Gallette di quinoa senza glutine, latte d’avena biologico, pane al carbone vegetale, sale rosa dell’Himalaya. Forse non andiamo più in chiesa. Ma quando si tratta di cibo e salutismo siamo pronti ad adorare o demonizzare. Non ne vogliamo sapere di ricerche e dati scientifici. Ogni “verità” svelata ci sembra miracolosamente quello di cui avevamo bisogno. E se dobbiamo fare qualche eccezione alla razionalità, la facciamo volentieri. Tutto è semplice: quello fa bene, quell’altro fa male. A giorni e periodi alterni.
La ricetta più in voga oggi è togliere qualcosa. Che sia glutine, lattosio, zuccheri, grassi, lieviti. Al di là di vegetariani e vegani, ci siamo convinti tutti che in tavola dobbiamo fare pulizia di uno o due elementi. Le chiamano “diete senza”. Lo scaffale dei latticini si è improvvisamente popolato di liquidi e formaggi senza lattosio. I prodotti senza grassi e senza zuccheri vengono ormai venerati. Pasta, pane e biscotti senza glutine hanno conquistato le postazioni centrali dei supermercati. Quelle che prima erano riservate alle offerte.
Ma celiaci e intolleranti non c’entrano. Né sembrano aumentare. «L’intolleranza al lattosio ha una base genetica, si fa un test sicuro al cento per cento. Non è né cresciuta né diminuita», dice Dario Bressanini, chimico dell’Università dell’Insubria e autore di diversi libri, tra cui – l’ultimo – Contro natura. Dagli OGM al «bio», falsi allarmi e verità nascoste del cibo che portiamo in tavola. «Il problema è che in tanti oggi fanno test come il vegatest o il capello test, che non hanno nessuna valenza scientifica». Si entra nelle farmacie e nelle erboristerie che si sta bene, e si esce con una lunga lista di presunti alimenti velenosi.
Lo stesso vale per il glutine. «I celiaci sono l’1% della popolazione, per loro il glutine è veleno», continua Bressanini, «ma non si spiega il proliferare dei prodotti senza glutine. Sono addirittura nati negozi che vendono solo questi cibi, senza che in realtà ci sia un aumento corrispettivo delle intolleranze». Solo in Italia, i consumi di cibi gluten free sono aumentati del 32% in un anno, tanto che l’Istat li ha pure inseriti nel paniere per il calcolo dell’inflazione.
Lo scaffale dei latticini si è popolato di liquidi e formaggi senza lattosio. I prodotti senza grassi e senza zuccheri vengono ormai venerati. Pasta e biscotti senza glutine hanno conquistato le postazioni centrali dei supermercati
Al supermercato, intanto, il miracolo c’è stato. Il latte si è moltiplicato: di soia, d’avena, di farro, di kamut, di riso. E lo stesso è successo per il pane, fino all’apparizione del sinistro pane nero color carbone. Se solo sapessimo come sono fatti. «Il latte di riso è fatto con scarti di riso frullati a cui si aggiungono olio di girasole e calcio per dare la consistenza del latte», dice Bressanini.
Lo stesso vale per il pane nero. «Se dicessimo che è pane con un additivo colorante, non lo comprerebbe nessuno. Invece lo chiamiamo pane al carbone vegetale e ci sembra di mangiare qualcosa di naturale». E anche dei cibi senza glutine dovremmo leggere l’etichetta. Al posto del glutine si usano additivi come gomme e collanti, e in molti casi sono più ricchi di zuccheri e grassi.
«Siamo molto deboli quando si parla di cibo», spiega Bressanini, «proprio perché ha un valore simbolico. Il cibo genera suggestioni ed emozioni molto forti, sia in positivo sia in negativo, che ci portano a demonizzare alcune cose o a osannarne altre».
Prendiamo la carne. Quando a ottobre 2015 l’Organizzazione mondiale della sanità ha detto che un eccesso di proteine animali può provocare il cancro, si è scatenato un putiferio. «Quell’episodio ha dimostrato che c’è una grane difficoltà a capire un dato scientifico», spiega Giuseppe Passarino, professore di genetica all’Università della Calabria, tra gli autori dello studio principale su cui si basa l’avvertimento dell’Oms. «Si prende un dato e gli si dà un valore assoluto. La cosa era molto più complessa: si diceva che l’alimentazione iperproteica aumenta le probabilità di sviluppare il cancro dopo i 60 anni».
