A contendersi la Casa Bianca, nelle elezioni presidenziali, sono un candidato di origine ispanica e, dall’altra parte, una candidata donna. Così, sulla carta, sembrerebbe quasi un pronostico di quella che sarà la sfida del 2016, dove tra i possibili contendenti ci sono la probabile front-runner democratica Hillary Clinton e, sul fronte repubblicano, il promettente senatore della Florida Marco Rubio (e, più a destra, il senatore texano Ted Cruz). In questo caso, però, le parti sono invertite: perché in corsa per la presidenza degli Stati Uniti ci sono la pasionaria repubblicana Constance Wallace e il democratico di origine latinoamericana Joseph Girona. Sono loro, assieme ai cronisti politici Taylor Solomon e Cait Ellis, i protagonisti di “What makes it worthy” (traducibile in “Ciò che lo rende meritevole”, ovvero ciò per cui ne vale la pena), nuovo libro di David Paul Kuhn, noto commentatore della politica a stelle e strisce, già autorevole firma di Politico, RealClearPolitics e Cbs News, di sovente ospite di Fox News e Bbc, in veste di opinionista.
Political thriller che descrive la realtà dei rapporti tra politica e giornalismo negli Usa, il volume è un cosiddetto roman à clef, o “romanzo a chiave” – opera sulla realtà, avvolta da una superficie di finzione, solo di facciata – dedicato all’intricato e alle volte vizioso intreccio tra media e campagne elettorali. Un po’ sulla falsariga di quanto avvenuto con “Primary Colors” nel 1992, appassionante retroscena sulla campagna presidenziale dell’allora candidato democratico Bill Clinton – dall’autore anonimo fin quando, qualche tempo dopo, non si scoprì che la mano era quella dell’editorialista Joe Klein. In occasione del lancio negli States del suo libro – che l’autore ha dovuto riscrivere, dato che un bug informatico gli aveva cancellato la prima stesura – abbiamo intervistato David Paul Kuhn, per parlare di giornalismo, di politica d’oltreoceano e, ovviamente, per iniziare ad affrontare il tema delle elezioni presidenziali 2016.
«Ho voluto dare vita a una storia che raccontasse come il rapporto tra media e campagne elettorali contemporanee condizioni in maniera determinante la politica americana»
Kuhn, che in passato ha seguito da vicino ben quattro elezioni presidenziali (2000, 2004, 2008, 2012) e decine di corse elettorali per il Congresso e per la carica di Governatore dei diversi Stati, nutriva da tempo il desiderio di scrivere un romanzo sul “dietro le quinte” delle campagne elettorali. «La mia è un’opera di fiction, naturalmente, i personaggi sono frutto della fantasia anche se possono ricordare figure pubbliche che esistono realmente, però ho voluto dare vita a una storia che raccontasse come il rapporto tra media e campagne elettorali contemporanee condizioni in maniera determinante la politica Americana», afferma. “What makes it worthy” narra la storia di Taylor Solomon, astro nascente del giornalismo statunitense, e Cait Ellis, giovane reporter del New York Times e figlia d’arte, alle prese con la non semplice eredità (giornalistica) della madre. La loro vicenda, ha come sfondo una campagna presidenziale di fantasia, ma con molti elementi simili alla realtà, tra la candidata repubblicana, esponente di una potente famiglia politica Usa, che ambisce a diventare la prima Presidente donna degli Stati Uniti e, candidato del GOP, il veterano del Dipartimento di Stato che desidera essere il primo comandante in capo di origine ispanica. Ingredienti di partenza, cui si aggiungeranno scandali, intrecci amorosi, colpi bassi e quant’altro di meglio (e di peggio) Washington possa offrire.
«Dopo tanti anni di esperienza al fianco di candidati alla presidenza, volevo dare una rappresentazione di quel che accade dietro le quinte»
Per analogia tra argomenti trattati, alcuni commentatori, come l’autrice di romanzi Lynn Lauber, hanno paragonato l’opera di Kuhn al caposaldo “Primary colors”. L’autore, tuttavia, ci tiene a evidenziare alcune differenze. «Il mio romanzo è molto diverso. In primis perché è più moderno e, comprensibilmente, più attuale. In secondo luogo, perché al suo interno è presente anche una trama a sfondo romantico, cosa non presente in “Primary colors”, utile per raccontare il rapporto tra chi opera nella politica e i giornalisti in America, oggi. Inoltre, nel mio caso non ho avuto bisogno di nascondermi dietro l’anonimato per scriverlo e pubblicarlo: dopo tanti anni di esperienza al fianco di candidati alla presidenza, volevo dare una rappresentazione di quel che accade dietro le quinte».
MESSAGGIO PROMOZIONALE
«Il romanzo riesce a fare ciò che i saggi non possono: permette ai lettori di conoscere cosa significa vivere la politica di Washington, nel bene e nel male. Vengono portati all’interno delle linee sfocate che dividono politica e giornalismo, con personaggi di fantasia che sembrano troppo reali. Chiunque può lamentarsi del malfunzionamento di Washington, ma il romanzo di Kuhn ci consente di provare questo malfunzionamento di persona, portandoci in un viaggio all’interno del tormentato mondo della politica e dei media americani», ha commentato James Carville, guru della comunicazione e già consulente strategico dell’ex Presidente Bill Clinton. E tra gli scopi di Kuhn, per sua stessa ammissione, c’è proprio quello di mettere in evidenza i limiti dell’attuale sistema che riguarda i giornalisti che seguono la politica e le campagne elettorali negli Usa. Dove emerge, a suo dire, un’eccessiva “tabloidization”, traducibile con “tablodizzazione”, ovvero un’attenzione sempre maggiore verso la parte di intrattenimento e di gossip, a scapito dei contenuti e delle questioni più importanti, oltre naturalmente a un eccessivo potere nelle mani degli “spin doctor”, strateghi che gestiscono la comunicazione dei candidati.
