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Col petrolio ai minimi storici l'economia russa sconta problemi accumulati da anni, e il pil scende ( -3, 8% nel 2015). Il ministro delle Finanze parla di possibile default. Ma Putin non si preoccupa troppo: il suo consenso è ancora altissimo

Il prezzo del petrolio continua a scivolare verso il basso, esattamente come il rublo, che dopo una certa stabilizzazione negli ultimi mesi del 2015 ha aperto l’anno il caduta libera. Il 2016 per la Russia di Vladimir Putin non è iniziato insomma con i fuochi d’artificio, anzi.
Se prima di Natale il presidente aveva firmato la legge di bilancio per l’anno in corso basandosi su un prezzo di 50 dollari al barile, ora che il greggio è sceso sui 30 il premier Dmitri Medvedev ha avvertito i russi a prepararsi al peggio e il ministro delle finanze Anton Siluanov ha evocato addirittura lo spettro del default del 1998, quando il Paese ancora in piena transizione postosovietica, con al Cremlino Boris Eltsin, andò davvero a gambe all’aria.

Che l’economia russa arranchi non è una novità di Capodanno, ma il fatto che l’oro nero sia sceso a livelli di una quindicina di anni fa crea davvero qualche preoccupazione in un contesto che si fa sempre più problematico e che anche per quest’anno non cambierà in positivo: la ripresa arriverà in Russia, salvo imprevisti, solo nel 2017, mentre il 2016 si chiuderà come ha cominciato e cioè in rosso.
Sia secondo le stime del governo che per quelle della Banca Mondiale il pil russo si dovrebbe contrarre ancora, intorno allo 0,7%, e il rilancio si farà perciò attendere. Le carenze strutturali storiche del sistema economico ex sovietico, a partire dalla dipendenza dall’export delle materie prime come gas e petrolio, sono state coperte negli ultimi tre lustri proprio dall’ascesa del prezzo del greggio; la caduta verticale negli scorsi 24 mesi ha messo a nudo l’incapacità del Cremlino di modificare sostanzialmente un’architettura i cui pilastri stanno diventando traballanti. I buchi nelle casse dello stato, causati dalle inferiori entrate per la vendita degli idrocarburi, verranno colmati in parte attraverso alcune privatizzazioni, proprio a partire da società come Rosneft (che sta al petrolio come Gazprom sta al gas), che andrà parzialmente sul mercato per quasi 12 miliardi di dollari.

I russi negli ultimi tempi non se la passano bene, ma rispetto al 1998, quando nella tempesta perfetta tutti avrebbero buttato a mare senza troppi complimenti il povero capitano Eltsin, costantemente annebbiato dalla vodka e con 5 bypass, sono oggi schierati in massa con Putin

Per Putin, che nonostante il quadro non proprio roseo continua a ripetere che il peggio è passato e la situazione si è sta comunque consolidando dopo il 2015 davvero turbolento (chiuso con un -3,8% di pil), si tratta come al solito di mantenere da un lato gli equilibri oligarchici e dall’altro il consenso popolare in un anno elettorale.
A settembre sono infatti in calendario le elezioni parlamentari per il rinnovo della Duma. Dopo quelle del dicembre 2011 era partita un’ondata di proteste che per un paio di mesi aveva fatto pensare, almeno all’Occidente più naif, all’arrivo di una primavera russa. Vladimir Vladimirovich non aveva fatto allora una piega e nessuna la farà nel prossimo futuro, a partire dal fatto che i sondaggi danno il suo partito Russia Unita intorno al 50%, seguito dai soliti comunisti, liberaldemocratici e socialdemocratici, la cosiddetta opposizione sistemica, tutti sotto il 10%. Degli avversari extraparlamentari rimasti, da Alexey Navalny & Co, non c’è nessuna traccia.

I russi negli ultimi tempi non se la passano bene, ma rispetto al 1998, quando nella tempesta perfetta tutti avrebbero buttato a mare senza troppi complimenti il povero capitano Eltsin, costantemente annebbiato dalla vodka e con 5 bypass, sono oggi schierati in massa con Putin, che a dicembre del 2015 godeva ancora del sostegno pieno dell’85% della popolazione (dati del Levada Center). Il padrone del Cremlino, nonostante l’inflazione galoppante e il potere d’acquisto ridotto, è riuscito a mantenere l’immagine forte di uomo giusto al posto giusto che si è guadagnato a partire dal 2000 e che non è stata scalfita dagli arretramenti economici dell’ultimo biennio.
Putin continua a vivere su quella rendita accumulata nei suoi primi mandati e che paradossalmente si è rafforzata da quando la Russia è entrata in rotta di collisione con Europa e Stati Uniti a causa del conflitto in Ucraina. Da una parte, come ha ricordato pochi giorni fa il vice presidente della Banca Mondiale Jan Valliser nel suo intervento al Gaidar Forum di Mosca, l’appuntamento tradizionale di inizio gennaio a Mosca in cui si ritrova l’élite economica russa in una sorta di pre-Davos, la Russia ha fatto passi da gigante tra il 2000 e il 2013 riducendo la povertà all’11% e raddoppiando la classe media arrivata al 70%; dall’altra il revival nazionalista sulle orme dell’annessione della Crimea ha rinserrato le fila della gran parte dei russi che al momento non si pongono la questione di un’alternativa a Putin e a Russia Unita.
I colpi persi dall’economia russa non sono per ora decisivi per un mutamento di rotta radicale dell’elettorato e il Cremlino, dopo la formalità settembrina alla Duma, conta sulla ripresa del prossimo biennio per arrivare alle presidenziali del 2018 senza eccessivi patemi.

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