Sei un tecnico capace, molto preparato nel tuo lavoro. Vieni eletto. Ti accingi ad applicare le tue idee di governo. Esplode una crisi devastante, che spazza via buona parte della classe dirigente che ti ha preceduto. Nonostante le tue buone intenzioni, vieni travolto. È successo a Ignazio Marino.
Successe anche ad Herbert Hoover, nel 1929, quando la borsa di Wall Street crollò, a ottobre del 1929, quando era presidente degli Stati Uniti da pochi mesi. Certo, erano diverse le condizioni rispetto alla Roma di oggi. Gli Stati Uniti venivano da un periodo di prosperità e di un moderato aumento dei diritti civili per le minoranze. Certo, non mancavano i problemi. Le disuguaglianze erano cresciute molto nell’ultimo decennio e già c’era qualche scricchiolio sul fronte del mercato immobiliare. Ma nessuno si aspettava niente del genere. Ma chi era l’uomo che, pochi mesi prima della crisi, veniva eletto presidente con più del 58% dei voti?
Hoover era uno degli uomini più stimati d’America: orfano di entrambi i genitori a dieci anni, ingegnere minerario e poi proprietario di miniere in Cina, Australia e Russia, nel 1914 aveva una fortuna stimabile in quattro milioni di dollari (oltre 95 milioni di dollari attuali). Aveva poi acquisito esperienza anche nel soccorso umanitario durante la Prima Guerra Mondiale, prima nel Belgio occupato dai tedeschi, poi venendo nominato al vertice della U.S Food Administration dopo l’intervento americano nel conflitto.
In seguito alla crisi del ’29, le nubi cominciano ad addensarsi su di lui, ritenuto incapace di affrontare la crisi anche per le scarse capacità oratorie e comunicative
Dopo la guerra, diventa capo di un’altra agenzia governativa, l’American Relief Administration, attraverso la quale porta aiuti sia alla Germania sconfitta sia alla Russia sovietica, all’epoca isolata internazionalmente. Con questo suo lavoro, diventa uno degli uomini più amati e ammirati d’America. Dopo un corteggiamente da parte di democratici e repubblicani, viene nominato Segretario al Commercio nella nuova amministrazione repubblicana di Warren Harding prima e di Calvin Coolidge poi, riesce a coinvolgere con successo il mondo negli affari nello sviluppo dell’economia del paese. Nel 1928, è il candidato naturale per la presidenza e riesce a trionfare. Ma cosa accade, qualche mese dopo? La borsa di New York crolla e l’economia mondiale va a rotoli.
Hoover, all’inizio sottovaluta la portata della crisi, dicendo che “presto l’America si sarebbe ripresa”, ma poi decide di intervenire, abbandonando la politica liberista del suo ministro Andrew Mellon, che suggeriva di “lasciarli soli”, riferito ai milioni di americani in difficoltà. Le nubi cominciano ad addensarsi su di lui, ritenuto incapace di affrontare la crisi anche per le scarse capacità oratorie e comunicative. La sua personale ricetta per far cooperare pubblico e privato, da lui definita “volontarismo”, qui non funzionò. Da sinistra, si ritenne il capitalismo ormai fallito e bisognoso di essere sostituito “con qualcos’altro”. Gli uomini d’affari non ascoltarono il consiglio del presidente a non eseguire licenziamenti e a non tagliare gli stipendi dei loro dipendenti.
Hoover in poco tempo divenne un bersaglio per demagoghi, artisti e musicisti, oltre che per i suoi avversari politici. L’uomo un tempo più ammirato d’America finì nella polvere
Un vasto programma per la costruzione di nuove infrastrutture, iniziato nel 1931, venne pesantemente osteggiato dai democratici, che lo ritennero eccessivamente costoso. Vennero aperte 12 nuove banche distrettuali per aiutare le imprese. Ma niente di questo riuscì. La crisi aveva bisogno di un intervento pubblico più deciso e anche se Hoover aveva deciso di creare lavoro attraverso investimenti andando contro le sue personali convinzioni, questo non era sufficiente. Con l’andare del tempo, Hoover divenne un bersaglio troppo facile per demagoghi, artisti e musicisti, oltreché per i suoi avversari politici. L’uomo un tempo più ammirato d’America finì nella polvere. Durante la campagna per la sua rielezione nel 1932, subì numerosi tentativi di linciaggio. Era diventato l’orco Hoover. E pazienza se il crollo era stato causato da alcune politiche sbagliate della Federal Reserve ai tempi del suo predecessore Calvin Coolidge, oltreché dalla bolla immobiliare.
Hoover, l’uomo di poche parole, venne travolto dall’oratoria di Roosevelt, che stravinse le elezioni. Per molti anni la sua memoria rimase legata alla Grande Depressione, quasi ne fosse stato la causa. Hoover era stato volenteroso, ma inadeguato. Ma i primi, fragili, risultati li aveva ottenuti lui. Dopo, venne Roosevelt e il New Deal. E allora l’America si riprese. Ma oggi, la domanda è un’altra: cosa verrà dopo Marino?