Non esageriamo, gli 80 euro non stanno cambiando l’economia italiana

L’effetto del bonus Irpef

Gli 80 euro tornano ad animare il dibattito. Lo storytelling renziano ha bisogno di dimostrare che il bonus Irpef ha funzionato. Alla luce della performance dell’economia italiana nel 2014 e in questo primo semestre del 2015 sembrerebbe una mission impossible: ma siccome è la prima di una serie di napoleoniche riforme che riporteranno il Paese in maglia rosa non può per nessun motivo essere un flop. E non si può nemmeno far finta che non sia mai esistita, come la oramai dimenticata manovra sull’anticipo del Tfr in busta paga.

È stata, quindi, una vera benedizione la pubblicazione degli esiti (positivi) dello studio sul bonus Renzi, svolto dal professor Luigi Guiso in collaborazione con il Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica presso la presidenza del Consiglio. E, come ogni miracolo, si è tornato a parlare di 80 euro in termini finalmente adeguati per la narrazione epica di questi primi 18 mesi della nuova era della politica italiana.

I più poveri tra coloro che hanno ricevuto il bonus da 80 euro lo hanno speso. Bene. Ma ce ne passa prima di provare che questo si sia tradotto in un sostegno alla domanda aggregata

Ma cosa prova esattamente lo studio del professor Guiso? I più poveri tra coloro che hanno ricevuto il bonus lo hanno speso. Bene. Ma ce ne passa prima di provare che questo si sia tradotto in un sostegno alla domanda aggregata (l’aumento come sappiamo non c’è stato, ma l’obiettivo è dimostrare che sarebbe andata molto peggio in assenza di bonus). Le obiezioni, elencate di seguito, sono un po’ tecniche ma nella sostanza il problema è quello individuato già duecento anni fa dal grande economista David Ricardo. Se l’aumento della spesa pubblica non ha alcuna finalità produttiva ed è finanziato in deficit (come nel caso degli 80 euro) il complesso dei contribuenti si pone il problema della sua sostenibilità nel tempo. E, quindi, in aggregato la maggiore spesa pubblica viene compensata da un maggiore risparmio privato in previsione di maggiori tasse o tagli ai servizi in futuro.

Andiamo con ordine e elenchiamo le principali obiezioni.

Se gli 80 euro vengono spesi al mercato in vestiti Made in China o scarpe Made in Romania, un pezzo degli effetti benefici per l’economia se ne va

1) Ancor prima di considerare le aspettative sulla sostenibilità e produttività della spesa pubblica, i fattori che possono ridurre il moltiplicatore keynesiano sono le importazioni e le tasse. Se gli 80 euro vengono spesi al mercato in vestiti Made in China o scarpe Made in Romania, un pezzo del moltiplicatore se ne va lì. La maggiore spesa in altre parole se ne va all’estero in un aumento delle importazioni. Per le famiglie che campano con 700 euro al mese (questa è la fascia di reddito su cui è stato stimato l’effetto degli 80 euro) è comprensibile che non ci siano i soldi che per il pane e la pasta. Anche la frutta, per non parlare della carne, a quei livelli di reddito è un lusso. Ma per le famiglie che contano su 1.500-2.000 euro mese, forse gli 80 euro in più sono stati utilizzati anche per il guardaroba e per beni importati, come ad esempio nell’elettronica di consumo.

2) Sulla attendibilità delle risposte fornite dagli intervistati è lecito esprimere qualche dubbio. Il fatto che dalle stime statistiche risulti che i più poveri abbiano usato gli 80 euro per aumentare le uscite di 130 euro la dice lunga o sulla comprensione della domanda o sulla literacy matematica del rispondente o sulla serietà dell’intervistatore. 

3) I ricercatori si rendono conto dell’incongruenza ma attribuiscono i 50 euro di extra-spesa con il ricorso al credito. In altre parole, per i ricercatori, chi ha goduto del “bonus” ha potuto migliorare il proprio merito creditizio ed ha trovato banche o finanziarie pronte ad erogare mutui e credito al consumo. Non abbiamo evidenze scientifiche in proposito, ma chi guadagna 700 euro al mese difficilmente ha accesso a forme di credito che non siano garantite da beni reali o patrimoni finanziari. Tra l’altro, se, come mostrano gli autori, non è aumentata la spesa in beni durevoli, è difficile capire a quale forma di credito queste famiglie molto povere abbiano avuto accesso. 

4) Infine, la confutazione eventuale della “equivalenza Ricardiana” dovrebbe essere considerata nei confronti dell’intera popolazione non solo nei confronti del percettore del bonus. In altre parole, se la manovra viene ritenuta improduttiva e quindi insostenibile, i percettori del bonus potranno anche aumentare i consumi ma tutti gli altri (pensionati, autonomi, “ricchi”) risparmieranno aspettandosi che il deficit spending si traduca o in un taglio del welfare (vedi ad esempio i tagli alla Sanità) o in una successiva stangata fiscale.

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

In parole povere, il fatto che i percettori degli 80 euro li abbiano spesi non mi dice nulla sull’effetto aggregato, perché il resto della popolazione può avere risparmiato ciò che gli altri hanno consumato (in previsione di mazzate fiscali presenti e future).

Quindi, chiederemmo a Guiso e al nucleo tecnico di Palazzo Chigi, un supplemento di indagine prima di riconsegnare all’onore dei manuali di Scienza delle Finanze l’antesignano del “bonus Renzi”, il mitico sindaco di Napoli, Achille Lauro, e le sue simpaticissime scarpe sinistre, tutte Made in Italy. 

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