David Paul Kuhn, che ha seguito quattro campagne presidenziali Usa, e la copertina del romanzo “What makes it worthy”
«Oggi è un giornalismo che presta più attenzione all’intrattenimento che ai veri contenuti. Il mondo dei media politici è così ampio, e ci sono così poche notizie da riportare. È un paradosso».
«I reporter, oggi, hanno sempre meno accesso diretto nei riguardi dei politici, cosa che è venuta a calare drasticamente nel corso degli anni. Per fare un esempio, nel 2008 i media si sono innamorati di Barack Obama – in parte perché c’era una sorta di pregiudizio positivo più nei riguardi di quel che rappresentava il candidato che verso il candidato stesso – e paradossalmente ciò avveniva nonostante i giornalisti avessero avuto pochissimo tempo a disposizione per conoscerlo personalmente. I media Usa sono sempre meno vicini ai politici, e inseguono notizie passeggere, senza avere così la possibilità di fare del vero giornalismo d’inchiesta. I momenti più attesi sono i dibattiti tra candidati. Ovvero, ironicamente, quando migliaia di cronisti si danno appuntamento in un luogo, per seguire un evento nello stesso modo in cui lo segue il pubblico a casa: sugli schermi di un televisore», afferma Kuhn. «A complicare la situazione, il fatto che il giornalismo investigativo sia molto costoso, mentre i media tradizionali, oggi, hanno molte risorse in meno rispetto al passato. Una delle protagoniste del mio libro, Cait, figlia di una corrispondente di un grande quotidiano, vive sulla sua pelle questa situazione. È una sorta di metafora, nel rapporto tra madre e figlia: oggi è un giornalismo che presta più attenzione all’intrattenimento che ai veri contenuti. Il mondo dei media politici è così ampio, e ci sono così poche notizie da riportare. È un paradosso».
«Io ho provato a scrivere un racconto più onesto di House of Cards, più credibile e vicino alla realtà»
Quando si parla di deviazioni, degenerazioni e perversioni di un sistema politico e giornalistico, è ovvio che il pensiero, oggi, corra verso House of Cards, celeberrima serie Tv in cui un eccellente Kevin Spacey recita i panni dell’uomo di potere senza scrupoli, in una Washington altamente corrotta. Se Enrico Letta, di recente, ha affermato di «odiare House of Cards», Kuhn è molto più cauto. E, pur elogiando il prodotto, ne prende le distanze. «House of Cards è grandioso, uno show molto divertente, ma al tempo stesso è altamente impreciso. È un’opera di fantasia, e si vede. Credo che il mio romanzo abbia ben poco a che vedere con la serie: quella è la vicenda di un legislatore che fa carriera fino ai vertici, ed è una singola storia. Io ho provato a scrivere un racconto più onesto di House of Cards, più credibile e vicino alla realtà». Che, nelle intenzioni dell’autore, vuole essere «un modo per rendere accessibile la politica americana a tutti i lettori», che possa dunque piacere sia ai cosiddetti “political junkies”, malati di politica che non si perdono neppure un talk show, sia a chi ama la lettura dei romanzi in genere.
I moniti di David Paul Kuhn, come lui stesso tiene a precisare, non sono fini a loro stessi, ma sono affinché il giornalismo e la politica Usa possano tornare a raggiungere gli standard elevatissimi del passato: «Non è casuale che House of Cards sia molto popolare in Cina, perché fa sembrare la politica americana una cosa terribile. Il nostro sistema politico e giornalistico ha tanti difetti e li racconto nel mio romanzo, ma sono consapevole che nel mondo ci sia molto di peggio. Solo, resta un po’ di rammarico per gli standard eccelsi a cui eravamo abituati», afferma. «Sarebbe bene che ci ricordassimo quanto era solito affermare il grande giornalista H. L. Mencken, ovvero che “l’unico modo in cui un reporter dovrebbe guardare un politico, è verso il basso”».
«Trump è il vero incubo repubblicano. Non vincerà la nomination, ma è abbastanza potente per correre da indipendente»
Rivolgendo uno sguardo verso il 2016, anno in cui gli americani saranno chiamati alle urne per eleggere il successore di Barack Obama, l’autore, che ha vissuto in prima persona le ultime quattro corse per la Casa Bianca, è sicuro che Hillary Clinton riuscirà a conquistare la nomination democratica («Sarà lei la candidata. Ho trascorso molto tempo con Hillary, e non è un caso che tanti abbiano notato similitudini tra lei e il personaggio femminile del mio romanzo»), mentre nell’arena repubblicana «ci sono troppi candidati, anche se qualcuno sta emergendo, come Marco Rubio e Jeb Bush». E Donald Trump? «Come ho avuto modo di affermare nell’ambito di alcune trasmissioni televisive, Trump è il vero incubo repubblicano. Non vincerà la nomination, ma è abbastanza potente per correre da indipendente. È per questo che il GOP lo sta trattando con i guanti di velluto, perché temono che possa candidarsi come terzo incomodo, e dunque aiutare i Democratici. Ross Perot, da indipendente, contribuì in maniera determinante a far vincere Bill Clinton nel 1992. La storia non si ripete, ma potremmo trovarci di nuovo di fronte a un Clinton che vince le elezioni contro un Bush, grazie alla presenza di un forte candidato indipendente: sarebbe paradossale». Un plot non improbabile, ma al tempo stesso surreale: quasi degno di un romanzo.