«Il latte contaminato non è un problema solo della Pianura Padana»

Piergiovanni Ferrarese, giovani di Confagricoltura: «La problematica delle aflatossine non è tutta e solo italiana. Nel 2012 ebbero importanti problemi anche Romania, Bulgaria, Slovenia, parzialmente l’Ungheria, oltre a Ucraina e Serbia: tutti nostri fornitori di cereali»

Gentile Direttore,

faccio seguito all’articolo pubblicato da Linkiesta lo scorso 4 aprile, intitolato “Basta mistificazioni, il latte del resto d’Europa è più sicuro di quello italiano” che riporta una lettera inviata a Voi da Roberto Brazzale dell’omonimo gruppo caseario di Vicenza, produttore di un formaggio “tipo grana” in Repubblica Ceca.

La suddetta lettera (a sua volta risposta all’articolo Latte contaminato, controlli fanno acqua: «I grandi gruppi fanno quel che vogliono», ndr), coinvolgendomi direttamente, mi spinge a fornire chiarimenti su alcune mie pubbliche affermazioni e alcune puntualizzazioni su quanto esposto.

È doveroso precisare, per la serenità del consumatore, che i limiti imposti dalla normativa europea, qualora si riscontrassero dei micro quantitativi di aflatossina nel mais e del suo metabolita nel latte (quest’ultimo scientificamente classificato molto meno pericoloso) sono frutto di anni di accurati studi scientifici per assicurare la salute del consumatore. Anzi, l’Unione Europea, applicando il principio della prevenzione, ha scelto dei limiti molto più bassi rispetto a quelli imposti dallo stesso Codex Alimentarius e da altri Paesi a livello mondiale, quale ad esempio gli Stati Uniti, che hanno livelli di tolleranza dieci volte superiori a quelli europei. È lodevole, quindi, la scelta imprenditoriale di chi decide di imporsi limiti ancora più bassi come ha previsto il Sig. Brazzale, ma comunque tutto il prodotto commercializzato in Europa e in Italia che rispetta i limiti di legge è assolutamente garantito e sicuro per il consumatore.

«Durante la crisi del 2012 ebbero importanti problemi di aflatossine anche la Romania, la Bulgaria, la Slovenia e parzialmente l’Ungheria come Paesi facenti parte dell’Ue, ma anche la Serbia e l’Ucraina, uno dei principali fornitori di cereali per molti Paesi europei»

È corretto affermare che la problematica delle aflatossine risulta particolarmente legata ad alcune aree geografiche con determinate condizioni climatiche, ma non si può affermare che sia una problematica tutta e solo italiana. Infatti, va ricordato che durante la crisi del 2012 ebbero importanti problemi di aflatossine anche la Romania, la Bulgaria, la Slovenia e parzialmente l’Ungheria come Paesi facenti parte dell’Ue, ma anche la Serbia e l’Ucraina, uno dei principali fornitori di cereali per molti Paesi europei. È per questo che i limiti sono imposti in tutta Europa e vi sono controlli ferrei. Purtroppo, come può capitare in qualsiasi angolo della Ue, potrebbe esserci qualcuno che tali regole non le vuole rispettare e, quindi, solo i controlli possono evitare tali illeciti.

In riferimento ai controlli, mi rincresce essere stato probabilmente frainteso dal signor Brazzale. Ciò che intendevo evidenziare sono i controlli effettuati sulla produzione degli allevatori, che sono molto rigidi perché oltre a quelli effettuati dallo stesso allevatore e dal servizio sanitario vi sono i controlli effettuati dagli stessi acquirenti, come peraltro giustamente precisato nella succitata lettera: «Sugli acquirenti del latte grava l’obbligo di eseguire sistematici controlli a campione per monitorare eventuali valori anomali sui valori di raccolta, al fine di attivare, nel caso, le procedure di segnalazione dell’allevatore fuori norma alle autorità sanitarie, le quali disporranno controlli specifici alla stalla».

Oltre a quelli specifici per la tematica delle aflatossine gli allevatori sono soggetti a continui controlli che a volte sono sino a 12-13 a settimana, rendendo a volte complicato lo svolgimento quotidiano del lavoro.

«I controlli effettuati sulla produzione degli allevatori sono molto rigidi perché ,oltre a quelli effettuati dallo stesso allevatore e dal servizio sanitario, vi sono i controlli effettuati dagli stessi acquirenti, come peraltro giustamente precisato nella succitata lettera»

Detto ciò, ritengo, come già esposto, che le aflatossine vadano combattute soprattutto con le buone pratiche di coltivazione e con l’utilizzo della ricerca e delle tecnologie transgeniche (che abbattono fortemente la presenza di infestazioni sul mais), verso le quali Confagricoltura ha sempre tenuto una posizione aperta e laica, basata sulle risultanze scientifiche, anche rispetto alla salubrità degli alimenti nel loro utilizzo, e mai contraria in maniera pregiudiziale.

Di certo sono convinto che sia fondamentale fare chiarezza sull’origine delle materie prime dei prodotti ed evitare fenomeni di italian sounding per permettere al consumatore di avere un’informazione completa e poter scegliere con trasparenza il prodotto da acquistare.

Ciò che è avvenuto dimostra l’efficienza dei servizi di controllo italiani e ritengo che non sia utile alle produzioni dell’agroalimentare discutere su colpe di filiera nazionale o estera quando ciò che è avvenuto riguarda pochi soggetti che non hanno rispettato le regole rispetto a migliaia di operatori che ogni giorno lavorano per fornire prodotti alimentari sicuri e di qualità ai consumatori italiani.

In un momento di forte crisi del settore, che sta mettendo in estrema difficoltà la salvaguardia della produzione lattiero casearia nazionale, tengo comunque a sottolineare, in relazione alle scelte della filiera, il rispetto e l’apprezzamento per chi negli anni ha continuato ad investire e produrre sul nostro territorio, salvaguardando il benessere di tante famiglie italiane che dipendono dal lavoro offerto loro dai produttori e trasformatori nazionali, sostenendo, con i limiti imposti dal mercato, la produzione primaria nazionale e l’eccellenza del nostro Made in Italy.

Cordiali saluti

Piergiovanni Ferrarese, vicepresidente Giovani di Confagricoltura (ANGA)

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