Vladimir Putin ha salvato la Russia una volta. La salverà una seconda? È questo il quesito fondamentale che sul medio periodo si pone chi osserva ciò che succede al Cremlino e nei dintorni, alla luce della situazione politica-economica odierna nella Federazione Russa e delle varie previsioni che si possono fare sul futuro del paese più vasto del Mondo per il prossimo decennio. Prima di guardare nella sfera di cristallo, bisogna però mettersi d’accordo su quello che è lo statu quo della Russia, diverso da quella che è la sua rappresentazione sui media occidentali. In primo luogo bisogna intendere quale sia il ruolo di Putin oggi e perché la sua immagine a casa propria non corrisponda al ritratto che viene dipinto sui media mainstream ad ovest del Cremlino.
Qualche giorno fa ci ha pensato il quotidiano inglese The Guardian a mettere in fila un paio di motivi e di numeri dai quali si capisce perché Vladimir Vladimirovich sia appunto visto dai russi come il salvatore della patria e non come un cinico dittatore imperialista. In sostanza, guardando come è cambiata la Federazione Russa negli ultimi quindici anni e soprattutto confrontandola con quella precedente lasciata in eredità da Mikhail Gorbaciov a Boris Eltsin, non è difficile comprendere perché la stragrande maggioranza della popolazione sia convinta che non ci sia oggi mano migliore di quella di Putin per guidare la nazione. Gli indicatori economici e sociali segnalano gli enormi passi fatti in avanti e per quel riguarda la politica è evidente che l’anarchia oligarchica eltsiniana (condita da due colpi di stato nel 1991 e 1993, dalle due guerre in Cecenia nel 1994 e 1999, e dal default del 1998) ha lasciato spazio alla stabilità putiniana, almeno a livello interno (escludendo dunque la guerra in Georgia nel 2008 e quella in Ucraina nel 2014).
Se in ogni casa c’è un televisore che rigurgita propaganda sui canali statali è vero anche che ci sono quasi 100 milioni di utilizzatori di internet che si informano dove e come vogliono
Se comunque lo scorso giugno il Levada Center, centro di ricerca indipendente e non sospettabile di parzialità, ha registrato l’89% di approvazione per il presidente, record degli ultimi tre lustri da quando Putin nel marzo 2000 è entrato per la prima volta nelle stanze del Cremlino, vorrà dire ben qualcosa: e non si tratta certo dell’appiattimento totale dovuto al controllo mediatico esercitato in larga parte attraverso la televisione a modellare il pensiero di 150 milioni di russi (o 110 milioni di elettori che dir si voglia). Se in ogni casa c’è un televisore che rigurgita propaganda sui canali statali è vero anche che ci sono quasi 100 milioni di utilizzatori di internet che si informano dove e come vogliono.
I russi under 40, esattamente come i loro colleghi occidentali, navigano, viaggiano, conoscono le lingue e alla fine votano in larga parte lo stesso per Putin. Quindi? La crisi ucraina, che ha diviso non solo Russia e Occidente, ma ha anche mostrato come, esattamente alla stessa stregua di quella greca, le posizioni all’interno dell’Unione Europea sono differenti e contrastanti nonostante il risultato finale, è l’esempio di come la medesima questione sia vista e giudicata da diverse prospettive. È ovvio che i russi abbiano la loro e si tratta del loro paese, forse bisogna prima cercare di capire e non giudicare.
Sul breve periodo le previsioni sono relativamente facili sino al 2018, anno in cui scade il terzo mandato di Putin, è altamente probabile che non vi saranno stravolgimenti.
C’è da chiedersi in ogni caso quanto il consenso che il Cremlino è riuscito a coagulare intorno a sé, anche con l’aiuto indiretto occidentale, possa davvero continuare e quale sia la direzione che la Russia prenderà fra qualche anno. Eccoci dunque nell’ambito della cremlinologia pura, scienza di per sé inesatta. Sul breve periodo le previsioni sono relativamente facili sino al 2018, anno in cui scade il terzo mandato di Putin, è altamente probabile che non vi saranno stravolgimenti.
Andando di pari passo con gli scenari di un’economia zoppicante, ma non al collasso, di prezzi del petrolio bassi, ma non stracciati, di un sistema economico che pur malandato è ancora in grado di reggere e si sta comunque lentamente diversificando, la Russia non precipiterà nel baratro. Il paese non è isolato, i rapporti sulla scacchiera asiatica proliferano, i problemi interni per Vladimir Vladimirovich non sono quelli di un’opposizione inesistente, ma quelli soliti del Caucaso sempre inquieto. Il resto è routine. Più complicato è guadare un po’ più lontano, perché le variabili aumentano.
Il passaggio politico delicato sarà proprio quello del 2018 e di come Putin deciderà di affrontarlo, se cioè deciderà di rimanere al Cremlino ed eventualmente per quanto
Come ricordato su Linkiesta , la profezia di Stratfor è che la crisi della Russia sarà il problema più grande dei prossimi dieci anni, cioè sino al 2025. Mosca rischierebbe un tracollo simile a quello avvenuto da Gorbaciov a Eltsin e la disintegrazione. In realtà, al di là del worst case apocalittico, il passaggio politico delicato sarà proprio quello del 2018 e di come Putin deciderà di affrontarlo, se cioè deciderà di rimanere al Cremlino ed eventualmente per quanto, l’intero mandato di sei anni o forse solo la metà, come già qualcuno sussurra. È certo comunque che l’élite russa dovrà operare dei correttivi, sia a livello politico che economico, per evitare che gli scenari peggiori possano realizzarsi.
I deficit democratici e gli screzi con l’Occidente sono elementi che non aiutano, i problemi maggiori però sono e rimarranno quelli dell’instabilità delle periferie e di una architettura economica dove i pilastri sono quelli dell’export di materie prime, entrambi difficili da eliminare per ragioni fisiologiche da una parte e fisiche dall’altra. Improbabile che l’era Putin termini con un successo su questi due fronti, su cui poco è stato fatto: il compito spetterà insomma ad altri.