Ogni farmaco, prima di arrivare alla commercializzazione, passa necessariamente dalla sperimentazione clinica (o trial), un iter lungo e costoso per i produttori, che, dopo una prima delicata fase di test su volontari sani per testarne la sicurezza, prevede il reclutamento di pazienti volontari via via sempre più numerosi e che può coinvolgere differenti centri di cura anche in diversi Paesi. Una strada che può essere sbarrata in più momenti, sia per l’impossibilità di trovare un numero congruo di volontari sia perché la terapia testata non si dimostra così efficace come ci si aspetta o perché si rivela addirittura dannosa con pesanti effetti collaterali.
I dati clinici, soprattutto quelli negativi, sono stati a lungo considerati parte del segreto aziendale delle industrie produttrici del farmaco, e non pubblicati, né in riviste scientifiche o in registri pubblici. Allo stesso modo in passato non c’è stata da parte delle istituzioni una sensibilità tale da imporre ai promotori dei trials la condivisione pubblica delle informazioni che garantiscono il loro corretto svolgimento: durata, numero e tipologia dei pazienti coinvolti all’inizio e alla fine, descrizione degli eventuali effetti avversi, protocollo terapeutico, raccolta del consenso informato per iscritto dei partecipanti, nome dei promotori e dei centri coinvolti nella sperimentazione, risposta all’effetto del farmaco per ogni singolo paziente arruolato.
Una condivisione che manca nella maggior parte dei casi delle vecchie sperimentazioni ormai concluse e che hanno portato all’approvazione delle terapie oggi in uso. Nel 2012 l’Health Technology Assessment Programme, un Istituto di ricerca che fa capo al National Institute for Health Research (Nihr) del Regno Unito, ha condotto un’estesa analisi dei trial clinici nel mondo, arrivando alla conclusione che almeno metà dei risultati non è mai stata pubblicata in riviste scientifiche. Almeno, perché di molti trial condotti non si hanno dati certi di nessun tipo, per cui arrivare alla stima totale su cui conteggiare il pubblicato risulta quanto meno difficile.
I dati clinici, soprattutto quelli negativi, sono stati a lungo considerati parte del segreto aziendale delle industrie produttrici del farmaco, e non pubblicati, né in riviste scientifiche o in registri pubblici
Ci sono diverse analisi successive a quella del Nihr, che attestano che la maggior parte dei dati finali non vengono rilasciati dopo il completamento dello studio clinico. Una situazione opaca che nel migliore dei casi significa duplicare trial uguali, mettendo inutilmente a rischio la salute di pazienti che volontariamente si prestano per far avanzare la ricerca medica. E nella peggiore ipotesi genera dubbi sulle modalità di conduzione delle sperimentazioni e su come possano essere reclutati i volontari. Ormai la maggior consapevolezza dei cittadini e della comunità medico-scientifica sta tuttavia invocando una presa di posizione da parte delle istituzioni. L’Unione Europea durante il 2014 ha mosso alcuni passi decisivi, tra cui il Regolamento europeo sulle Sperimentazioni Cliniche (Regulation EU 536/2014).
Il Regolamento aggiorna e sostituisce la vecchia Direttiva in materia del 2001 e prevede una totale apertura dei dati clinici per le sperimentazioni approvate dopo gennaio di quest’anno, che si attua attraverso due strumenti: la registrazione del trial, prima che la sperimentazione abbia inizio in un portale europeo istituito appositamente, e la pubblicazione di un report di sintesi dei risultati del trial entro un anno dalla sua conclusione, da redarre con terminologia semplice perché possa essere compreso anche da un pubblico non esperto. I due passaggi sono obbligatori, tanto da essere prevista una sanzione per chi non dovesse rispettarli.
È un importante passo avanti, ma non sufficiente a fare luce sul vero problema, cioè i dati dei vecchi trial su cui si basano i farmaci in uso oggi e che potrebbero avere grossi errori di analisi e conduzione
Le disposizioni del Regolamento segnano una svolta nella storia delle sperimentazioni europee future. Per il primo report pubblicato bisognerà però aspettare l’anno prossimo. Infatti il primo rilascio dell’autorizzazione all’inizio dei trials non potrà avvenire prima di maggio 2016, in accordo con i normali tempi tecnici per questa procedura, e considerando che un trial in media dura circa 3 anni, il primo report di sintesi potrebbe andare online solo tra il 2019 e il 2020. Per sopperire a questo “vuoto”, in parte ci ha pensato l’Ema (European Medicines Agency), l’agenzia regolatoria europea che sovrintende all’immissione in commercio contemporanea in tutti gli Stati della Ue di alcuni classi di farmaci – come gli antitumorali, i farmaci biotecnologici e le terapie cellulari. L’Ema il 2 ottobre del 2015 ha adottato una policy che prevede la pubblicazione di tutti i report di studio clinico per le richieste di immissione in commercio dopo la data del 1° gennaio 2015.
Prima di questa policy, i report potevano essere consultati e richiesti in visione solo su schermo del proprio computer, senza possibilità di stamparli o scaricarli, dai ricercatori o da medici per sole ragioni scientifiche, ora tutti i nuovi report saranno invece accessibili senza restrizioni. Importanti passi avanti, ma non sufficienti a fare luce sul vero problema, cioè i dati dei vecchi trial su cui si basano i farmaci in uso oggi e che potrebbero avere grossi errori di analisi e conduzione, come sostiene da tempo Ben Goldacre, science writer e attivista, tra i fondatori di Alltrials, una delle campagne di maggior successo sul
tema open data clinici.L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha rilasciato lo scorso aprile un’opinione che invita alla pubblicazione di tutti i risultati delle sperimentazioni cliniche, nuove, in corso e vecchie
Sui vecchi trial la Ue per ora non dice nulla, ma l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha rilasciato lo scorso aprile un’opinione che invita alla pubblicazione di tutti i risultati delle sperimentazioni cliniche, nuove, in corso e vecchie. L’opinione riprende il filo delle azioni dell’Oms sul tema a partire dal 2005, anno in cui ha istituito l’International Clinical Trials Registry Platform per le registrazioni dei trial, ma ne allarga e precisa i confini, esplicitando il dovere etico a: registrazione di un trial prima del suo inizio (in pratica l’apposizione di un codice che renda identificabile univocamente quella sperimentazione, in modo che possa essere tracciata nella sua evoluzione) in apposite repository pubbliche, come quelli inseriti nella piattaforma dello stesso Oms; aggiornamento tempestivo dei dati man mano che il trial procede; pubblicazione dei risultati entro dodici mesi dalla conclusione della sperimentazione sia su pubblicazioni peer-reviewed e open access, sia mediante un piccolo report pubblico con i risultati più importanti da inserire nel registro entro cui il trial è depositato o in un sito pubblico.
L’opinione dell’Oms non è vincolante, ma sicuramente rappresenta il parere più autorevole e al di sopra delle parti in campo medico-clinico, al cui confronto agenzie regolatorie nazionali e internazionali per le sperimentazioni cliniche non potranno sottrarsi e, si spera presto, almeno uniformarsi.