi mesi dalle elezioni comunali, con già due candidati in corsa per delle primarie chenon sono ancora state legittimate da Roma. È sempre la stessa storia che rischia di ripetersi. D’altra parte la classe dirigente attuale del Pd non è altro che quella dei Ds che a Milano non ha mai vinto se non proprio grazie a Pisapia, un candidato mai iscritto al Pd, che ha avuto come unica esperienza politica quella di Rifondazione Comunista. Perse con Nando Dalla Chiesa nel 1993, di nuovo con Aldo Fumagalli nel 1997, di nuovo con Sandro Antoniazzi nel 2001, ancora con Bruno Ferrante nel 2006. Il discorso è lo stesso in regione Lombardia. L’arte tafazziana del centrosinistra milanese non conosce limiti. 

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