In quei giorni invece si erano alzate subito le barricate. Vegetariani da un lato, carnivori dall’altro. E Assomacellai che aveva subito denunciato la psicosi da macelleria, con un calo degli acquisti del 20 per cento.
Siamo molto deboli quando si parla di cibo, proprio perché ha un valore simbolico. Il cibo genera suggestioni ed emozioni molto forti, sia in positivo sia in negativo, che ci portano a demonizzare alcune cose e a osannarne altre
«Si diceva “la carne fa male”, “la carne fa venire il cancro”, “la carne è come il fumo di sigaretta”. Salvo il fatto che dopo una settimana tutti se ne sono dimenticati e hanno ricominciato a mangiarla». Ci sono momenti, dice Passarino, «in cui alcuni cibi vengono presi di mira. Così facciamo tutto e il contrario di tutto. Ora abbiamo paura della carne, ma c’era il momento in cui andava di moda la dieta iperproteica».
L’ultimo demonio si chiama olio di palma. «Al di là delle questioni ambientali, restando sulle proprietà nutrizionali, l’olio di palma, come il burro, contiene prevalentemente grassi saturi», dice Dario Bressanini. «L’olio di palma è solido e viene usato come sostituto del burro perché costa meno. Se lo confrontiamo con il burro scopriamo che sono saturi uguali, ne dobbiamo solo mangiare di meno». Ora invece spopolano le confezioni con su scritto “senza olio di palma”. «Se si va a leggere sulle etichette con che cosa è stato sostituito, si scopre che c’è l’olio di cocco, che ancora più ricco di grassi saturi. Quando verrà demonizzato l’olio di cocco poi scriveremo “senza olio di cocco”».
E se ci sono i demoni, ci sarà anche un dio. Quello venerato in questo momento è il cosiddetto cibo naturale. I semi e le bacche pare facciano miracoli. Il sale, è meglio quello rosa (e costoso) dell’Himalaya (anche se nessuno dice che in realtà non contiene iodio). Lo zucchero, meglio sostituirlo con miele e sciroppo d’acero (ma la torta sempre torta rimane, non fatevi illusioni).
Confezioni, arredamenti e insegne dei negozi: tutto è fatto perché il cibo sembri come natura l’ha fatto. «Ma è solo un’illusione», dice Dario Bressanini. «Il naturale, come qualcosa che troviamo nel bosco allo stato selvatico, non esiste. Tutto quello che mangiamo è stato modificato dall’uomo». L’idea di base è che «l’uomo si sia adattato ai cibi di una volta. Quello che non si sa è che i tempi di evoluzione sono molto più lunghi. Non abbiamo ancora avuto il tempo di adattarci ai pomodori perché sono troppo recenti, figurarsi alle altre cose».
Eppure qualsiasi elemento che evoca un intervento umano sugli alimenti fa paura. Additivi, coloranti (ah, se tutti sapessero che il pane al carbone vegetale è fatto con i coloranti), per non parlare degli Ogm.
C’è una sorta di idea parareligiosa della natura che ci vuole bene e che dà ai suoi figli tutto quello di cui hanno bisogno. Ma tutto quello che mangiamo è modificato
«C’è una sorta di idea parareligiosa della natura che ci vuole bene e che dà ai suoi figli tutto quello di cui hanno bisogno», dice Breassanini. «Ma tutto quello che mangiamo è modificato». Facciamo un esempio: il frumento tenero. Neanche questo è naturale. «Non esiste allo stato selvatico, ma è il risultato di un incidente genetico in cui tutti i geni di una gramigna selvatica si sono uniti nel farro coltivato. Se lo rifacessimo ora in laboratorio, sarebbe un Ogm. È l’esempio di come una cosa che consideriamo assolutamente naturale, come le distese di frumento, in realtà non lo sono».