Silvio Garattini è medico, ricercatore, docente, nonché fondatore e direttore dell’Istituto farmacologico Mario Negri di Milano. È stato membro e consulente di vari organismi, fra cui il Comitato di Biologia e Medicina del CNR, l’Agenzia italiana del farmaco, il Committee for Proprietary Medicinal Products (CPMP) della European Medicines Agency (EMA). È pure autore di centinaia di lavori scientifici pubblicati in riviste nazionali ed internazionali e di numerosi volumi nel campo della farmacologia. Fa parte del Gruppo 2003, il novero di ricercatori italiani altamente citati nella letteratura scientifica internazionale. L’intervista integrale è uscita su Extra Moenia. Qui su Linkiesta ne pubblichiamo un ampio stralcio.
Professor Garattini, partiamo dai vaccini, un argomento molto discusso negli ultimi tempi. Che cosa contengono? Come sono prodotti? Chi sono i decisori sul vaccino da somministrare in età pediatrica?
Un vaccino normalmente contiene batteri inattivati o antigeni (proteine importanti per identificare il batterio), poi ci possono essere delle sostanze che aumentano la capacità dell’organismo ricevente di elaborare anticorpi, per cui ad esempio in passato si aggiungevano mercurio, squalene o alluminio, in quantità non tossicologiche. Per quanto riguarda le infezioni invernali (ad esempio l’influenza) il vaccino viene prodotto sulla base dell’infezione che avviene nell’altro emisfero; invece, tutti i vaccini importanti – gli obbligatori o i raccomandati – sono preparati standardizzati che vengono perfezionati di anno in anno. Pertanto, bisogna distinguere vaccinazioni fondamentali dalle vaccinazioni che sono importanti ma che riguardano segmenti di popolazione. I decisori per le vaccinazioni pediatriche sono i genitori. Ultimamente le vaccinazioni diminuiscono e uno dei risultati è il ritorno del morbillo; l’Italia ha il triste primato europeo in quanto sta registrando il maggior numero di casi di morbillo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci ha già richiamato ad una maggiore attenzione. Purtroppo ci sono alcuni pediatri italiani che per il timore di subire sanzioni o denunce non consigliano le vaccinazioni, oppure ci sono genitori italiani ideologici che non comprendono la situazione.
Come mai?
L’informazione odierna sul tema non è efficace, per prima cosa perché non confuta adeguatamente tutte le false informazioni che circolano, come quella dell’autismo (il medico inglese Andrew Wakefield che aveva millantato una possibile correlazione tra autismo e vaccinazioni è stato radiato dall’Ordine inglese dei Medici, i suoi lavori scientifici sono stati ritirati perché presentavano lacune ed errori); mentre tutti i propagandisti e i gruppi antivaccinazione tengono alta l’attenzione sui lavori di Wakefield. Di fatto, non c’è un’adeguata critica di queste informazioni e non c’è una strategia per far sì che i genitori, soprattutto i neo-genitori, acquisiscano le informazioni necessarie, come pure non c’è la forza politica di far sì che chi decide di non vaccinarsi non sia nocivo a chi decide di farlo. Sono lacune gravi. Faccio un esempio: ogni donna, in gravidanza, riceve informazioni mediante corsi ed altro, così facendo giunge preparata al momento del parto; i neo-genitori, invece, non ricevono alcuna preparazione di base. Questi sono alcuni degli aspetti che fanno parte della medicina preventiva che in Italia è troppo trascurata e che invece è molto importante. Ricordiamoci che l’educazione genera risultati in un arco di tempo lungo.
Un altro tema spinoso riguarda l’omeopatia. In più occasioni lei ha dichiarato che i rimedi omeopatici non hanno alcun contenuto se non l’acqua, per via della ingente diluizione del contenuto (attraverso il processo del centinale della molecola, processo che può essere ripetuto per 20, 50, 100 volte). Sull’argomento ha persino scritto un libro, Acqua Fresca. Ciononostante in Italia questi prodotti sono sempre più usati e prescritti dai medici, anche in forza del testo della Direttiva europea del 2001 che li ha dichiarati “non nocivi” e pertanto utilizzabili. Può fare chiarezza?
Si tratta di un problema corporativo, in cui prevalgono interessi specifici. L’Ordine professionale dei medici mira a tenere al proprio interno il gruppo degli omeopati, invece dovrebbe discostarsene. La deontologia medica impone ai medici di utilizzare soltanto prodotti o trattamenti fondati sulle evidenze scientifiche, pertanto c’è una rilevante contraddizione in molti medici che usano i prodotti omeopatici. Oggi poi ci sono medici furbi o ingenui che parlano di medicina complementare, per cui somministrano l’antibiotico insieme al prodotto omeopatico, per cui il paziente guarisce ma a sua madre rimane l’informazione che senza il prodotto omeopatico non si risolveva la malattia. Certamente può esserci un effetto placebo, perché c’è un’aspettativa rispetto all’effetto, ma è il medesimo che può produrre l’acqua. Parlo a ragion veduta, basandomi sugli esiti delle indagini dei nostri laboratori che hanno mostrato che la maggior parte dei prodotti omeopatici contengono palline di zucchero vendute alla modesta cifra di 2.200 euro al chilogrammo. Infine, bisogna anche usare il buon senso: quando un prodotto è fortemente diluito, gli effetti sono proporzionali alle dosi che si utilizzano. A zero corrisponde zero.
