Non nasce certo da ieri, giovedì 10 settembre, la promessa del ministro dell’Interno Angelino Alfano di realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina. Da mesi in Sicilia si è tornati a parlare di uno dei progetti infrastrutturali più antichi e discussi in Italia. Basti pensare che la prima società per realizzare un collegamento su terra tra Sicilia e Calabria fu lanciata da Francesco Cossiga nel 1979, quando era presidente del Consiglio della Democrazia Cristiana. Di acqua ne è passata molta sotto i ponti da allora – mai proverbio parrebbe essere più azzeccato – perché questo tratto sospeso di cemento che potrebbe essere tra i più grandi del mondo, ha visto traversi di ogni tipo in questi anni. In particolare negli ultimi dieci, dopo che persino il governo di Romano Prodi aveva deciso di abbandonare tutto nel 2007. Ma come un’araba fenice l’idea è continuata a tornare in auge sotto i governi Berlusconi, per poi cadere nel dimenticatoio.
Non solo. Sul Ponte sullo Stretto di Messina pendono una miriade di documenti e pareri, da Wikileaks a Corte dei Conti, che non danno di sicuro una bella immagine di quello che Alfano ha definito «un’opportunità per l’Italia». Non solo. L’uscita alfaniana ha già creato una spaccatura nella maggioranza di governo, con Francesco Boccia che ha bollato la vicenda «come un’idea per Ncd di sopravvivere» e Vincenzo Garofalo di Area Popolare, vicepresidente della Commisisone Trasporti ad attaccarlo definendo «l’opera essenziale». Del resto, il premier Matteo Renzi non ha commentato l’uscita del ministro, ma già in aprile, a pochi giorni di distanza dalle dimissioni di Maurizio Lupi da ministro per le Infrastrutture, i giornali locali calabresi e siciliani avevano iniziano a parlare di un ritorno di fiamma per il progetto faraoinico dal costo di svariati miliardi di euro: per i costruttori all’incirca 5 mentre gli ambientalisti dicono 9.
Furono in particolare le parole di Pietro Salini («Io mi batto non per avere una penale ma perché sia realizzato»), amministratore delegato di Salini-Impregilo, azienda che ha in mano l’appalto, ad aprire le porte a un nuovo dialogo con il governo Renzi e il neo ministro Graziano Delrio. Ma la boutade di Alfano rischia di rimanere solo sui giornali. Perché la linea di Delrio e del nuovo presidente di Anas Vittorio Armani, braccio operativo del governo sul capitolo infrastrutture, è quella di «puntare sulla manutenzione piuttosto che sulla realizzazione di nuove opere». O meglio, per dirla come un dirigente del settore: «Prima bisogna valorizzare con investimenti l’asset esistente di Anas, circa 25mila km di strade, renderle efficienti e sicure, prima di avventurarsi in spese per nuove opere faraoniche».
Sul Ponte sullo Stretto di Messina pendono una miriade di documenti e pareri, da Wikileaks a Corte dei Conti, che non danno di sicuro una bella immagine di quello che Alfano ha definito «un’opportunità per l’Italia»
Anche perché oltre al rischio di infiltrazione mafiose, come spiegò la Direzione Investigativa Antimafia nel 2005, sul Ponte pende un veto fondamentale, cioè quello dell’Unione Europea. Nell’ottobre del 2011 infatti Bruxelles bocciò il progetto, non inserendolo tra le opere infrastrutturali prioritarie escludendo qualsiasi impegno economico dal 2014 al 2020. E sentenziò: «Se l’Italia vorrà portare avanti il progetto dovrà trovare da sola i soldi per realizzare l’opera». Ma fu soprattutto la Corte dei Conti nel 2009, a mettere una pietra tombale sull’opera in una lunga relazione, appena dopo l’inizio dei lavori, chiedendo al Governo e alla società Stretto di Messina di «operare una costante valutazione» dei profili di fattibilità tecnica dell’opera, che in questi anni non è stata fatta.
La relazione della magistratura contabile chiedeva anche di attualizzare «le stime di traffico che stanno alla base del disegno progettuale del ponte» e verificare la «compatibilità ambientale» dell’opera e la «completezza delle modalità di imputazione nel bilancio dello Stato delle somme, già destinate all’intervento per il ponte sullo Stretto di Messina e successivamente oggetto di riutilizzazione». Riguardo a quest’ultimo punto: «La legge 1158/1971» si legge nella relazione «recante “Collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia ed il continente”, con le successive modifiche, affidava alla “Stretto di Messina s.p.a.” il compito di progettare e realizzare il ponte sullo Stretto – ricorda la Corte dei Conti – Gli azionisti della società, costituita nel 1981, sono attualmente Anas s.p.a. con l’81,48%, Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. con il 13%, la regione Calabria con il 2,57% e la regione siciliana con il 2,57%. La spesa per l’opera, risultante dall’importo previsto nel progetto preliminare approvato nel 2003, ammonterebbe a 4,68 miliardi di euro, ma nell’allegato Infrastrutture al Dpef 2009/2013, l’importo per il ponte sullo Stretto di Messina, compreso tra gli interventi della Legge obiettivo da cantierare nel prossimo triennio, è indicato in 6,1 miliardi di euro. Lo stesso importo è indicato nell’Allegato Infrastrutture al DPEF 2010/2013». Un’incongruenza non da poco, in sostanza.
Ma la boutade di Alfano rischia di rimanere solo sui giornali. Perché la linea di Delrio e del nuovo presidente di Anas Vittorio Armani, braccio operativo del governo sul capitolo infrastrutture, è quella di «puntare sulla manutenzione piuttosto che sulla realizzazione di nuove opere»
A questo si aggiunga la relazione della Dia del 2005 dove si leggeva: «Cosa nostra tende a rafforzare la propria maglia invasiva con interventi volti a tentare di interferire anche sulla realizzazione di grandi opere d’interesse strategico nazionale, quale, ad esempio, il ponte sullo Stretto di Messina». Per questo la Dia, «in linea con il vigente quadro normativo di riferimento», è impegnata «a rendere ancora più incisiva la rete dei controlli di natura preventiva sulle cosiddette grandi opere». E poi ci furono pure i cablogrammi di Wikileaks dove in un paragrafo dal titolo The Bridge to More Organized Crime” (Il ponte per un crimine più organizzato, ndr), i diplomatici Usa evidenziavabo come sarebbe stata la mafia a essere la beneficiaria della realizzazione del Ponte. Non solo. Aggiungevano la carenza infrastrutturale di strade e ferrovie del meridione, altra ragione evidente su come i soldi per il Ponte possono essere usati in altro modo. Secondo un vecchio report dei Verdi «con quanto si spenderebbe per il Ponte sullo Stretto si potrebbero realizzare 90 km di metropolitana o 621 Km di rete tranviaria acquistare 3.273 tram e 23.000 autobus ecologici». Di questi tempi non sarebbe male.