L’importanza di chiamarsi Jordi Cryuff

Il rampollo Jordi e l'ombra lunga del padre Johan, tra le Fiandre e la Spagna di fine secolo: il racconto sulla vita del figlio del celebre numero 14 olandese, scomparso di recente

Jordi Silvanus Cruijff

Era un bellissimo gentiluomo, notevolmente intelligente e suo padre Johan gli fece avere la migliore educazione, sia in patria sia all’estero, che l’epoca permetteva; e tanto gli voleva bene che spremette al massimo la chiesa di Amsterdam e Barcellona, per lasciargli un buon patrimonio affinché non dovesse guadagnarsi da vivere col pallone. Se ricordo bene, Guardiola mi disse che il patrimonio lasciatogli era di millecinquecento fiorini all’anno, che egli in seguito fece andare in fumo (negandosi la libertà di esercitare un mestiere diverso da quello del padre) e lasciò suo figlio Jessua così afflitto, che quando costui si incontrava con altri colleghi del padre, essi pensavano bene di dargli qualcosa, non fosse che un buon consiglio o un ricordo emozionato del nonno Johann.

Ho sentito dire al signor Joan Laporta i Estruch che, da buone fonti, egli sa essere stato Jordi Cruijff il gentiluomo più compito dei suoi tempi: a testimoniare il suo valore è se non altro il fatto che suo padre (il quale sempre disdegnò un calciatore indegno) lo volle con sé a Barcellona. Ho sentito anche dire a Laporta che Jordi era il massimo confidente e più intimo favorito di Richard Witschge con cui, nel corso degli europei 1996, strinse un affetto che il tecnico Guus Hiddink interamente avversava; e a darne la prova, una volta, nella decisiva sfida dei quarti contro la Francia nel campo di Anfield a Liverpool, egli apertamente lo sostituì con Aron Winter.

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