La direttiva europea del 2001, come dicevamo, asserisce la “non nocività” di tali rimedi, che pertanto sono registrati – come avviene per i medicinali tradizionali – dall’AIFA, l’Agenzia Italiana del farmaco operante sotto la vigilanza e le direttive del Ministero della Salute. Allora viene da chiedersi come mai l’Inghilterra o l’Australia si stiano adoperando per non farli più prescrivere
Dire “non nocivo” è una forma irrazionale, perché io non somministro il farmaco perché non faccia danni, ma perché possa arrecare un beneficio. Chiaramente la lobby delle aziende che produce prodotti omeopatici è influente, ma i medici devono rimanere indipendenti e integri. Mi domando con quale coscienza un medico possa prescrivere un prodotto che non ha alcuna indicazione terapeutica.Voltiamo pagina, quali sono le attività su cui si concentrerà l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri nel 2016? Quali le future prospettive?
L’Istituto si concentra su tre funzioni: ricerca, formazione e informazione. La ricerca deve essere continuamente alimentata da forze fresche che anche con la loro diversità di opinione sono quelle che animano i nuovi progetti; a ragione di ciò proponiamo master universitari e programmi di dottorato in collaborazione con i più prestigiosi atenei internazionali. Inoltre, crediamo che il frutto della nostra ricerca non debba rimanere in una torre d’avorio: con tale fine abbiamo cominciato le iniziative di divulgazione all’esterno.A proposito di rivoluzioni, la genomica sta introducendo vere innovazioni. Che cosa ne pensa?
Non siamo idolatri della genomica, nel senso che è una straordinaria rivoluzione, ma non ci deve far dimenticare tutto quello che abbiamo acquisito, se studiamo la migliore possibilità di sapere quali sono i geni mutati, qual è il trattamento ideale, ma poi ci dimentichiamo di vedere se il farmaco va nei ricettori, allora non serve l’innovazione. L’espressione dei geni dipende da moltissimi fattori, bisogna unire la genomica alla proteomica, e ancora, abbiamo bisogno della metabolomica, è importante studiare la funzionalità. Bisogna integrare la genomica con tutto quello che conosciamo.Nello scenario dei cambiamenti trova posto anche l’uso crescente di robotica all’interno delle aziende ospedaliere. Come giudica questa innovazione?
Sono molto aperto, non vedo perché dobbiamo rifiutare nuovi e moderni metodi. L’importante, però, è validarli. Nell’approccio con i farmaci dobbiamo sempre vedere se porta a qualcosa di più e di nuovo attraverso studi clinici controllati, con procedure stabilite dopo decenni di attività. Tutto ciò non avviene per i dispositivi medici, che entrano senza troppe ricerche nelle pratiche d’uso, il discorso vale anche per la robotica. Bisogna sempre utilizzare il metodo scientifico, che prevede un processo di sperimentazione e di successiva validazione. Questa dovrebbe essere una procedura valida anche per le innovazioni nel campo amministrativo, oggi introduciamo qualsiasi novità senza una doverosa sperimentazione che deve invece essere la base di ogni processo.Lo stato di salute della ricerca in Italia qual è? I ricercatori italiani sono bravi nel loro mestiere?
Nonostante i ricercatori italiani siano produttivi, il mestiere sta diventando sempre più difficile. La prima difficoltà riguarda i finanziamenti: ci troviamo sotto la media dei ricercatori europei in Italia. Siamo all’1,1% del prodotto interno lordo, quando la media europea supera il 2%. Se poi pensiamo che il Sistema Sanitario Nazionale costa 111 miliardi di euro all’anno, non possiamo non accorgerci che una struttura così complessa necessita di ricerca continua e di alto livello. Pensare di garantire anche solo il 3% della spesa totale di un Paese alla ricerca non è insostenibile, guardiamo alle industrie: spendono il 10-15% per la propria ricerca.La scienza medica in quale direzione si muove oggi?
Oggi la scienza ha bisogno di visione. Abbiamo sviluppato la specializzazione e, invece, dobbiamo tenere presente che ci vuole qualcuno che faccia la sintesi, un ruolo che peraltro dovrebbe essere ricoperto dalla medicina interna. All’Istituto conduciamo da sei anni un importante studio, Reposi: ogni anno raccogliamo per quattro settimane l’intera casistica di 70-80 centri clinici in giro per l’Italia, assistiamo di continuo al problema della politerapia e della polipatologia, che sta diventando sempre più comune. Ecco, qui dobbiamo riuscire a semplificare, non si possono dare 10 farmaci al giorno ad un anziano; abbiamo un progetto che si chiama InterCheck in cui abbiamo sviluppato tutte le interazioni in un’applicazione che ogni medico può avere sul proprio computer. Le interazioni sono poco conosciute e poco valutate dai medici e invece sono importanti. Dobbiamo imparare a sintetizzare nella cura, altrimenti curiamo le malattie e non l’ammalato.