Sembra impossibile ma in Italia non esiste né un censimento aggiornato delle ex aree militari né dati complessivi sull’argomento. Lo confermano anche dall’Audis, l’Associazione aree urbane dismesse: l’unico documento che, emesso dal ministero della Difesa, dia un’idea di quale sia lo stato delle cose, è la presentazione del progetto “Task force per la valorizzazione e la dismissione degli immobili non residenziali del Ministero della Difesa”. Ed è datata aprile 2014.
Eppure, secondo quanto espresso nella Legge di stabilità 2015, al ministero della Difesa toccherebbe recuperare almeno 220 milioni di euro nel 2015 e 100 milioni di euro annui nel 2016 e nel 2017 per risanare le casse dello Stato. Come? Dismettendo con aste pubbliche gli immobili in proprio uso: più di 1.800 tra caserme, postazioni, polveriere, bunker e alloggi di carattere residenziale (solo queste ultime sono 504, come espresso nell’ultimo bando d’asta).
Solo nel documento del 2014 si fa un breve cenno ai lavori di recupero e valorizzazione di queste aree, in alcuni casi esemplari di grande pregio storico e artistico. Tra i primi obiettivi della Difesa vi sono la riduzione degli affitti passivi, le permute, il soddisfacimento delle esigenze di altri Dicasteri (come il ministero dell’Interno per le emergenze profughi), e attività quali l’esecuzione di lavori per la realizzazione di infrastrutture nuove o l’accoglimento di associazioni culturali senza scopo di lucro vengono relegate alle ultime posizioni.
Eppure l’argomento merita attenzione, a vari livelli, spiega Andrea Licata, studioso delle problematiche relative al recupero delle aree dismesse e con un PhD in Politiche Transfrontaliere allo Iuise di Gorizia – . A livello locale, innanzitutto, serve una discussione pubblica che incoraggi gli usi sociali degli spazi che si liberano. Poi a livello nazionale, dove tocca alle istituzioni coinvolgere, oltre alle amministrazioni locali, anche esperti ambientali, di bonifica e di recupero di siti militari, eventualmente soggetti privati del territorio, gli atenei, l’associazionismo culturale e sociale». Obiettivo: una valorizzazione del patrimonio.
Secondo quanto espresso nella Legge di Stabilità 2015, al Ministero della difesa toccherebbe di recuperare almeno 220 milioni di Euro nel 2015 e 100 milioni di Euro annui nel 2016 e nel 2017.
Finora, però, tutto tace. Il compito di ridare vita, specie attraverso la cultura, alle ex caserme abbandonate è lasciato per lo più all’attività spontanea dei cittadini: si tratta di collettivi, writer e street artist che, spesso nella più totale illegalità, si intrufolano, occupano e lavorano alla riqualificazione di queste grandi aree. Da un giorno all’altro gli artisti donano colore e vita a luoghi abbandonati da anni che, in alcuni casi, diventano le loro “basi” per un’attività politica e culturale di lunga durata. In altri casi, invece, lo sgombero delle forze dell’ordine, dopo avere riacceso il fuoco di paglia sull’annosa questione delle caserme dismesse, rimette tutto a tacere, restituendo alla città grandi involucri colorati, ma vuoti.
Di esempi di questo tipo l’Italia è piena: spesso sono blitz illegali che i collettivi eseguono per occupare migliaia di metri quadrati e dare sfogo alla loro creatività, ma non mancano esempi di attività legale. È il caso di Roma, dove nell’ex caserma di servizio “Guido Reni”, alla Reale Fabbrica di Armi, è iniziato lo scorso 2 ottobre l’Outdoor Festival 2015: futura sede del quartiere della Città della Scienza. L’area, di 70mila mq, è interessata dal progetto di riqualificazione urbana indetto da Cassa depositi e prestiti Investimenti Sgr (proprietaria degli spazi) in collaborazione con il comune di Roma. Mostre, live painting, opentalk con 17 artisti internazionali ma anche contest di break dance e serate musicali rappresentano uno dei pochi progetti di rigenerazione voluti dalle istituzioni.
Il compito di ridare vita alle ex caserme abbandonate è lasciato per lo più all’attività spontanea di collettivi, writer e street artist che, spesso nella più totale illegalità, si intrufolano, occupano e lavorano alla riqualificazione di queste grandi aree.
Non è stato lo stesso per Milano. Qui lo scorso aprile un gruppo di squatter anarchici, i Proprietà Pirata Riot Club, con annessa squadra di writer e street artist, la OX crew, hanno occupato l’ex caserma Mameli, ex sede del terzo reggimento dei bersaglieri e oggi di proprietà, anche questa, di Cassa depositi e prestiti Investimenti Sgr. Gli occupanti non avevano solo organizzato una jam di graffiti, con 40 artisti arrivati da tutta Italia, ma avevano anche presentato alla cittadinanza un progetto di rigenerazione dell’area, di 117mila mq. Comprendeva un piano per il freeparking, a sostegno del movimento Travellers, varie presentazioni di libri di case editrici indipendenti, oltre a workshop di arti circensi, corsi di produzione musicale, di writing e di italiano per stranieri, e infine la costruzione di una palestra, di uno skatepark al coperto e di una cittadella delle arti. Ma uno sgombero ha messo tutto a tacere.
Il compito delle istituzioni è coinvolgere oltre alle amministrazioni locali anche esperti ambientali, di bonifica e di recupero di siti militari, eventualmente soggetti privati del territorio, gli atenei, l’associazionismo culturale e sociale.
A Livorno, invece, nel 2011 venne occupata dall’attuale collettivo “Ex caserma occupata” l’ex caserma Cosimo Del Fante: 60mila mq di terreno, utilizzati ancora oggi dagli occupanti per costruire un centro polivalente dotato di varie infrastrutture. Si va dalla biblioteca al cinema, dalla palestra, alle sale prove, allo skate park, passando per una falegnamerie, un’osteria e una serigrafia per apprendere i mestieri. Non sono mancati, negli anni, gli eventi dedicati alla street art: anche qui le jam hanno portato a lavorare sui muri dell’edificio molti artisti, per lo più locali.
Ultimo intervento è quello che, lo scorso giugno, ha interessato gli spazi dell’ex caserma Piave di Belluno. Qui il festival Clorofilla, organizzato dalla street artist Ericailcane in collaborazione con l’associazione di promozione sociale denominata Casa dei Beni Comuni Belluno, ha portato writer e street artist internazionali a lavorare in una delle regioni a più alta concentrazione di ex caserme sfitte (stando, almeno, ai dati 2014). Al motto di “né assistiti, né imprenditori ma auto-organizzati” l’associazione ha stilato un vero e proprio piano di riqualificazione, comprendente non solo attività di carattere culturale, sportivo e sociale, ma anche una vera ristrutturazione dell’area, con tanto di spazio per l’assemblea, bar, auditorium, aula studio e un hangar di 300 mq per attività di FabLab.