Sono le cinque repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale: Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan. In ordine alfabetico per non fare torto a nessuna. Gli Stan sono pezzi del vecchio impero comunista nel cuore dell’Eurasia, area geopoliticamente strategica a cavallo tra i due continenti in cui si intersecano gli interessi delle grandi potenze, non solo regionali.
Oltre alla Russia e alla Cina, gli Stati Uniti sono ormai da oltre vent’anni presenti nella regione, da quando l’amministrazione di Bill Clinton ha rilanciato il Grande Gioco di kiplinghiana memoria per sottrarre influenza a Mosca e allargare quella di Washington tra Caucaso e Pamir. La guerra in Afghanistan ha facilitato l’inserimento delle pedine a stelle e strisce su una scacchiera molto fluida, in cui gli attori a corrente alternata cercano di tirare le acque al proprio mulino.
L’Asia centrale è stata sino ad ora più o meno quieta, ma il rischio che si scoperchi il vaso di Pandora non è molto lontano
Sui cinque Stan, tutti a stragrande maggioranza islamica, esercitano pressioni anche i maggiori player limitrofi, dalla Turchia all’Iran. Il caos nordafricano delle primavere democratiche fallite tra Libia ed Egitto e la guerra in Siria con il pentolone mediorientale sempre in ebollizione ricordano che l’Asia centrale è stata sino ad ora più o meno quieta, ma il rischio che si scoperchi il vaso di Pandora non è molto lontano. Basta guardare i precedenti degli anni Novanta, a partire dalla guerra civile in Tagikistan che nel giro di cinque anni (1992-1997) ha fatto centomila morti e di cui nessuno in Occidente si è preoccupato più di tanto. Solo con le intemperanze del terrorismo di matrice islamica e i vari movimenti radicali sul modello talebano come l’Imu (Islamic movement of Uzbekistan) hanno risvegliato talvolta le preoccupazioni occidentali negli ultimi cinque lustri, subito però sopite data la presenza di crisi maggiori in zone più nevralgiche.
Adesso la musica è cambiata. Se Al Qaeda ha sfiorato solo di striscio l’Asia centrale, la minaccia attuale dello Stato islamico ha riportato d’attualità la questione, con le prevedibili mosse di Russia e Stati Uniti per la gestione del Great Game a proprio favore. Da una parte Vladimir Putin dalle stanze del Cremlino cerca di tenere sempre più sotto controllo la regione attraverso istituzioni come l’Uee (Unione economica euroasiatica) e organizzazioni come la Sco (Organizzazione di Shanghai, retta a braccetto con Pechino) e un paio di settimane fa ad Astana ha convocato i leader della Csi, la Comunità degli Stati Indipendenti che raccoglie quasi tutte le vecchie repubbliche dell’Urss, Stan compresi con l’eccezione del Turkmenistan, per fare il punto sul pericolo di tracimazione terroristica sia dalla Siria che dall’Afghanistan verso gli stati centroasiatici. Dall’altra Barack Obama ha mandato questi giorni John Kerry in un tour de force nelle cinque capitali degli Stan per tentare di convertire gli autocrati centroasiatici a una maggiore cooperazione con Washington piuttosto che con Mosca.
Vladimir Putin cerca di tenere sempre più sotto controllo la regione attraverso istituzioni come l’Uee e organizzazioni come la Sco (Organizzazione di Shanghai) e un paio di settimane fa ad Astana ha convocato i leader della Csi, la Comunità degli Stati Indipendenti
In realtà i rapporti che la Russia ha con Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, inquadrate già nella Uee sono troppo solidi per essere improvvisamente mutati, senza contare che Mosca ha ovunque ancora basi militari. Nel caso di Uzbekistan e Turkmenistan gli equilibri sono mobili e dato che gli Stati Uniti non hanno paura di sporcarsi le mani con i dittatori di turno, il vecchio Islam Karimov a Tashkent e il più tonico Gurbanguly Berdymukhammedov ad Ashgabat, la partita è ancora aperta. Dopo l’inizio del conflitto in Afghanistan gli Usa erano riusciti addirittura a piazzare una base in Uzbekistan, a Karshi Kanabad, da cui però erano dovuti sloggiare dopo le critiche al massacro di Andijan, quando nel 2005 Karimov aveva sedato un’ondata di proteste con un migliaio di morti in piazza. Dieci anni dopo il presidente uzbeko è diventato di nuovo un partner ed è andato ad accogliere Kerry a braccia aperte. Dal 2014 gli americani hanno dovuto lasciare anche la base di Manas, in Kirghizistan.
Obama ha mandato il Segretario di Stato John Kerry in un tour de force tra gli “Stan”, ma i rapporti tra la Russia e i Paesi dell’area sono troppo solidi per mutare. E gli Usa hanno già dovuto lasciare le basi in Uzbekistan e Kirghizistan
Il poker tra Russia e Stati Uniti in Asia centrale si gioca attraverso la presenza militare e i rapporti economici e soprattutto energetici, con in primo piano il gas e il petrolio di cui Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan sono ricchi. Se ai tempi dell’Unione Sovietica il controllo passava da Mosca e l’unica via era quella verso Occidente, ora gli Stan indipendenti hanno maggiore libertà e se sono comunque condizionati dalle vecchie infrastrutture, la diversificazione per evitare da un lato Russia e dall’altro l’inseguimento di nuove rotte più o meno fattibili verso Oriente, dalla Cina al Pakistan e all’India, consente di trattare con gli uni per alzare il prezzo con gli altri. È così che il petrolio kazako arriva sul Mediterraneo e il gas turkmeno soddisfa parte dei bisogni degli assetati cinesi.
Pechino negli ultimi anni ha rafforzato al propria azione in Asia centrale sia seguendo la scia economica, sia quella della cooperazione con la Russia per il contenimento dell’islamismo radicale, presente nella periferia occidentale del paese nella provincia di Xingyang. In questo modo il Grande Gioco si è trasformato da un duello a una battaglia a tre in cui difficilmente potrà esserci un solo vincitore e che al momento vede alleati Russia e Cina per tenere gli Usa sempre a debita distanza.