Com’è noto, lo studio della tradizione dei racconti popolari rappresenta forse uno dei più complessi e contorti rami della storia della critica: le difficoltà legate alla definizione esatta del genere, unite alle costanti e stratificate interazioni tra oralità e scrittura, hanno reso questo campo un grande mistero nell’ambito della filologia.
Ultimamente però è emerso un nuovo approccio che, utilizzando tecniche comuni alla biologia, si è incentrato sull’analisi dei legami condivisi da 275 fiabe indoeuropee provenienti da tutto il mondo, rintracciando alcune radici che parrebbero risalire a tempi molto più antichi di quelli finora supposti.
Si parla addirittura di preistoria e età del bronzo: in particolare, storie come La Bella e la bestia e Tremotino, apparse per iscritto solo tra il XVII e il XVIII secolo, secondo i ricercatori risultano riconducibili al fase storica della nascita delle grandi sottofamiglie indoeuropee, tra 2500 e 6000 anni fa.
La ricerca, pubblicata sulla rivista della Royal Society Open Science, avrebbe risolto dunque molti dubbi relativi al nostro patrimonio culturale, come confermano l’antropologo Jamie Tehrani e la folklorista Sara Graça da Silva
Tale teoria non rappresenta certo un’ipotesi inedita. Anzi, proprio Wilhelm Grimm, uno dei due famosi fratelli, aveva sostenuto che molte delle fiabe che avevano contribuito a rendere popolari affondavano le loro radici ai tempi della nascita della famiglia linguistica indoeuropea. Questa prospettiva è stata però ribaltata dagli studiosi successivi, persuasi della “giovane età” di alcune storie, a loro parere passate alla tradizione orale solo dopo essere state messe per iscritto dagli autori del XVII secolo.
Un metodo incentrato sul mappare le storie sfruttando la vicinanza geografica e i linguaggi comuni ha perfettamente senso, trattandosi di racconti trasmessi oralmente di generazione in generazione. Secondo Tehrani si tratta di dati che confermano quanto supposto dai Grimm: «alcune fiabe compaiono già in testi greci e latini, ma i nostri risultati suggeriscono che sono addirittura molto più vecchie».
Lo studio ha dimostrato che Jack e il fagiolo magico, classificato insieme a un gruppo di altre storie note con il titolo comune The Boy Who Stole the Ogre’s Treasure, potrebbe essere datato al momento della scissione tra lingue orientali e occidentali – dunque oltre 5000 anni fa. Il racconto popolare The Smith and the Devil risalirebbe invece proprio all’età del bronzo, circa 6000 anni fa: dato di notevole interesse se si considera che, narrando di un fabbro che vende la sua anima al diavolo per ottenere in cambio dei poteri sovrannaturali, rappresenta una delle prime attestazioni letterarie del tema faustiano.
Il nuovo approccio si è fondato su un’analisi di tipo filogenetico, sviluppata per studiare le relazioni evolutive tra le specie: avvalendosi di un albero delle lingue indoeuropee, i ricercatori hanno tracciato la derivazione dei singoli racconti andando più indietro possibile nel tempo.
I risultati sono sorprendenti, poiché rivelano una tradizione sopravvissuta millenni senza il supporto della scrittura e nettamente antecedente alla nascita delle lingue a noi oggi note, per cui con ogni probabilità veicolata in un linguaggio da secoli estinto.
Come ciò sia possibile lo suggerisce Da Silva, che parla di «potere della narrazione»: il fatto che le tematiche delle fiabe siano senza tempo, con le loro dicotomie tra bene/male, giusto/sbagliato, morale/immorale, ne garantisce l’universalità; pur essendo spesso considerati una forma minore di letteratura, i racconti popolari costituiscono un’ottima base di studio interculturale e antropologico, la cui importanza non va sottovalutata.