Pizza ConnectionBambini e adolescenti, così le mafie reclutano le nuove leve

I bambini istruiti dalle famiglie mafiose hanno spesso l'unica via del crimine. A 7 anni si impara a sparare, c'è chi vuole fare il socio del cugino già affiliato e chi inconsapevolmente è già un corriere della droga. A 16 si controllano le piazze di spaccio e si muore nelle faide.

A Mariano Comense, profondo nord, un bambino dice al padre che vorrebbe collaborare con il cugino perché gli altri «lo temevano». Il cugino poco più che ventenne, nato anche lui nel cuore della Lombardia e nipote di un anziano e storico boss della ‘ndrangheta, è agli arresti con l’accusa di far parte della stessa associazione criminale del nonno.

A Napoli ci sono bambini usati come pusher. Droghe nascoste negli ovetti kinder e inconsapevoli corrieri di nemmeno dieci anni che sacrificano un pezzo di vita ai clan della camorra. Sedicenni che arrivano a governare intere piazze di spaccio assimilati a loro volta dai clan che chiedono ai ragazzini «di non essere più schegge impazzite», che quelle rovinano il business e attirano la polizia.

Sedicenni che arrivano a governare intere piazze di spaccio assimilati a loro volta dai clan che chiedono ai ragazzini «di non essere più schegge impazzite», che quelle rovinano il business e attirano la polizia

A Reggio Calabria c’è chi a 7 anni maneggia la rivoltella come si faceva una volta con il Game Boy. S’ha da imparare a sparare, e occorre sapere cosa è e come si sopravvive nel mondo del crimine, perché, dice un altro padre al figlioletto nel tragitto tra casa e scuola, «nessuno rispetta la legge, i mafiosi sono contro la legge perché hanno una forza proprio per farsi giustizia da soli». Nella sola Calabria i minorenni accusati di associazione mafiosa sono sei, spesso figli di personaggi arrestati e processati negli anni ’90.

Nelle strade di Napoli si uccide. E tanto. Nell’anno appena passato sono stati 74 gli omicidi e nel 2016 le vittime sono già 12, di cui tre innocenti. Una mattanza che, se ancora ve ne fosse bisogno, fa capire che le mafie sono il nostro Isis. A Napoli, scrive la Direzione Investigativa Antimafia nella sua ultima relazione semestrale, operano “oltre 110 clan”, e le nuove leve del crimine ne fanno sempre più parte, con gradi sempre più alti fin dalla più giovane età. “Baby Boss”, li ha ribattezzati la cronaca, che non si fanno problemi a intimidire e soprattutto a sparare.

A Napoli, scrive la Direzione Investigativa Antimafia nella sua ultima relazione semestrale, operano “oltre 110 clan”

Gli stessi investigatori della DIA sono convinti: «nei rioni Forcella, Maddalena e Duchessa, dal mese di marzo 2013 è in atto una guerra di camorra». La faida tra «gli emergenti della famiglia Giuliano, affiancati dai gruppi Sibillo, Brunetti e Amirante, e con l’appoggio esterno del gruppo Rinaldi» per scalzare i Mazzarella del Prete dal controllo della zona ha portato «al compimento di numerosi omicidi e azioni armate «anche da parte di minorenni».

Le alternative alla cosca e ai suoi interessi a volte non ci sono, e non sono nemmeno prese in considerazione. Nemmeno dalle giovani donne, educate a obbedire ad accettare matrimoni combinati, ma che allo stesso tempo, rivelano alcune intercettazioni, hanno la stoffa del criminale navigato, che l’occasione di uccidere un rivale «ce la manda il Padre Eterno».

La faida tra «gli emergenti della famiglia Giuliano, affiancati dai gruppi Sibillo, Brunetti e Amirante, e con l’appoggio esterno del gruppo Rinaldi» per scalzare i Mazzarella del Prete dal controllo della zona ha portato «al compimento di numerosi omicidi e azioni armate «anche da parte di minorenni»


1° Rapporto Semestrale della Direzione Investigativa Antimafia al Parlamento

In Calabria negli ultimi anni ci sono state madri che hanno deciso di provare a portare via i figli dal contesto della famiglia criminale. «Una piccola rivoluzione» l’ha definita in una recente intervista il presidente del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria Roberto di Bella. Lo stesso che con il protocollo “Liberi di scegliere” ha intrapreso la via per togliere la patria potestà ai genitori affiliati alla ‘ndrangheta.

Allontanamenti che non sempre vanno a buon fine, come nel caso di Maria Concetta Cacciola, indotta al suicidio dalla famiglia e i cui tre figli dopo la sua morte sono tornati dagli zii, nello stesso contesto criminale da cui la madre li aveva portati via.

Tanti, troppi ragazzini diventano linfa per i clan, da nord a sud. Recentemente il ministro dell’Interno Angelino Alfano, in particolare nel caso di Napoli ha invocato l’esercito. Una mossa antica che non ha mai impedito alle cosche di autorigenerarsi e reclutare nuove leve. Una vecchia citazione di Gesualdo Bufalino, scrittore e poeta siciliano, recitava che «la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari». Utopia forse, ma è un fatto che accanto alla repressione degli organi investigativi non può che far bene una presenza culturale forte delle scuole, che pur sempre rimane un presidio della Stato. Intanto, al Parco Verde di Caivano, la “nuova Scampia” dell’hinterland napoletano si annuncia la chiusura dell’unica scuola elementare. Pochi studenti, troppi costi, e quel mostro a 110 teste della camorra ha già le riserve per rigenerarsi.

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