Fabio Volo, non farti fregare

Ho fatto un esperimento e ho letto “È tutta vita” di Fabio Volo alzando di molto l’asticella delle aspettative

Era da un po’ che volevo scrivere questo articolo. Avevo delle idee che mi frullavano in testa ma che ancora non avevano preso una forma precisa. Negli anni, davanti a chi si accalorava per il successo dei libri di Fabio Volo, mi sono sempre limitato ad alzare le spalle e a dire di non farne un dramma. Di tutti i problemi che hanno la letteratura e l’editoria italiana (e lo stato generale della nostra cultura), Fabio Volo è decisamente il male minore, se proprio non possiamo evitare di considerarlo un male. Invece molti non ci stanno e dicono che no, che è proprio lui il problema, lui e i suoi lettori, i veri rappresentanti dell’«Italia peggiore», per dirla con Brunetta. Ho lasciato sempre correre, tenendomi il mio pensiero e continuando a essere umanamente contento per il successo di un’altra persona, raggiunto con mezzi leciti e senza togliere nulla a me.

Poi però sono successe alcune cose. Per l’uscita di È tutta vita, che come di consueto si è piazzato al primo posto delle classifiche di vendita, Fabio Volo è stato impegnato nel solito tour promozionale, tra giornali e televisioni. È il suo ottavo romanzo, uscito quattordici anni dopo il primo lavoro, Esco a fare due passi, e con oltre sei milioni di copie vendute il suo successo è ormai una delle poche certezze della nostra editoria. Senza dilungarci troppo e senza scadere nella retorica del riscatto sociale, la sua è oltretutto una storia obiettivamente positiva, nota a molti. Un ex panettiere bresciano con la terza media che raggiunge una fama clamorosa in tutto ciò che fa: in radio, in televisione, al cinema e in libreria.

Fabio Volo ha sempre fatto sul serio, proprio evitando di fare il serio. È amato e disprezzato perché è così come lo si vede, è normale, con i pregi e difetti delle persone normali. Molti considerano il successo quasi una colpa, ma io continuo a credere che Fabio Volo sia arrivato dove è arrivato perché se lo merita.

Chi critica i libri di Fabio Volo ne attacca soprattutto la banalità, la mielosità, il tono talvolta un po’ da maestro di vita e la mancanza di una visione tragica, oltre che la scrittura elementare e le trame non molto pretenziose. Se questi romanzi hanno tanto successo, ciò sarebbe dovuto al livello culturale «straordinariamente basso» del nostro Paese. Preferisco non entrare nel merito dell’eterna questione in cui ci si accapiglia tra alta e bassa letteratura, limitandomi a dire che i tanto denigrati lettori di Fabio Volo, trattati come persone che, poverine, più di tanto non ci arrivano, rappresentano la maggioranza, ma anche se fossero la minoranza andrebbero comunque rispettati. I palati letterari fini, invece, a colpi di snobismo e autoreferenzialità sono avvezzi a credere che il mondo andrebbe meglio se tutti fossero come loro. Evidentemente quando ci si sente parte di una élite ogni tanto si perde il contatto con la realtà.

Quest’odio nei confronti di Fabio Volo alimenta la formazione di correnti avverse. Così se per molti è un cretino, per altri diventa «un genio», da preferirsi, secondo Antonio D’Orrico, agli autori comunemente accettati come esponenti della letteratura buona. E la sensazione è che i libri di Fabio Volo finiscano per diventare solo una scusa, il mezzo per parlare d’altro e far esplodere rancori, invidie, come una specie di versione letterario-editoriale dell’Attentato di Sarajevo.

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