Occident Ex-PressMaledette ripetizioni. Il dramma degli universitari che insegnano agli idioti

Ripetizioni private: un business da un miliardo all'anno. Tutto in nero. Ma eludere il fisco, forse, non è sbagliato perché ci si sente rispondere che «Il ruolo di Castro nella rivoluzione cubana? Beh era cubano anche lui»

«Il predecessore di Stalin? Putin! No, ritenta sarai più fortunato. Ok. Se non ricordo male la professoressa ha parlato di una certa dinastia Gorbaciov.». Se le risposte sono queste meglio appendere al chiodo penna, fogli di protocollo e sussidiari – o derivati vari. O forse no. Perché una ricerca Eures del 2012 diffondeva un dato allarmante quanto curioso: evasione fiscale a livelli record nel business delle ripetizioni private. L’89 per cento contro il 60 per cento di colf, baby sitter e badanti e il 40 per cento dei liberi professionisti – categorie che più di frequente siedono sul banco degli imputati nella guerra fra poveri che si combatte sul “nero”. E due anni dopo anche i i quotidiani italiani portavano alla ribalta il dato assoluto: quasi un miliardo di euro, niente ricevute o fatture, con cui i docenti d’Italia “arrotondano” lo stipendio. Il blocco dei contratti nella pubblica amministrazione è un incentivo sufficiente a imboccare la strada delle lezioni private fuori dall’orario scolastico, magari agli studenti di un altro liceo.

L’89 per cento delle ripetizioni proivate in nero, un business da un miliardo di euro. I professori chiedono anche 50 euro per un’ora di greco e latino. Gli studenti universitari 10 euro, per sentirsi rispondere che «Matteotti era il braccio destro di Mussolini»

C’è un però: se il mercato del lavoro è segmentato, questo principio vale anche per business dei ragazzi che non hanno voglia di studiare. Perché finora abbiamo parlato di docenti e professori. Professionisti che per un’ora di greco o latino possono chiedere fino a 40-50 euro – parcelle da avvocati. Ma anche nel settore c’è un universo di manovalanza e sottoproletariato universitario: studenti che ci tirano fuori 200 euro al mese. Il “lavoretto”, si definisce in gergo, con cui pagarsi le serate al pub e l’abbonamento ai mezzi pubblici. Mentre cresce una generazione di camerieri e docenti atipici – questi sì – tutti laureati o in procinto di farsi chiamare “dottore”.

Come Daria, che spazia dalla chimica alimentare al diritto: due giorni a settimana di ripetizioni, alla modica cifra di 10 euro l’ora. Ha una laurea triennale in Storia – magistrale a breve – con una tesi sulle milizie polacche presenti nella Milano del dominio napoleonico. Si addestravano attendendo l’ordine (la possibilità?) di riprendersi la madre patria in mano agli austroungarici. Come troppo spesso avviene ai polacchi, furono traditi dal Bonaparte. Ma sul “lavoro” Daria è obbligata a dei carpiati molto più complessi di quelli redatti dalla diplomazia francese dell’epoca. Perché se deve spiegare il rapporto fra Dante e Beatrice al suo maturando è costretta a fare paragoni con una travagliata storia d’amore contemporanea, magari utilizzare l’espressione “trombamici” sperando che al giovane non venga l’idea di ripeterla durante l’interrogazione. Le vette tuttavia si toccano parlando di un’altra rivoluzione, quella d’indipendenza americana. Domanda semplice: «Chi era contro chi?». Risposta altrettanto semplice: «I cloni americani contro gli inglesi». I c(o)loni. Certo.

Dante e Beatrice dei “trombamici” dal rapporto travagliato. La rivoluzione d’indipendenza americana? L’hanno fatta i c(o)loni. E Mussolini era una sorta di Arnold Schwarzennegger

Ester invece studia filosofia, dopo un diploma alla Scuola Holden di Baricco, a Torino. A lei va da Dio: 4-5 ore al giorno, tutti i giorni, con uno stipendio da ingegnere nucleare che le serve proprio per ripagarsi la Holden. Peccato che a 16 anni dava ripetizioni di inglese agli universitari di 23. Una chiamata al Ministero dell’Istruzione per ridefinire gli obiettivi formativi sarebbe d’obbligo.

È sempre la storia contemporanea, per qualche assurda ragione, a regalare le perle migliori. Quindi scopriamo che i soviet erano «formati dai borghesi ricchi» – in perenne lotta di classe con i borghesi poveri, evidentemente – la rivoluzione non dorme mai, sopratutto la notte prima degli esami, compagni.

E si passa alle vicissitudini del Bel Paese a offrire spunti è il “ventennio”: perché «Matteotti era il braccio destro di Mussolini», anche se il braccio destro di Matteotti lo hanno ritrovato in fondo a un fosso. Matteotti lo lasciamo passare ma, almeno, chi era Mussolini? «Una sorta di Schwarzenegger» risponde sicuro un adolescente-telespettatore di Rete4 a tarda notte. Perché? «Perché vinceva e tutti gli davano ragione». Vai a spiegare che alla fine non ha vinto granché anche se è una questione di prospettive, perché a testa in giù in piazzale Loreto è facile confondere sconfitta e successo.

Il ruolo di Castro nella rivoluzione cubana? Beh, era cubano. Chapeau. E forse eludere il fisco – non se ne abbia il ministro Padoan – per ottenere queste risposte, non è poi così sbagliato

Non si vive di solo fascismo. Quindi Angelo, anche lui laureato in Storia con una tesi sulla Milano delle amministrazioni socialiste, domanda alla sua studentessa: «Che ruolo ha avuto Fidel Castro in questa vicenda?». «Beh, era cubano». Chapeau. Prova a rilanciare sul Risorgimento e l’Unità d’Italia con una domanda trabocchetto: «Qual è il nome di Camillo Benso di Cavour?». «Camillo Cavour. Cioè Benso. Cioè, Benso Cavour».

Del resto si sa, i liceali vivono una fase difficile per la propria esistenza e per la costruzione del sé. Sono più attenti a filosofi e poeti che non ai dettagli di quella spirale vorticosa che chiamiamo “La Storia”. Vorrà dire che se chiediamo «qualche tratto distintivo della Scapigliatura?» sicuramente otterremo una risposta soddisfacente, un guizzo di luce negli occhi del nostro interlocutore. «La fattanza professo’». Niente da fare, gli occhi sono semi-chiusi.

Fra gli universitari c’è anche si è sfogato, perché a creare grattacapi non sono solo i neuroni dei ragazzi ma anche quelli dei genitori. Le colpe dei padri ricadono sui figli eccome. E allora Matteo ha scritto un articolo satirico per la rivista dell’Università degli Studi di Milano. Il tema? I tipi umani di genitore che si possono incontrare nel primo approccio al mondo del lavoro: lo smarrito; l’estraneo; l’ammanicato; l’aristocratico; il complottista.

E forse in questo contesto eludere il fisco – non se ne abbia il ministro Padoan – non è poi così sbagliato.

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