Secondo il Washington Post di un paio di giorni fa Vladimir Putin ha già vinto la sua guerra in Ucraina. E ora è già passato a quella in Siria. Due anni fa, l’11 settembre 2013, il presidente russo si era espresso dalle colonne del New York Times condannando l’intenzione di un intervento americano diretto contro Damasco. La crisi a Kiev doveva ancora scoppiare, così come la guerra nel Donbass. Anche il dossier iraniano era tutto da decifrare. A ventiquattro mesi di distanza, congelato di fatto il conflitto nell’ex repubblica sovietica e messo nel cassetto l’accordo atomico con Teheran, ci sono segnali che il Cremlino stia intensificando la propria presenza militare in Siria per evitare la caduta di Bashar Al Assad.
La partecipazione di Mosca alla lotta contro lo Stato Islamico non è per Putin all’ordine del giorno, ma Vladimir Vladimirovich non è uno che si fa prendere tanto alla sprovvista
La partecipazione di Mosca alla lotta contro lo Stato Islamico non è per Putin all’ordine del giorno, ma Vladimir Vladimirovich non è uno che si fa prendere tanto alla sprovvista. L’Occidente vorrebbe spazzare Assad, che secondo Mosca, affiancata da Teheran, rimane un baluardo contro l’IS. Questa la situazione ridotta ai minimi termini, ricca però di sfumature. Non si tratta infatti solo di un momentaneo maggiore engagement russo in un paese che ha iniziato ad avere intensi rapporti militari ed economici già negli anni Cinquanta con l’Unione Sovietica, ma del complesso mosaico geopolitico che con i suoi focolai di guerra e le sue conseguenze migratorie passa dal Medio Oriente e arriva sino in Europa. Se Putin alla fine del 2013 era stato incoronato dal Time personaggio dell’anno grazie proprio ruolo diplomatico dissuasore nei confronti di Washington che voleva bombardare Damasco, è improbabile ora che la cosa si ripeta; il Cremlino ha intenzione di riprendere la fila del discorso siriano giocando pesante, in un contesto che non è solo quello sulle sponde del mediterraneo e coinvolge invece più tavoli, come quello ucraino.
La Russia va dunque in guerra in Siria? Probabilmente no, ma l’opzione è aperta ed è per adesso più che altro un segnale verso la Casa Bianca. Prima di tutto c’è ancora infatti la diplomazia e il piano che Putin avrebbe intenzione di presentare all’Assemblea generale dell’Onu. Mosca non vorrebbe accodarsi alla coalizione anti Is guidata dagli Usa, ma giocare le proprie carte in vista di una probabile spartizione della Siria, in parte sotto il controllo di Assad, tra Damasco e la costa, dove i russi gestiscono la base militare di Tartus, in parte sotto quella dell’opposizione. Al momento si tratta solo di speculazioni, dato che di ufficiale non vi è nulla e i colloqui tra Mosca e Washington nelle scorse settimane non hanno condotto a niente di concreto. Gli Stati Uniti si sono dimostrati preoccupati in ogni caso delle iniziative russe, sottolineando come l’interventismo del Cremlino non contribuirebbe alla de-escalation. È lo stesso teatrino visto in Ucraina con le due parti che si accusano a vicenda di gettare benzina sul fuoco. Se Kiev non è per fortuna Damasco, è evidente comunque che Putin si tiene aperte diverse porte e pare quasi voler mettere sul piatto anche un compromesso sulla Siria ottenere qualcosa in Ucraina.
È lo stesso teatrino visto in Ucraina con le due parti che si accusano a vicenda di gettare benzina sul fuoco. Se Kiev non è per fortuna Damasco, è evidente comunque che Putin si tiene aperte diverse porte e pare quasi voler mettere sul piatto anche un compromesso sulla Siria ottenere qualcosa in Ucraina
Le sanzioni contro Mosca, comminate dopo l’annessione della Crimea e il prolungarsi del conflitto nel Donbass, sono in vigore ancora sino alla fine dell’anno e mentre l’economia russa arranca non sono certo un buon viatico per la ripresa. Se diverse voci si sono fatte già sentire, ultima in ordine di tempo quella del presidente francese Francois Holland, per mettere fine ai provvedimenti restrittivi, la collaborazione russa nella lotta all’IS e per un piano di pacificazione in Siria potrebbe aiutare a sbloccare lo stallo. Più improbabile che ci sia uno scambio sostanziale con la Russia che ritiri improvvisamente l’appoggio ad Assad e rinunci alla sponda sul Mediterraneo per ottenere carta bianca nell’ex repubblica sovietica, anche solo per il fatto che a Kiev non c’è nessun segnale che le pressioni a stelle e strisce siano destinate a diminuire, tutt’altro. Alla fine di settembre Putin andrà a New York per la settantesima assemblea generale della Nazioni Unite e con grande probabilità discuterà a quattr’occhi anche con Obama di questioni siriane. All’inizio di ottobre è previsto poi l’incontro del quartetto normanno con Hollande, Angela Merkel e Petro Poroshenko per fare il punto sull’Ucraina. Per evitare disastri entrambi i fronti è necessario che in qualche modo tutti si vadano incontro.