«Wir schaffen das» – «Ce la facciamo». Così aveva detto Angela Merkel ormai quasi sei mesi fa, quando decise di aprire le porte ai profughi che in arrivo soprattutto dal Medio Oriente in fiamme si erano incagliati progressivamente sulla via dei Balcani. La cancelliera, di fronte alle immagini strazianti di bambini in lacrime bloccati dal filo spinato ungherese, delineò con quella semplice frase la linea politica che ancora oggi la Germania segue e che Berlino vuole in sostanza imprimere a tutta l’Europa. Nonostante i problemi e le resistenze in casa propria e ancor più nell’Unione.
È per questo che Frau Merkel, non proprio un animale mediatico come lo è stato ad esempio il suo predecessore, il “Medienkanzler” Gerhard Schröder, si ritrova sempre più spesso in tv per difendere una strategia che secondo alcuni dei suoi alleati e comunque per la stragrande maggioranza dell’elettorato (il 59% dei tedeschi giudica in maniera negativa la politica dell’immigrazione del governo, secondo gli ultimi dati del Deutschlandtrend di questa settimana) fa acqua da tutte le parti.
La Germania, al momento, ma anche nel futuro prossimo, «wird es nicht schaffen» – «non ce la farà», almeno secondo le critiche arrivate dall’interno della stessa Cdu, il partito della cancelliera, e ancor più dalla Csu, quello gemello bavarese guidato da Horst Seehofer. Quest’ultimo, terzo pilastro del governo di una Grande coalizione che sente già l’arrivo del ciclo di elezioni regionali fra meno di due settimane e soprattutto l’appuntamento delle politiche del 2017, ha minacciato di far ricorso alla Corte costituzionale pur di mettere freno a quello che i più conservatori giudicano un piano troppo progressista e solidale che trova più consenso dalle parti dell’opposizione di sinistra.
Così Angela, da un lato spinta dalle frizioni interne, dall’altro alla luce della situazione europea in stallo, è passata alla controffensiva proprio alla vigilia di quella che l’inquilina del Kanzleramt giudica una tappa importante per l’alleggerimento della crisi, il vertice della prossima settimana tra Unione Europea e Turchia. Sia per difendere le posizioni moderate sul versante tedesco e la propria leadership, sia per insistere sulla ricerca di una soluzione comune a Bruxelles. La questione dell’immigrazione è divenuta infatti un fattore decisivo per gli equilibri politici tedeschi e anche per quelli europei. E la signora Merkel non vuole passare alla Storia come la leader che ha consegnato la Germania al disordine populista e xenofobo e ha assistito imbelle alla disintegrazione dell’Europa.
La questione dell’immigrazione è divenuta un fattore decisivo per gli equilibri politici tedeschi e anche per quelli europei. E la Merkel non vuole passare alla Storia come la leader che ha consegnato la Germania al disordine populista e xenofobo e ha assistito imbelle alla disintegrazione dell’Europa
I fronti aperti sono dunque due. Il primo è quello casalingo e qui la cancelliera ha i problemi minori: se le fronde o pseudo tali al momento sono controllate e controllabili, bisognerà comunque aspettare non solo l’esito delle regionali in primavera, ma soprattutto gli sviluppi della crisi profughi in estate, per vedere se l’ottimismo di Merkel sarà confermato. Il rischio di ribaltamenti nella Cdu e lo spostamento dell’elettorato di destra verso i nazionalisti della Afd potrebbe creare scompiglio in una Germania senza più una bussola sul tema immigrazione.
Il secondo fronte è quello europeo e in ballo c’è nientemeno che la tenuta di quella casa europea le cui fondamenta sono state messe da Helmut Kohl, il cancelliere che all’inizio degli anni Novanta ha guidato la riunificazione tedesca e ancorato Berlino all’Europa. A Bruxelles e dintorni gli alleati però cominciano a essere pochi e quello di Ankara deve dimostrarsi ancora affidabile.
A Bruxelles e dintorni gli alleati cominciano a essere pochi e quello di Ankara deve dimostrarsi ancora affidabile
Se Merkel ha promesso tre miliardi di euro in fondi europei a Erdogan per aiutare la Turchia a gestire l’emergenza, la risoluzione del conflitto in Siria è ancora lontana e senza di questa i flussi migratori continueranno a pesare sull’Europa. Il summit dell’8-9 marzo é fondamentale, ma rimane solo il pezzo di un mosaico complicato dove il ruolo turco è ricco di incognite. La situazione di questi giorni al confine tra Macedonia e Grecia dimostra poi quanto sia difficile la mediazione tra i 28 con la stessa cancelliera che ha ribadito comunque che chi arriva in cerca di asilo non ha il diritto di farlo nel Paese che preferisce. Concetto riaffermato e condiviso anche all’ultimo vertice europeo, legato però al nodo di fatto ancora insoluto della spartizione dei profughi tra gli Stati dell’Ue. L’Unione è divisa tra chi alza nuovi muri e chi è convinto che solo attraverso la solidarietà di tutti è possibile affrontare presente e futuro tenendo insieme l’Europa. Tra questi è Angela Merkel a giocarsi il proprio futuro politico, insieme con la stabilità della Germania e di tutto il Vecchio continente.